Il sottosegretario alla Cultura Mazzi contro i testi dei rapper: «Come mai le case discografiche li pubblicano e Spotify li diffonde?» | Rolling Stone Italia
Non ti censuro, ma…

Il sottosegretario alla Cultura Mazzi contro i testi dei rapper: «Come mai le case discografiche li pubblicano e Spotify li diffonde?»

«Non intendiamo adottare un atteggiamento censorio» nei confronti dei rapper, ma quei testi «non sono opere di fiction perché i rapper hanno vite improntate alla violenza che propugnano». Si potrebbe arrivare a un protocollo per gli operatori del settore

Il sottosegretario alla Cultura Mazzi contro i testi dei rapper: «Come mai le case discografiche li pubblicano e Spotify li diffonde?»

Foto: Axel Antas-Bergkvist/Unsplash

Il sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi vorrebbe un protocollo per i testi violenti dei rapper. Lo ha detto intervenendo a Non Stop News di RTL 102.5. «Non intendiamo adottare un atteggiamento censorio» nei confronti dei testi, ha detto, ma non li considera opere di fiction al pari dei film perché i rapper «hanno vite improntate alla violenza che propugnano». Si potrebbe quindi arrivare a un protocollo per gli operatori del settore per arginare il fenomeno.

Partendo delle parole di alcune personalità del mondo dello spettacolo come Cristiana Capotondi e Paola Cortellesi, Mazzi ha detto che «non possiamo ignorare il problema» dei testi che in alcuni casi «sono veramente sconcertanti. Non intendiamo adottare un atteggiamento censorio, ma ci poniamo delle domande legittime. Ad esempio, ci chiediamo come mai questi testi vengano editati e pubblicati da importanti case discografiche, che spesso sono multinazionali e all’interno delle quali vige una cultura del rispetto delle donne e dell’uguaglianza sul lavoro. Come possono queste case discografiche trasgredire il loro stesso codice etico pubblicando testi così violenti?».

Mazzi dice di avere discusso della questione con i dirigenti di Spotify. «Ci chiediamo come mai Spotify, rispetto a molti social media che impediscono l’inserimento e la pubblicazione di contenuti violenti, permetta la diffusione di questi testi. Non è che il fatto di far parte di un genere musicale renda meno violento il contenuto del testo. Ci hanno assicurato che sono disponibili a un confronto».

A maggio si terrà quindi un incontro chiamato “Quando la musica diventa violenta”. «Non intendiamo imporre nulla, ma semplicemente dialogare. La nostra attività è pragmatica, ma quando le donne sollevano un problema, dobbiamo ascoltarle. Il nostro obiettivo principale è aprire un dialogo costruttivo. Abbiamo già ricevuto alcune risposte dagli artisti, che hanno sostenuto che questi testi sono iperbolici, una sorta di fiction, una forma d’arte».

«Mi hanno fatto un paragone, dicono sia un po’ analogo a quello che fa nel cinema Tarantino. Io penso che sia vero fino a un certo punto, perché vediamo che gli artisti, che spesso fanno parte del mondo del rap e della trap, hanno vite improntate alla violenza che propugnano. Poi sono testi che parlano alle fasce più giovani della popolazione; secondo me non è fiction, ma in questi incontri sarò un ascoltatore, vogliamo dialogare. Poi non so se arriveremo a un protocollo dove ogni operatore del settore si prenda un impegno affinché questo fenomeno venga in qualche modo arginato. Potremmo arrivare a proporre un protocollo, ma vorrei farlo coinvolgendo il mondo della musica, le case discografiche, gli editori e la SIAE».

«Noi capiamo il disagio, ho ricevuto una telefonata da un sacerdote che mi ha spiegato che per alcuni di questi artisti la musica è un riscatto. Questo lo capisco, ma non a discapito di tanti giovanissimi, parliamo di ascoltatori che hanno 10 o 11 anni, sono quasi dei bambini, neanche adolescenti. Io sono figlio degli anni ’60, la musica è la prima fonte di formazione culturale; sono stato fortunato ad aver incontrato la musica dei cantautori, e rispondo ai ragazzi del rap e della trap che, se questi artisti fossero fermati a fotografare la realtà degli anni ’70, che musica avrebbero lasciato? Invece, con i loro testi, hanno dato speranza».

E infine: «Vorrei che tutto ciò non fosse considerato pesante o censorio, ma una regolamentazione che il sistema si dia. Credo nella musica e alla rilevanza sociale di questo mondo, e chiedo solo di prendere coscienza di questo e di non trattare le cose solo da un punto di vista commerciale».