La classifica dei 100 chitarristi migliori di sempre (79-60) | Rolling Stone Italia
News Musica

La classifica dei 100 chitarristi migliori di sempre (79-60) | (100-80)

Continua il nostro viaggio settimanale fra le cento chitarre che hanno segnato per sempre la storia del rock. Questo sabato, ecco la seconda puntata, con posizioni dalla 79 alla 60

Jack White con i White Stripes al Bonnaroo 2007, foto di Amy Whitehouse/FilmMagic for Superfly Presents/Getty

Jack White con i White Stripes al Bonnaroo 2007, foto di Amy Whitehouse/FilmMagic for Superfly Presents/Getty

Abbiamo messo insieme i migliori chitarristi ed esperti del settore per stilare la classifica delle glorie delle sei corde, e per spiegarci cosa separa le leggende da tutti gli altri. Commenti di: Keith Richards su Chuck Berry, Carlos Santana su Jerry Garcia, Tom Petty su George Harrison e molti altri. In questo nuovo capitolo David Crosby ci racconta Joni Mitchell e di quando nel 1968 produsse il suo Song to a Seagull.

79. Mike Campbell
Mike Campbell, chitarrista di Tom Petty per più di 40 anni, non ha mai riempito di note una canzone, perchè per lui erano sufficienti due o tre centri nel bersaglio. «Affermarsi in poco tempo è una sfida», ha dichiarato il musicista, «Ma io preferisco le sfide piuttosto che rilassarmi». Ascoltate l’attacco scheletrico in mezzo a Breakdown, o l’assolo dai toni concisi e flessibili di You Got Lucky per capire come Campbell usa lo spazio negativo in modo ingegnoso. Petty ha dichiarato: «Michael non è uno che se la tira. Quello che dice è essenziale».

78. John Fahey
John Fahey, morto nel 2001 a 61 anni, è stato un maestro americano della chitarra folk, eccentrico; un chitarrista dalla pizzicata stupefacente, che ha trasformato il blues tradizionale con armonie derivate dalla musica classica di epoca moderna, scavandovi a fondo con un senso dell’umorismo tipico di un combina guai. L’ex chitarrista dei Captain Beefheart, Gary Lucas, ha dichiarato: «La sua musica parla della libertà sconfinata». Negli anni ’90, Fahey è passato a uno stile chitarristico minimalista ma spigoloso, che l’ha reso un’icona post-punk. «Essere apprezzati da John Fahey», dice Thurston Moore, «è stato molto importante per la nostra scena».

77. Willie Nelson
Lo stile chitarristico di Willie Nelson è assolutamente rilassato, piacevolmente sincopato e istantaneamente riconoscibile, come d’altronde lo è il suo cantato intimo e informale. Dal 1969, sotto lo pseudonimo di Trigger, Nelson ha sempre suonato, in modo straordinario, la stessa Martin M-20 classica, che ha influenzato il suono del chitarrista a metà tra il country lancinante, blues, e jazz gypsy alla Django Reinhardt. Sebbene la chitarra ora abbia un enorme buco, Nelson la suona ancora ogni notte. Il chitarrista ha dichiarato: « Ho iniziato a credere che il destino ci avesse uniti. Sembriamo addirittura uguali; siamo entrambi ammaccati e lividi».

76. Robby Krieger
Addestrato nel flamenco e nel jazz, Robby Krieger ha spinto oltre il rock quando ancora i musicisti erano incatenati al blues. Nei Doors, il musicista ha dimostrato l’attitudine a improvvisare durante i viaggi più feroci di Morrison, ha scritto alcune delle più famose hit (Light My Fire), e ha tenuto il gioco nella formazione tastiera-chitarra-batteria. «Non avere un bassista mi ha fatto suonare più note basse per colmare il vuoto», ha dichiarato il musicista, «Anche non avere un musicista ritmico mi ha fatto suonare in modo diverso, in modo da riempire il suono. Sentivo sempre di suonare per tre».

75. Joni Mitchell
La cosa più importante che ho fatto per Joni come produttore di Song to a Seagull, del 1968, è stata tenere alla larga chiunque da quell’album. Mitchell era una musicista folk che aveva imparato a suonare quello che si chiama arrangiamento suggerito, cioè quando ti approcci agli accordi e alle melodie come fossi una band. Joni era così inesperta nell’approccio. È per questo che mi sono innamorato della sua musica; era una musicista fantastica –cresceva in fretta– aveva avuto l’idea di poter accordare la chitarra come voleva, per ottenere l’inversione delle note. Io facevo lo stesso, ma lei si è spinta oltre. Ho capito subito il suo entusiasmo nell’usare strumenti più professionali come gruppi jazz e orchestre, ma la sua roba era essenzialmente lei stessa, come in Blue, del 1971, secondo me il suo disco più forte. Metti lei e Bob Dylan, come poeti sono simili, ma lei era una musicista molto più ricercata. Di David Crosby

74. Dick Dale
«Voglio che la mia chitarra suoni come la batteria di Gene Krupa», ha detto Dick Dale, definendo il suo stile dal ritmo iper-percussivo, che egli stesso ha inventato per reinterpretare successi e pezzi da jukebox, – compreso un arrangiamento rinvigorito del vecchio classico greco Misirlou– che ha prevenuto il suono surf-rock. Dale suonava più veloce possibile, col volume al massimo. Leo Fender una volta ha provato a progettare un amplificatore che non potesse essere distrutto da Dale e dalla sua potenza assoluta. Alex Lifeson dei Rush ha dichiarato: «I suoi arrangiamenti erano molto complessi, davvero turbolenti. Erano tutte staccate discontinue e riverbero, ma un riverbero che suonava davvero bene».

