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Il reggae ha un problema di omofobia?

L'annullamento del concerto di Sizzla a Roma è solo l'ultimo degli episodi. È davvero possibile cambiare le cose?
Sizzla

Sizzla

Gennaio 2002: i No Doubt spopolano con la hit Hey Baby, prodotta insieme a Sly & Robbie, che stanno alla storia del reggae in Giamaica come Rick Rubin sta alla storia dell’hip hop in America. Sono stati proprio loro a suggerire a Gwen Stefani e soci di includere nella canzone anche un toast – così si chiamano le strofe tipiche della dancehall – di Bounty Killer, che a Kingston è già un idolo ma negli Usa è ancora sconosciuto. Il successo di Hey Baby, e soprattutto del surreale video che vincerà due Mtv Video Music Awards, gli regalano un’immediata notorietà ovunque: sembra davvero destinato a diventare una star del pop, anche perché i No Doubt lo invitano anche a partecipare al loro tour mondiale. A questo punto, però, accade l’imponderabile.

Già, perché proprio nel video c’è una scena in cui il batterista Adam Young fa degli esercizi agli anelli completamente nudo – non pensate a strane pratiche feticiste, stiamo parlando degli attrezzi da ginnastica, quelli di Yuri Chechi, per intenderci – mentre la voce di Bounty Killer canta “The way you rock your hips, you know, it amazes me”, ovvero “Il modo in cui muovi i fianchi, sai che mi ammalia”. Quella che agli occhi di chiunque sarebbe sembrata un’innocente inquadratura goliardica, ha il potere di mandare Bounty in paranoia: “Non posso far finta di niente, la gente penserà che sono gay. Voi non potete capire, perché in America l’omosessualità è accettata”. Così scarica i No Doubt, rinunciando a tutto: tour, premi, altre collaborazioni con artisti pop. Ma non basta a lavare l’onta, perché nel frattempo in Giamaica quei pochi fotogrammi si sono già trasformati in un caso nazionale: Beenie Man, un toaster rivale, per rigirare il coltello nella piaga scrive addirittura due canzoni sull’argomento, Bad Man Chi Chi e Get Yourself a Gun. Ci vorrà un anno abbondante prima che il polverone si plachi.

Questa storiella educativa spiega molto bene il terror panico che l’argomento omosessualità scatena nella società giamaicana, e per estensione anche nella scena reggae. Quindici anni dopo la situazione non è cambiata molto, nelle piccole cose come nelle grandi. L’isola continua ad arroccarsi sulle sue posizioni e l’occidente continua a non capirla, il che è anche uno dei motivi per cui a livello musicale le collaborazioni sono ancora poche – e soprattutto con la scena hip hop, un’altra realtà che ha qualche problemino a relazionarsi con le diverse sfumature della sessualità. Per un po’, all’inizio degli anni ’00, inserire riferimenti omofobi nei testi era di moda anche tra coloro che avevano ambizioni più pop come Buju Banton, Vybz Kartel o gli stessi Beenie Man e Bounty Killer. Il che secondo Sean Paul, uno dei pochi ad avercela fatta a sfondare, è uno dei motivi per cui alla fine la vera musica dancehall è passata di moda tra gli adolescenti ricchi del primo mondo, a meno che a farla non siano rassicuranti performer bianchi come Diplo o Justin Bieber.

Sempre più spesso si finisce con un muro contro muro, vedi l’annullamento del concerto di Sizzla a Roma. Da settimane le associazioni LGBT protestavano per le sue liriche omofobe, che senz’altro esistono ma rappresentano una piccola percentuale della sua sterminata discografia (53 album in vent’anni di carriera, quasi tutti votati al pacifismo e all’armonia). In patria è considerato un benefattore: da sempre condivide i proventi dei suoi concerti con la comunità, creando scuole, centri di aggregazione, iniziative per i ragazzi del ghetto e per la non violenza. Eppure quelle liriche esistono, e lui non ha alcuna intenzione di scusarsi per averle scritte e cantate, cosa che dice senza mezzi termini in canzoni come Nah Apologize. È un santo o un esaltato, quindi?

Per capire dove sta la verità bisogna guardare al contesto. Fuori dai villaggi vacanze extralusso la Giamaica è un paese estremamente povero, corrotto e arretrato, che non si è mai ripreso dal colonialismo. Il tasso di criminalità è altissimo, al contrario di quello di scolarizzazione che invece è molto basso. Le gang sono una vera calamità per la città di Kingston e per tutte le aree urbane, e la stessa atmosfera pesante si respira anche nella violenza verbale della dancehall registrata in ghetti come Trenchtown o Rema. Forse anche per reazione a tutto questo, è anche un paese estremamente religioso, a tratti fondamentalista. Il rastafarianesimo deriva da cristianesimo e ebraismo: i rasta credono che Hailé Selassié, imperatore d’Etiopia incoronato nel 1930, fosse la reincarnazione di Cristo, tornato sulla Terra per predicare agli ex schiavi africani. Seguono i dettami dell’Antico Testamento alla lettera (vedi il caso dei dreadlocks, nati perché la Bibbia consiglia di consacrare il proprio capo a Dio non pettinando né tagliando i capelli), e alcune sette li applicano in maniera radicale. È il caso dei Bobo Ashanti, di cui fa parte anche Sizzla: vivono separati dalla società, indossano lunghe vesti e turbanti, isolano le donne mestruate in quanto impure, celebrano lo Shabbath. E, naturalmente, credono che l’omosessualità sia un abominio contro natura: sarebbe impossibile per loro pensarla diversamente. Se si aggiunge un certo grado di ignoranza (tipo la convinzione che l’omosessualità equivalga alla pedofilia o sia un veicolo per l’Aids, entrambe piaghe molto diffuse nell’isola anche a causa del turismo sessuale), il mix esplosivo è pronto. Mix che purtroppo spesso porta a dei veri e propri raid contro la comunità LGBT locale.

L’omofobia, in una certa misura, fa parte della Giamaica: impossibile negarlo. L’omofobia è profondamente sbagliata: impossibile negare anche questo. Ma combattere la mentalità di un paese del terzo mondo con boicottaggi in Europa o in America probabilmente serve a poco. Forse è più utile comprenderne i motivi e cercare di arrivarne alla radice, per cambiare davvero le cose.

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