Il trucco di Spring Attitude è Roma stessa | Rolling Stone Italia
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Il trucco di Spring Attitude è Roma stessa

La città che ha generato opposti come Romolo e Remo, Stato e Chiesa, Roma e Lazio, quest'anno ha dato vita a un evento fatto di artisti e pubblici diversissimi. Ma il bello è quello

MYSS KETA

MYSS KETA

Lo Spring Attitude è quel festival fieramente romano che ogni anno fa un po’ da evento apertura per la stagione dei festival fieramente romani. Approfittando sempre di alcuni fra gli ex spazi amministrativi o industriali riconvertiti in poli culturali più interessanti che la capitale abbia da offrire, l’evento si pone al suo popolo come giusto mezzo aristotelico fra le zarrate e quegli eventi talmente intellettualoidi e presi male che nel migliore dei casi si risolvono in un vernissage + suicidio di massa.

Ecco no, a Spring Attitude storicamente ci si diverte e come suggerisce molto intuitivamente il titolo inglese lo si fa in primavera. Fatte queste doverose premesse, quest’anno il nome e lo spirito sono rimasti, ma la primavera si è fatta autunno. Sicuramente gli organizzatori avranno avuto i loro buoni motivi per spostare un evento da maggio a ottobre rischiando di passare dal cinguettio dei cardellini al cinguettio della pioggia gelida, che tra parentesi c’è stata e anche abbondante. Ma l’essenza di SA è rimasta sostanzialmente la stessa, ed è solo grazie a Roma.

La città degli eterni opposti, da Romolo e Remo, da Stato e Chiesa, da Roma e Lazio, è finita per generare a un festival talmente eterogeneo da includere artisti e quindi pubblici lontanissimi.

E così, mentre venerdì all’ex Dogana Gemello invitava Coez sul palco con un «Daje regà, famo un po’ de casino pe’ Coez!» e quest’ultimo salutava la platea di cellulari sorretti da ventenni urlanti con un «Bella regà!», nella sala esattamente a fianco, allestita da Red Bull Music con proiettori a 270 gradi, i Demdike Stare lanciavano sul pubblico palate di materia oscura, dark ambient come in pochi sanno fare.

Un po’ azzardata come mossa? A parte una sala un po’ troppo impacchettata di gente per il live di Frah Quintale (manco visto, non si riusciva proprio ad avvicinarsi), direi di no. Io la vedo così: se anche solo uno dei ragazzini di Frah Quintale ha scoperto la dark ambient o uno dei dark boys della sala Red Bull si è invaghito di Coez, direi che l’evento è valso ogni sforzo degli organizzatori. Poco ci frega se di spring, quest’anno, non c’era nulla.