Il ritorno della Motown | Rolling Stone Italia
News Musica

Il ritorno della Motown

La storica etichetta è tornata al centro dell'attenzione grazie a un gruppo di rapper e giovani talentuosi. Ecco come ha fatto

Il ritorno della Motown

Durante gli anni ’60 e ’70 la Motown era una forza culturale impressionante: fondata da Berry Gordy nel 1959, l’etichetta è diventata una delle aziende gestite da afroamericani più indipendente e di successo. Nomi come Smokey Robinson, i Supremes, i Temptations, Marvin Gaye, Stevie Wonder e i Jackson 5 sono solo un assaggio dell’eredità di questa etichetta.

Sfortunatamente, però, la Motown non è riuscita a tenersi a galla. A partire dai primi anni ’80 è stata assorbita da una serie infinita di corporation, perdendo sia il suo status che la sua identità. Boyz II Men, Brian McKnight e Erykah Baduh sono stati grandi successi, è vero, ma Kedar Massenburg, l’uomo che ha diretto l’etichetta dal 1999 al 2005, descrive quel periodo come “un ridimensionamento infinito”.

«Prima avevamo 200 impiegati, in poco tempo ci siamo dimezzati», dice. «Non mi perdonerei mai se la vedessi sparire, anche se è quello che succede a tutte le aziende storiche dell’universo afroamericano». Nel 2011 Erykah Badu, un’artista fondamentale per l’etichetta, ha scritto questo tweet: «la Motown è crollata».

Negli ultimi tempi, però, i ragazzi della Motown sono riusciti a tornare al centro dell’attenzione. Tre giovani – Kevin Ross, La’Porsha Renae e BJ The Chicago Kid – hanno lanciato i singoli giusti, brani che sono subito entrati nella programmazione radiofonica dedicata ai giovani. È un evento storico per un’etichetta passata alla storia per essere stata “il sound della Young America”: finalmente la Motown è tornata a parlare ai giovani, indovinando i suoi primi artisti rap come Lil Yachty e Migos. «Sono riusciti a ottenere il meglio di due mondi: quello dell’hip-hop e quello del soul», dice Massenburg. «Sono sulla strada giusta».

Il declino della Motown era inevitabile, soprattutto considerando l’evoluzione dei suoi artisti di punta – Stevie Wonder, Diana Ross e Marvin Gaye -, e il gigantesco successo di Michael Jackson: nessuna etichetta può reggere a quel livello per sempre. D’altra parte, però, anche la Motown aveva le sue colpe: non è riuscita a capire subito l’importanza del movimento hip hop e i pochi artisti rimasti nel roster registravano sempre meno dischi e per un pubblico sempre più piccolo. Quelli nuovi, invece, sono stati gestiti guardando al passato: Johnny Gill sembrava Teddy Pendergrass e così via. Certo, hanno avuto il loro successo commerciale, ma ci sono riusciti sfruttando idee del passato, senza mai offrire niente di veramente innovativo.

Il rifiuto verso ogni tipo di innovazione ha disintegrato i margini di profitto dell’etichetta, ed è per questo che è stata inglobata prima da MCA, nel 1988, e poi da Polygram nel 1993. Danny Goldberg, l’uomo che ha seguito quest’ultima acquisizione, ricorda la Motown come «un’etichetta dove i costi superavano enormemente i ricavi».

Kedar Massenburg è ancora più lapidario: «Quell’etichetta era già morta e sepolta». Ma è stato lui a spingere Motown verso il suono che aveva contribuito a inventare, il neo-soul. È così che sono arrivati artisti come Arie, Kem ed Erykah Badu, tutti ancora saldamente nel roster dell’etichetta. Massenburg è stato rimpiazzato – tra una fusione e l’altra, fino ad arrivare all’acquisizione da parte di Universal – da Sylvia Rhone, e il passaggio di consegne ha cancellato il legame con la tradizione R&B.

