Rolling Stone Italia

Il potere politico di Aretha Franklin

Era la voce dell'America, ma il suo essere donna e di colore faceva in modo che le sue canzoni trascendessero la musica.
Credit: Mark Reinstein / Alamy / IPA

Credit: Mark Reinstein / Alamy / IPA

Otis Redding sapeva di aver perso la sua canzone. Durante il suo leggendario set al Monterey Pop Festival del 1967, pochi mesi prima della sua morte, Redding cedette il terreno ad Aretha Franklin senza nemmeno aver bisogno di pronunciare il suo nome. “Questa canzone è”, ansimò, “una canzone che una ragazza mi ha portato via. Una mia buona amica”. Gli occhi e la voce di Redding trasmettevano sia la sua stima per Franklin che l’amarezza della sconfitta ad opera della cantante. Dopo che il suo gruppo aveva fatto il conto alla rovescia e lui si era lanciato in Respect, sembrava che stesse facendo la cover della melodia stessa che aveva composto.

Il brano è politico in entrambe le versioni. Cantato da un uomo con le parole e la cadenza di Redding, Respect è la supplica di un uomo nero di avere dalla moglie ciò che non poteva avere in una nazione lacerata dal razzismo di Jim Crow e dei suoi cugini più tranquilli nel nord. La versione di Franklin parla della stessa mancanza di riconoscimento al di fuori della casa nera – ma mentre li canta, i testi diventano una richiesta piuttosto che un comando. Quel cambio di genere è importante in un’America patriarcale – dopotutto, lei sta per dare a lui tutti i suoi soldi. La versione originale di Redding parla di resistere; Franklin, all’età di 24 anni, ha trasformato il pezzo in un inno al cambiamento, abbracciato da milioni di persone che hanno combattuto per l’uguaglianza razziale e di genere.

Non è accaduto di proposito. Non ce n’era bisogno. Lo sbocciare di Respect in una delle canzoni più importanti che un americano abbia mai cantato è un riflesso di come, involontariamente, l’essere donna e di colore diventi foraggio per il dibattito pubblico. Non intendiamo essere politici, ma lo è la nostra pelle. Lo sono i nostri corpi. E anche le nostre voci. Franklin, morta per un cancro al pancreas giovedì mattina all’età di 76 anni, era singolare in quanto conteneva le nostre moltitudini come nessun altro cantante prima di lei – sia nelle sue canzoni che nel suo talento. La sua musica parlava della richiesta di uguaglianza di genere e razziale insieme, sapendo che una libertà non poteva esistere senza l’altra. La Regina del Soul è stata la prima donna ad entrare nella Rock and Roll Hall of Fame, ma quei due generi musicali non fanno che accenno al suo talento. Spaziava dal country all’opera, e tornava sempre al gospel. Ma anche mentre cantava per gli americani nelle chiese e nelle sale da concerto, Franklin non ha mai avuto paura di riflettere la realtà nera e incoraggiare coloro che lottano per i diritti civili.

Nel 1970, mentre Aretha si avvicinava all’apice della sua celebrità, l’attivista di Black Power e professoressa di filosofia Angela Davis fu accusata di acquistare armi da fuoco usate in un tentativo mortale di aiutare dei prigionieri a fuggire da un’aula di tribunale nella Contea di Marin, in California. Davis era una comunista riconosciuta e il presidente Nixon l’aveva etichettata come una “pericolosa terrorista”. La rivista Jet, nel numero del 3 dicembre, riportava che Franklin si era offerta di pagare la cauzione di Davis, “che si tratti di 100 o 250mila dollari” (Franklin depositò il denaro in garanzia, ma era fuori dal paese e questo le impedì di occuparsi della cauzione, che alla fine fu pagata da un progressista agricoltore bianco di nome Rodger MacAfee e Davis fu poi prosciolta).

L’offerta della Regina del Soul non era un gesto insignificante. Franklin dichiarò a Jet che suo padre, il rev. C.L. Franklin – un attivista di per sé, e un modello per il reverendo Martin Luther King, Jr. – era in disaccordo con la sua volontà di liberare Davis, ma lei si era attenuta alle proprie convinzioni. “Angela Davis deve essere liberata. I neri saranno liberi”, ha detto Franklin. “Sono stata rinchiusa (per disturbo della quiete pubblica a Detroit) e so che devi disturbare la quiete pubblicare quando non riesci a trovare pace. La prigione è un inferno. Se c’è giustizia nei nostri tribunali la vedrò libera, non perché io creda nel comunismo, ma perché è una donna di colore e vuole la libertà per i neri. Ho i soldi necessari, li ho avuto dalle persone di colore e voglio usarli in modi che possano aiutare la nostra gente”.

Franklin non si considerava un’attivista sulla scia di Davis. Sebbene sostenesse le Black Panthers e andò in tour con il Dr. King, non considerò i suoi contributi come equivalenti ai loro. Corresse l’anchorman della CNN Don Lemon nel 2015 quando disse che lei era stata “in prima linea” nel movimento per i diritti civili. Forse sentiva che il suo ruolo era quello di cantare le note finali delle nostre vittorie, come ha fatto durante il primo insediamento di Barack Obama, o le nostre sconfitte, intepretando Precious Lord al funerale del Dr. King. Ha anche cantato per spingerci a rimanere fermi sulla via della libertà. Sebbene potesse essere stata umile riguardo ai suoi contributi per quella lotta, lei era lì per tutto il tempo. Franklin ha cantato l’America ai neri a una frequenza che risuona nelle nostre ossa.

A partire dagli anni ’60, quasi tutti gli afroamericani sono cresciuti con la sua voce, che è stata importante nelle nostre vite. Franklin ha articolato la nostra esperienza attraverso i temi comuni dell’amore perduto e trovato, così come il rispetto che cercavamo. Lo fece in un modo che era al contempo digeribile per le masse e intransigente nella sua onestà sull’America, sia presente che passata.

Le sue canzoni sono universali, ma Aretha è diventato politica perché lo è essere neri. Perché lo è essere donna. E per prendere in prestito l’elogio funebre di Ossie Davis per Malcolm X, Franklin era l’incarnazione vivente del femminismo nero. Il suo potere come artista non stava semplicemente eccellendo in ogni singola forma musicale americana, ma facendolo nel ritmo delle nostre sorelle, madri e nonne. Ha creato canzoni che erano digeribili per le classifiche pop con una voce che abbiamo riconosciuto dal coro della chiesa, da quelle telefonate alla nonna lontana – e ora, anche dai più alti pulpiti politici della terra.

Affinché noi i neri non perdiamo mai più le nostre voci, la sua continuerà a guidarci sani e salvi a casa. La voce di Miss Aretha è stata apprezzata da tutti, ma lei ha fatto in modo di che noi sapessimo quanto ci amava.

Iscriviti