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In difesa di Giovanni Allevi

Ieri sera siamo andati al concerto del compositore e direttore d'orchestra all'Auditorium di Milano, organizzato da OVS Arts of Italy. Dopo tanti anni di attacchi sul fatto che finga di essere un personaggio naïf, noi abbiamo preso la nostra posizione
Giovanni Allevi, Auditorium di Milano - Foto Ikka Mirabelli

Giovanni Allevi, Auditorium di Milano - Foto Ikka Mirabelli

Ieri sera Giovanni Allevi è stato il protagonista assoluto della serata organizzata da OVS all’Auditorium di Milano, per presentare il progetto Arts of Italy, una collezione in edizione limitata ispirata da opere d’arte italiane molto conosciute, come il mausoleo di Galla Placidia o scoperte più recenti come la Domus del Mito a Sant’Angelo in Vado. Allevi era presente sia in veste di pianista che di direttore d’orchestra e soprattutto ha presentato in anteprima assoluta Sotto lo stesso cielo, opera, composta apposta per l’occasione, per quattro solisti, coro e orchestra.

Inutile nascondere quanto Giovanni Allevi sia stato attaccato in questi anni. Prima da parte dei musicisti più accademici, da Uto Ughi in giù, che non avevano molto gradito le sue uscite in merito a un desiderio di rivoluzionare il mondo della classica considerato troppo impaludato. Poi, da parte un po’ di tutti, per le sue uscite avventate ed esagerate sempre sulle icone della classica e per il suo atteggiamento considerato falso e costruito.

Allevi si è presentato ieri sera (e come sempre) in maglietta, jeans e scarpe da ginnastica e ha voluto fare lo spiegone di ogni brano (anche questo, come da sua consuetudine), con il suo modo di parlare e gesticolare che definire naïf sarebbe riduttivo. Si incartava, emozionava, portava le mani al cuore, proprio come potrebbe fare un bambino. È sempre stata considerata questa la sua forza: mostrarsi con tutte le sue debolezze. Ma questo è stato (ed è) anche il suo problema, nel momento in cui questo viene visto da molti come estremamente fake.

Ma qui sta il punto: Allevi è così. A volte esprime opinioni, sulle quali ha di certo riflettuto ma magari non abbastanza sulle conseguenze (una su tutte, la sparata su Beethoven che non ha ritmo mentre Jovanotti sì, del 2013 che scatenò l’inferno su internet). E anche nel privato non è certo la persona più disinvolta dell’universo.

Ricordo la prima volta che lo incontrai. Era il 2002, io avevo appena iniziato a lavorare nell’ufficio stampa che tra gli altri artisti curava anche lui che all’epoca era solo “il pianista di Jovanotti”. Il mio capo disse a me e alla mia collega di incontrarlo per capire come poter promovere il suo concerto milanese e noi andammo in panico. Non avevamo mai incontrato un artista e pensavamo che fosse una trattativa difficile da gestire. Invece incontrammo Giovanni, un ragazzo sicuramente colto, laureato in filosofia e diplomato al conservatorio, e decisamente appassionato. Era più imbarazzato di noi. Voleva spiegarci che cosa avrebbe suonato e come e quando componeva i suoi brani. All’inizio non riusciva molto, forse perché sentiva che non era il suo ruolo quello di spiegare. Ma poi iniziò a farlo, gesticolando molto con le mani, e muovendo i suoi ricci che sono rimasti identici anche oggi.
Come se avesse capito di poter regalare qualcosa in più ai suoi ascoltatori, se avesse anche spiegato qualche particolare sulla nascita dei suoi pezzi.

Proprio lo stesso atteggiamento che aveva ieri sera, non cambiato di una virgola. Per questo, passino gli attacchi alla sua musica (che rimane sempre questione – molto sensibile- di gusti musicali) e alle sue parole, a volte azzardate. Ma gli attacchi di essere un personaggio falso e costruito a tavolino, quelli sì, dispiacciono.

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