Marvin Gaye, dettaglio della cover di “Gold”

«Non era più la Motown, era solo un marchio comprato da Universal», dice Sha Money XL, uno dei produttori di 50 Cent. «Non sembrava più legata al mondo afroamericano, non erano più una forza innovativa per l’estetica della nostra cultura», continua Sha. «Alla fine non era rimasto niente».

Il problema identitario è chiarissimo se guardiamo a tutte le occasioni mancate. Gli uomini della Motown non hanno capito il potenziale di Bruno Mars (l’hanno scritturato e scaricato dopo poco tempo), per non parlare di Drake. Per farla breve: tutti gli artisti che sono arrivati dopo Massenburg non sono rimasti a lungo.

La coerenza artistica della Motown è tornata all’improvviso grazie all’acquisizione da parte di un vero e proprio outsider. Dopo che la Universal ha acquistato EMI, infatti, la Motown è tornata a Los Angeles, diventando una sussidiaria della Capitol, un’altra major prestigiosa. Sulla sedia di presidente si è ritrovata Ethiopia Habtemariam, fino a quel momento vicepresidente.

Habtemariam non ricorda con affetto il trattamento che riceveva dalla proprietà. «Non era lo scenario migliore», dice. «Quindi abbiamo cercato di capire cosa si potesse fare per tornare a crescere. La Capitol, come la Motown, ha un’importanza storica fondamentale per moltissime persone. Il passaggio è stato una grande notizia per tutti».

Oltre agli artisti dell’epoca Massenburg (Arie, Kem e Eryka Badu), la nuova Motown ha scritturato Ne-Yo, uno dei migliori autori R&B del decennio, BJ the Chicago Kid, Kevin Ross e La’Porsha Renae. Renae ha un timbro baritonale, tipico del southern soul di una volta, un suono praticamente estinto dall’R&B mainstream; BJ ha vinto tre Grammy con un tributo a Marvin Gaye; questi sono artisti perfetti per la storia di un’etichetta come la Motown.

«Hanno tutto quello di cui l’etichetta aveva bisogno: sono giovani, talentuosi, la loro proposta è figlia degli artisti che Motown ha lanciato nel passato», dice Terri Thomas, Operations Manager per Radio One. Bryson Tiller, un popolare artista della RCA, ha detto: «Kevin Ross fa vero R&B. Lo voglio ringraziare per aver mantenuto in vita questa musica».

Erykah Badu, Foto via Facebook

La Motown, adesso, può anche permettersi di scritturare nuovi rapper, anche i più controversi. È per questo che è tornata a essere il “sound della Young America”. Molti di questi vengono da Quality Control, l’etichetta indipendente di Atlanta fondata da Pierre Thomas e Coach K. «In passato non avevamo bisogno del rap, perché pensavano a tutto i partner di Def Jam», dice Lewis. Habtemariam ha cercato di cambiare le cose immediatamente: «Io e Lewis veniamo da background creativi, e abbiamo capito subito che non potevamo occuparci di un solo genere musicale», dice. «Volevamo tornare a essere importanti per la cultura giovanile».

Anche Thomas di Radio One è d’accordo: «Certo, Motown non ha mai fatto rap. Ma quello che producono ora è più vicino allo spirito delle origini». La joint venture con Quality Control è cominciata due anni fa: l’idea era quella di sfruttare l’expertise degli indipendenti per scoprire artisti della scena southern rap. «Gordy è uno dei primi imprenditori neri a essersi liberati di alcuni totem», dice. «Vogliamo supportare altri giovani con idee speciali».

È qui che è nata l’idea di scritturare Lil Yachty (uno che si è auto-proclamato “The King of Teens”) prima e i Migos dopo. «Tutti dovrebbero studiare il lavoro di Berry Gordy. Siamo un’etichetta indipendente e siamo cresciuti guardando alla Motown come a un modello», dice Coach K di Quality Control. «Siamo una coppia perfetta. La vecchia Motown era giovane e innovativa; adesso lo è anche quella nuova».

Altre notizie su:  Marvin Gaye Migos motown stevie wonder