73. Kurt Cobain
Kurt Cobain non era un virtuoso della chitarra, questo è il punto: ha rubato la chitarra a musicisti tecnici e divoratori di note per ridarla ad artisti e poeti, diventando uno dei musicisti più importanti di sempre. Cobain non ha inventato il rock alternativo, ma con la sua passione per i Cheap Trick, Melvins e Kiss, gli ha dato il potere metallico di conquistare il mondo. Il suo stile non era del tutto autodidatta e amatoriale; ad esempio nella progressione di accordi e nella maestria nel dosare le dinamiche di potenza in Lithium, come in tutte le altre canzoni dei Nirvana.

72. John Frusciante
I Red Hot Chili Peppers sanno sempre come scatenare una festa; c’è voluto John Frusciante per trasformarli in un gruppo da stadio, con un suono che si può definire proprio. Frusciante è un chitarrista stilisticamente elastico e un arrangiatore nato che ha spinto i Chilis a esplorare nuovi mondi senza perdere l’attitudine energicamente funk. Il chitarrista ha rinforzato il suono della band con incursioni vulcaniche (come nell’assolo alla Hendrix in Dani California, e con notevole eleganza (come negli accordi indimenticabili nell’apertura di Under the Bridge).

71. Robert Johnson
Robert Johnson è stato poco conosciuto per decenni prima della sua morte nel 1938, ma i 29 pezzi che Johnson ha registrato nel 1936 e 1937 sono diventati sacri per chitarristi rock come Clapton o Dylan. Erano pezzi stupefacenti, in cui la chitarra sembrava un’intera band, pieni di slide e parti ritmiche in dialogo con riff che emergevano dalla nebbia. Dylan ha ricordato così King of the Delta Blues Singer, l’album del 1961 che ha salvato Johnson dall’oscurità: «Le vibrazioni delle casse mi facevano rizzare i capelli. Quei suoni così affilati avrebbero addirittura potuto spaccare una finestra».

70. Jack White
All’inizio del secolo, musicisti new-metal e post-grunge avevano contribuito alla cattiva fama delle chitarre rumorose, ma Jack White è riuscito ad azzerarla. Il musicista ha creato connessioni fra l’hard-rock e la roots music tramite riff feroci, e ha dimostrato che una band dall’attitudine blues poteva sfuggire quello che egli stesso definisce: «cazzate blues da bianchi con Stratocaster». Sebbene l’analogico fosse la sua naturale inclinazione, White ha fatto un uso ingegnoso del pedale DigiTech Whammy –il segreto dietro il finto basso tuonante in Seven Nation Army e le linee urlanti in pezzi come Bell and Biscuit.

69. Richard Thompson
Richard Thompson è stato uno degli esteti più straordinari del rock sin dai suoi giorni con i Fairport Convention, band folck-rock britannica che ha virato verso la musica tradizionale d’Inghilterra. Con riff emozionanti, e con liriche che ti facevano venire voglia di buttarti da un ponte, Thompson ha combinato l’uso aggressivo del plettro con una tecnica di rapide pizzicate. Gli assoli elettrici, più dentro la musica Celtica che nel blues, potevano essere mozzafiato, ma la sua tecnica di arpeggi acustici era semplicemente irresistibile; nessuno sa dire quante lacrime sono state versate dai musicisti che provavano a suonare 1952 Vincent Black Lightning.

68. John McLaughlin
Già nei suoi vent’anni, John McLaughlin era stato invitato a registrare qualche pezzo da Miles Davis, prendendo parte alla creazione del jazz fusion in album di Davis come Bitches Brew e altri. Ma McLaughlin ha raggiunto lo status di divinità della chitarra con la sua Mahavishnu Orchestra, in cui la sua Gibson sputava fuoco come un dragone a tre teste. Il musicista è stato un innovatore turbolento, un esteta senza pari, riuscendo a mischiare rock psichedelico, R&B, gypsy jazz, flamenco e musica raga dall’India. Quell’abilità musicale da poliglotta gli ha fatto guadagnare un enorme rispetto tra i colleghi del jazz e del rock. Jeff Beck l’ha definito «il miglior chitarrista vivente».

