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Il rap italiano ha dimenticato la politica

Mentre in Usa Eminem e Kendrick Lamar guidano un movimento di artisti impegnati in Italia il genere musicale più popolare del momento sembra chiudersi in se stesso

Il rap italiano ha dimenticato la politica

Lo avete visto tutti: durante la sua esibizione ai Bet Awards dello scorso 10 ottobre Eminem ha attaccato in modo feroce Donald Trump. Un assalto verbale che ha lasciato il segno non tanto per gli sfottò all’attuale presidente degli Stati Uniti o la minaccia di aggredirlo fisicamente quanto per le ultime barre in cui Eminem si rivolge direttamente ai propri fan chiedendogli di scegliere tra lui e Trump.

“E ogni mio fan che supporta ‘sta roba,
Voglio tracciare una linea di confine: sei con me o contro di me,
E se non sai decidere chi ti piace di più e ti senti indeciso,
Se non sai a fianco di chi dovresti stare, ti darò una mano io:
“Vaffanculo!”

[Eminem, Bet Awards 2017 cypher]

Una strofa speciale per almeno due ragioni. La prima è che a differenza di molti altri rapper americani neri la maggior parte dei fan di Eminem sono bianchi, benestanti e dunque possibili elettori di Trump. La seconda, ancora più importante, è che per un attimo cade il muro ipocrita che spesso circonda la musica quando si avvicina alle questioni sociali. In molti, sia in Italia che all’estero, preferiscono infatti non prendere mai nessuna posizione perché non scontentare nessuno significa assicurarsi una fetta di consumatori la più ampia e variegata possibile. L’aut aut fatto in questo caso da Eminem funziona in maniera opposta: la propria fanbase diventa strumento politico prima ancora che commerciale.

Lo sfogo di Eminem ai Bet Awards ha fatto strabuzzare gli occhi in Usa come qui in Italia dove però nel rap qualche anno fa un’attitudine del genere era molto diffusa. Appartengo ad una generazione di ascoltatori per cui questo genere musicale è stato sinonimo di impegno politico. Anche se, come in molti hanno ricordato negli anni, si è trattato di una deformazione tutta italiana, rimane il fatto che nel nostro paese abbiamo conosciuto il rap subito nella sua forma più barricadera. Parlo ovviamente delle Posse, dei concerti nei centri sociali, degli Assalti Frontali, 99 Posse, Frankie Hi NRG e di tutta questa nuova musica “parlata” che sembrava il mezzo migliore per comunicare un messaggio prima di tutto politico e sociale. Pare folle ricordarlo oggi in un momento in cui all’apice di popolarità il rap italiano ha perso quasi totalmente ogni sua connotazione impegnata o ideologica.

Non serve scomodare i casi limite della Dark Polo Gang o di uno Sfera Ebbasta. Sono proprio gli artisti che portano avanti una scrittura più lineare, credibile e personale ad aver iniziato a sviluppare un linguaggio e un immaginario lontanissimo da qualunque dimensione politicizzata, preferendo ritirarsi invece in uno spazio più intimo e circoscritto, quando addirittura non del tutto criptico. Pensiamo alle affabulazioni al fulmicotone di un Izi o alla complessa e poetica scrittura di un Rkomi che è arrivato primo in classifica raccontando il piccolo mondo moderno del quartiere Calvairate di Milano. Uno spaccato intimo immerso in un mare di malinconia, profondamente distante da quella che continuiamo a chiamare “la società civile”.

Se questa è la scelta delle nuove leve i capiscuola non si comportano diversamente. Da una parte Gué Pequeno (che pure ogni tanto ricorda di provenire dai centri sociali) perso in – riuscitissimi, c’è da dirlo – egotrip a base di business e cash. Dall’altro un Fabri Fibra che nell’ultimo Fenomeno sembra voler seguire l’introspezione dei suoi giovani epigoni tornando a concentrarsi su i propri drammi familiari e recuperando la vena intima e oscura dei vecchi tempi. Sembrano lontanissimi i flirt di Fibra con il M5S, quando si faceva intervistare e scrivere la prefazione del suo libro Dietrologia da Marco Travaglio. Forse perché se al tempo l’arrivo di Grillo sembrava una provocazione necessaria con cui era divertente danzare oggi è sempre più una minaccia reale da cui è meglio rimanere a debita distanza.

Fabri Fibra e il giornalista Marco Travaglio

Intanto in America assistiamo ad uno spettacolo opposto. Da anni non si vedeva una mobilitazione di artisti rap così massiccia su temi politici in maniera così aperta e sfrontata. Non solo l’Eminem da cui siamo partiti ma anche Kendrick Lamar la cui intera produzione ha un profondo afflato sociale. Oltre a questi big c’è una pletora di altri nomi come Run The Jewels o Chance The Rapper che dimostrano come il rap “conscious” non solo è di nuovo popolare ma anche capace di scalare le classifiche. La paura di scontentare i propri ascoltatori diventa meno importante della necessità di mobilitarli per ciò che si crede importante.

Ci sono ovviamente molti modi di spiegare questa asimmetria tra Italia e USA. Il primo è quello quantitativo: a differenza delle limitate capacità produttive italiane in America si crea così tanta musica rap da poter accontentare qualunque nicchia. Così per ogni fan impegnato che acquista un vinile di Kendrick Lamar ce ne sono altre migliaia che scaricano i mixtape delle crew trap più cazzone di Atlanta. C’è poi la spiegazione cronologica secondo cui si tratta semplicemente di cicli destinati a ripetersi. Se il rap è nato prima in Usa ed ha avuto sempre un lato “conscious” più o meno rilevante la stessa cosa accadrà da noi in Italia, solo con qualche mese di ritardo.

Come il pubblico americano ha giudicato l’importanza del problema razzismo nel corso degli anni. Via Pew Research Center

La cosa più ovvia è quella di mettere in relazione la nuova ventata di interesse politico con l’aumento del problema del razzismo in Usa, acuito dall’elezione di Donald Trump ed esaperatosi con i tragici eventi di Charlottesville di qualche mese fa. Una naturale risposta in musica a tensioni sociali diffuse, impersonate poi da un perfetto “villain” che ne incarna tutti i lati deteriori.

Proprio lo scenario americano inizia ad essere pericolosamente simile a quello italiano. Anche qui da noi le tensioni razziali nei confronti di immigrati e del multiculturalismo stanno aumentando a vista d’occhio. Un processo che sembra destinato ad essere cavalcato da molti movimenti politici fino alle prossime elezioni. Proprio con la formazione di un nuovo Governo potremmo finalmente guadagnare anche qui in Italia un leader in grado di impersonare il nemico per antonomasia che, assieme ad una diffusa tensione sociale, sembra essere l’ultimo doloroso ingrediente necessario alla rinascita nazionale di un rap dall’animo politico.

Con tutto il bene che si può volere alla musica impegnata e per quanto si possa auspicarne un ritorno di fiamma non sono convinto di volere vedere avverata una profezia del genere.