Kanye West e Pusha T: i punti forti (e quelli deboli) dei mini album | Rolling Stone Italia
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Kanye West e Pusha T: i punti forti (e quelli deboli) dei mini album

In cinque settimane, l'etichetta di Kanye farà uscire cinque album, ognuno da sette tracce. Ecco i cosa va e cosa non va in questa scelta.

Kanye West e Pusha T: i punti forti (e quelli deboli) dei mini album

Inizialmente, Pusha T non era molto dell’idea. Kanye West l’aveva trascinato in una serie di album degli artisti di G.O.O.D. Music (l’etichetta di Kanye di cui Pusha è presidente): un album ogni settimana, per cinque settimane, ognuno da sette tracce. Quello di Pusha sarebbe stato il primo a uscire, e il limite di sette brani avrebbe significato tagliare via canzoni pronte per King Push, il tanto atteso seguito di King Push – Darkest Before Dawn: The Prelude del 2015. Ma l’idea era semplice: «Penso che in sette canzoni si possa spiegare tutto, e si può avere il più conciso e forte dei progetti» ha detto Kanye a Pusha, stando a una recente intervista con New York Magazine. «E quindi io sarei il porcellino d’India?» ha risposto Pusha.

Lo stratagemma è riuscito. Lo scorso venerdì, Pusha T ha fatto uscire DAYTONA, un capolavoro di testi strettamente avvolto ad alcuni dei migliori beat di Kanye dai tempi di My Beautiful Dark Twisted Fantasy. Già dalla sua release è stata sbandierata come la versione più affilata di Pusha T da molto tempo a questa parte, come miglior album suo (almeno da solista) e probabilmente come miglior album rap finora. Contiene vent’anni di capacità progressivamente affinate fino a livelli diabolici, anche grazie al poco tempo a disposizione nella tracklist. Scaricando ogni tipo di carico superfluo, DAYTONA è un manifesto artistico completamente distillato fino alla sua forma più pura, e sembra ben più lungo di quanto suggerisca la tracklist. «Ero davvero contrario, perché sette mi sembravano poche» ha detto Pusha.

Se DAYTONA sembra quasi l’ideale platonico di un’incisione al laser, il sette tracce di Kanye pare proprio l’opposto. È più un esercizio di flusso di coscienza che un racconto finemente calibrato. DAYTONA sembra frutto di un lavoro di 20 anni, mentre è chiaro che Ye sia stato fatto nell’ultimo mese. Quando tocca eventi reali, Ye è una lieve apologia al tanto controverso corteggiamento a Donald Trump prima della release. Un tentativo di spiegarsi meglio e diradare le polemiche allo stesso tempo. Con solo 23 minuti, non solo sembra il disco più corto di Kanye (è tipo la metà di Yeezus) ma anche il più esile.

Mentre DAYTONA impressiona fin da subito, i bruschi 20 minuti di Ye offrono un vantaggio diverso: lo puoi ascoltare in un attimo. Gli album di Kanye hanno sempre richiesto un secondo ascolto. Ma qui, non ce n’è più bisogno.

Nonostante il primo ascolto sia stato un po’ tiepido, avere la possibilità di ripartire per tre volte in un’ora ha aiutato immensamente Ye. È una regola generale, più ascolti un disco e più suona bene (anche se è una regola piena di eccezioni) e Kanye, seguendo il comandamento, ha lavorato così bene a Ye che il repeat compulsivo ha diversi aspetti positivi. E, in questo senso ancora più che DAYTONA di Pusha T, Ye sembra l’antidoto definitivo alla maxi lunghezza degli album nati per lo streaming, che sembra essere la tendenza hip hop degli ultimi anni.

Altri album di questi anni, come Culture II dei Migos e SR3MM dei Rae Sremmurd – entrambi con più di 20 canzoni e oltre un’ora e mezza di durata – sfidano l’idea classica di ascolto in un’unica seduta, puntando più su un approccio disordinato che spinge l’ascoltatore a trovare quello che più gli piace, scartando tutto il resto. Il miglior modo di ascoltarli è creare una playlist che includa le canzoni più apprezzate, inventando una versione di lunghezza gestibile. Un ascolto nato con lo streaming per album nati con lo streaming.

Con il suo breve minutaggio, Ye non fa sembrare questa un’opzione. Invece, fa diventare naturale il continuo repeat del disco; finisce così in fretta che cercare ogni volta qualcosa di diverso da ascoltare diventa complicato, uno spreco di tempo. E la prima canzone dell’album, I Thought About Killing You è la sua traccia più forte, la più facile da apprezzare quando ricomincia. Ho ascoltato per due volte il disco per intero arrivando a lavoro questa mattina, senza nessun problema.

Mentre l’album non si spreca troppo a spiegare le turbolente ultime settimane del suo creatore, la sua “ripetibilità” dimostra che c’è qualcosa di più da analizzare, senza farsi trascinare dalla rabbia e lo shock per quello che ha detto ultimamente. Presumibilmente, dopo i 30 o 40 ascolti, la stima verso il personaggio smetterà di crescere, ma per ora è una bella sensazione poter ascoltare un disco a ripetizione, anche solo per un giorno.

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