67. T-Bone Walker
Quando B.B. King ha sentito T-Bone Walker, ha pensato: «Gesù in persona è tornato sulla Terra a suonare la chitarra elettrica». Walker ha inventato il concetto di assolo per come lo conosciamo noi oggi, costruendo uno stile nuovo fatto di fraseggi morbidi e slide derivati dal blues. Il tono chiaro e le invenzioni melodiche del suo singolo del 1924 Mean Odd World hanno lasciato tutti a bocca aperta, e Walker ha rifinito il suo approccio musicale attraverso successi come Call It Stormy Monday. Il chitarrista ha dichiarato: «Sono entrato in questo mondo un po’ troppo presto, diciamo che sono nato 30 anni avanti».

66. Leslie West
Leslie West (vero nome: Leslie Weinstein) ha lasciato il segno per la prima volta durante gli anni ’60 nei Vagrant, con la cover garage rock del brano Respect di Otis Redding. Nel 1969 il musicista era il leader dei Mountain. In pezzi come la hit del 1970 Mississippi Queen, West suonava linee blues sporche, accompagnate da uno stile R&B, e sparate attraverso una foresta di amplificatori distorti. Dave Davies ha commentato: «I riff erano incredibili, West riusciva a suonare fraseggi così intricati, ma allo stesso tempo non era un esibizionista. Suonava con piacere».

65. Slash
Avrà anche passato tutto il suo periodo migliore nei Guns n’ Roses ubriaco, senza maglietta e circondato da serpenti, ma Slash è riuscito a riportare buon gusto ed equilibrio nella chitarra hard-rock. «[Il nostro] era un suono rock & roll essenziale, rispetto a quello che facevano tutti gli altri», ha dichiarato il musicista. Slash poteva creare riff come Joe Perry e intrecciarsi con Izzy Stradlin. Il suo stile lirico, come nell’assolo grandioso di November Rain, era permanentemente legato al tessuto del pezzo. Slash ha dichiarato: «È difficile suonare questi assoli in un altro modo, suonerebbero male».

64. Duane Eddy
Se alla fine degli anni ’50 c’era ancora qualche dubbio che la chitarra –e non il sassofono– era lo strumento principale del rock & roll, Duane Eddy è riuscito a spazzare via ogni incertezza: ad esempio nel singolo del 1958 Rebel Rouser, con una serie di vibrati metallici country e increspature di tremolo. «Chet Atkins usava il vibrato in modo selettivo, Duane Eddy lo usava per stracciare la musica», ha dichiarato Dave Davies dei Kinks. L’impatto di successi di Eddy come Forty Miles of Bad Road e Peter Gunn, si sentirà presto nella musica surf, e in chitarristi come Jeff Beck e George Harrison.

63. Johnny Winter
Di tutti i Caucasici allucinati che hanno super-caricato il blues alla fine degli anni ’60, Johnny Winter, albino Texano, è stato di sicuro il più bianco e il più veloce. Brani come la cover del 1969 di Highway 61 Revisited sono capolavori meravigliosi della tecnica di slide supersonica del chitarrista. Jimi Hendrix l’ha voluto come spalla, e Muddy Waters ne ha riconosciuto il talento a prima vista, diventando suo amico e collaboratore. Waters ha dichiarato: «Quel tipo lì sul palco, devo andare a vederlo da vicino. Suona otto note insieme!».

62. Robert Fripp
Sin dalle prime prove dei King Crimson, nel 1969, Robert Fripp è stato il portavoce musicale della band: una miscela singolare di complessità distorta e vibrazioni solenni. Questo dualismo è rintracciabile nell’album prog-rock più avanguardistico mai realizzato: Larks’ Tongues in Aspic dei King Crimson (1973).
La linea di chitarra più famosa di Fripp è di sicuro l’attacco squillante di Heroes di David Bowie. Fripp avrebbe potuto «cominciare anche senza sapere la sequenza degli accordi», ha dichiarato il produttore Brian Eno.

61. Dickey Betts
Duane Allman ha dichiarato: «Io sono il chitarrista famoso, ma Dickey è quello bravo». I due hanno passato meno di tre anni insieme nell’ Allman Brothers Band, ma hanno instaurato un rapporto colossale –improvvisando a lungo, scambiandosi assoli e suonando le famose chitarre dalle linee gemellari. Dopo la morte di Allman nel 1971, il gruppo ha continuato con Betts, creando successi come Ramblin’ Man e Jessica. Nonostante tutti i suoi slide e tagli blues, le radici del chitarrista vengono dal jazz, e si può sentire l’influenza del suo assolo modale pulito in ogni gruppo Southern-rock che li ha susseguiti.

60. Ron Asheton
Iggy Pop ha dichiarato in merito al brano degli Stooges T.V. Eye: «Io devo soltanto fare un paio di note, ma Ron ci ha creato un intero mondo attorno”. Nelle mani di Asheton –in inni proto-punk come I Wanna Be Your Dog e No Fun – i classici accordi a tre dita diventavano veri e propri arieti da sfondamento: rumorosi, inarrestabili e quasi mistici – Asheton, morto nel 2009, li chiamava accordi da “tre dita magiche”. Si può chiaramente sentire l’approccio selvaggio di Asheton in Kurt Cobain, Thurston Moore e Jack White.