Lou Reed, i Velvet Underground raccontati da Julian Casablancas | Rolling Stone Italia
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Julian Casablancas racconta i Velvet Underground

Oggi Lou Reed avrebbe compiuto 77 anni: un musicista dal talento incredibile, ritratto nelle parole del frontman degli Strokes.

Julian Casablancas racconta i Velvet Underground

Lou Reed in concerto nel 1983 a New York

Foto: Lewton Cole / Alamy / IPA

Oggigiorno quando si ascolta una stazione radio di classic rock, perché non mettono mai i Velvet Underground? Perché mettono sempre i Boston o i Led Zeppelin? E perché i Rolling Stones sono così più popolari dei Velvet? Ok, posso capire perché gli Stones siano così più popolari. Ma c’è anche una parte di me che ha sempre pensato che dovrebbe essere il contrario. All’epoca i Velvet Underground erano avanti anni luce. La loro musica era strana, ma per me era molto sensata. Non capisco come non potesse essere la musica più famosa mai fatta.

Ascoltare i loro quattro album in studio è come leggere un buon libro ambientato in un’altro tempo. Quando ascolto The Velvet Underground and Nico o Loaded, mi sento come se mi trovassi nella Factory di Andy Warhol negli anni ’60 o al Max’s Kansas City. Il modo in cui Lou Reed scriveva e cantava di droga e sesso, delle persone che lo circondavano – era tutto così tangibile. Credo a ogni singola parola di Heroin. Reed poteva essere romantico nel modo in cui ritraeva queste atmosfere, me era anche profondamente realistico. Era un poeta e allo stesso tempo un giornalista.

The Velvet Underground - White Light/White Heat (Version 1/The Complete Matrix Tapes)

Tantissime persone associano i Velvet al feedback e al rumore. White Light/White Heat è un tipo di registrazione per cui devi essere nella mentalità giusta. Devi trovarti in un bar merdoso con un umore merdoso. Ma i Velvet hanno creato anche musica stupenda: Sunday Morning con la viola di John Cale, Candy Says, All Tomorrow’s Parties – non riesco a immaginare quella canzone senza la voce di Nico, anche se credo che Maureen Tucker aveva una voce davvero cool, così come era cool come batterista. Aveva femminilità. Credo suonasse più calda di Nico.

All’inizio con gli Strokes cercavamo in ogni modo di ricreare le atmosfere dei Velvet. Quando iniziai con la band ascoltavo Loaded continuamente mentre scrivevo le mie prime canzoni. Per quattro mesi buoni esistevano solo Loaded e Made in the U.S.A., il greatest hits dei Beach Boys. Tantissimi suoni di chitarra degli Strokes sono pensati su ciò che crearono Reed e Sterling Morrison. Onestamente speravo di riuscire a copiarli di più, non ci avvicinammo abbastanza. Ma fu una figata, perché da quel percorso imparammo cosa significa avere una propria identità. E questa è un’altra cosa che mi è stata data dai Velvet. Mi hanno insegnato a essere me stesso.

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