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Il mondo che vorrei nella musica degli artisti attivisti

Lotta al cambiamento climatico, diritti umani, manifesti anti-bellici. I musicisti sono sempre più coinvolti nel racconto sociale, tenendoci in guardia e indicando possibilità e speranza da cui ripartire

Il mondo che vorrei nella musica degli artisti attivisti

George Michael, Harvey Goldsmith, Bono, Paul McCartney e Freddie Mercury al Live Aid di Londra nel 1985

Foto: Staff/Daily Mirror/Mirrorpix/Getty Images

L’arte è da sempre una cartina tornasole della condizione della nostra società. Specchio di quanto accade nel mondo, la musica ci dà conferme e risposte, ma anche nuove idee, spunti, punti di vista critici. Le canzoni sono state sempre un’arma della rivoluzione quanto dei piccoli gesti. Che sia in grande, o in piccolo, il ruolo dei musicisti e degli artisti è sempre stato fondamentale per cercare di indicare una linea guida da seguire come dimostrano attività legate ai diritti umani e alle vittime della guerra (pensiamo alle storiche raccolte fondi promosse dalle compilation di War Child), alle malattie e pandemie (i famosi concertoni del Live Aid organizzati da Bob Geldof), all’ambiente (con le iniziative sonore di Greanpeace).

Negli ultimi anni parecchie attività e iniziative sono sorte come reazione ad una situazione umana e naturale sempre più complessa, dandoci segni di speranza a cui possiamo aggrapparci. In questo universo propositivo, l’ultimo in ordine di tempo è il progetto L’Italia che vorrei di Lavazza (sostenuto da Marracash, Elodie e Levante), in cui la speranza è utilizzata come motore di cambiamento. Questo ci ha fatto pensare al modo in cui canzoni e artisti hanno interagito con concetti come speranza e cambiamento.

Prendiamo ad esempio l’attenzione della musica per il cambiamento climatico, oggi più che mai presente in album e progetti. Certo, non è una preoccupazione recente, basti pensare a celebri brani come Big Yellow Taxi di Joni Mitchell del 1970 con il verso «hanno asfaltato il paradiso per farci un parcheggio», Mercy Mercy Me (The Ecology) di Marvin Gaye del 1971 che parla di radiazioni e inquinamento atmosferico, Indian Summer Sky degli U2, New World Water di Mos Def nel 1999 che indaga il tema delle alluvioni così come And It Rained All Night di Thom Yorke del 2006 che, da solo e con i Radiohead, ha spesso dato voce a queste istanze come in Hands off the Antarctic, un brano composto in esclusiva per una campagna di Greenpeace. Sempre tramite Greenpeace, Ludovico Einaudi si è esibito al pianoforte sui ghiacci del Mar Artico in Norvegia, con il brano dal titolo Elegy For The Arctic per proteggere l’Artico dallo sfruttamento e dai cambiamenti climatico.

Negli ultimi anni, con l’allargarsi della conversazione sul cambiamento climatico, queste tematiche fanno parte del quotidiano, fuori e dentro la musica. Pensiamo ad esempio a come l’attivista climatica svedese Greta Thunberg sia entrata nella musica italiana e internazionale. La sua voce è entrata nel brano di apertura Notes On A Conditional Form della band inglese 1975 così come in Picnic all’inferno di Piero Pelù e il suo nome ha dato titolo ad un famoso brano di Marracash in collaborazione con Cosmo (che durante Sanremo 2022, ospite de La rappresentante di lista, ha urlato al microfono ‘Stop greenwashing’, schierandosi contro le aziende che fanno ecologismo di facciata).

E ancora l’enfant prodige Billie Eilish con l’autoesplicativo video del singolo All the Good Girls Go to Hell, i One Republic con Truth to Power, colonna sonora del documentario An Inconvenient Sequel, diretto da Bonni Cohen e Jon Shenk. Il film parla dei cambiamenti climatici, Childish Gambino con il successo Feels Like Summer a tema surriscaldamento globale e Lana Del Rey con The Greatest, brano che parla degli incendi in California. Sir Paul McCartney, con Despite Repeated Warnings del 2018, ha evidenziato come i governi si siano disinteressati ai preoccupanti allarmi degli scienziati mentre Grimes ha parlato del rapporto tra natura e umani come di violenza, nel brano Violence estratto da Miss Anthropocene, tema da sempre caro in tutta la discografia dell’islandese Björk che invece nel suo ultimo lavoro si è dedicata al mondo dei funghi.

L’attivismo è quindi parte integrante della cultura pop. Dal manifesto vegetariano degli Smiths di Meat Is Murder del 1985 ai brani che hanno voluto dar luce alla crisi dei migranti come Borders di M.I.A. che ha portato alla realizzazione del suo documentario, The Immigrant Story, da chi si è schierato per i diritti LGBTQIA+ come Sam Smith e Kim Petras e il successo della loro Unholy alle seconde generazioni rappresentate da artisti come Ghali e Epoque che orgogliosamente richiamano le loro origini nei loro brani. Un percorso lunghissimo che attraversa la storia della musica da People Have the Power di Patti Smith fino agli spirituals e ai gospel, generi nati dagli schiavi afroamericani.

David Byrne, storico leader dei Talking Heads, ha invece lanciato un’iniziativa totale da questo punto di vista, Reasons to be Cheerful. Accompagnata da un sito web dedicato e un tour di conferenze in giro per il mondo, Reasons to be Cheerful vuole essere un raccoglitore di tutte le iniziative positive che stanno accadendo nel mondo, dal micro al macro, un modo per ribaltare il racconto quotidiano: piuttosto che soffermarsi solo e unicamente sulle negatività e le tragedie che accadano al mondo, premiare ed evidenziare gli atti positivi e di speranza, nell’idea che la speranza possa esser un buon esempio per portarci ad agire e pensare differentemente il nostro pianeta e il nostro ruolo nella società.

Ogni piccolo gesto è quindi, di per sé, un gesto che porta ad un cambiamento e l’arte, raccontando la società, sembra sempre più intenzionata ad aver un ruolo di rilievo nel far notare quanto il mondo di oggi abbia bisogno di tutto un altro approccio al quotidiano, alla vita, alla natura.