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Il meglio del 2016 secondo Rolling Stone

Il trionfo di Beyoncé, l'addio di Bowie, il gospel secondo Chance: un anno in musica

1. “Lemonade” di Beyoncé

Beyoncé ha messo a tacere tutti con questo capolavoro infuocato, una testimonianza sull’amore, sulla rabbia e sul tradimento, sentimenti fin troppo reali nell’America del 2016. La regina ha impacchettato un album che fagocita le divisioni tra generi: pieno di confessioni, sopra le righe, ma allo stesso tempo così intimo da spezzare il cuore, Lemonade può essere visto come il suo ritratto personale di una nazione in fiamme. Ha fatto uscire il disco a sorpresa, di sabato sera, andando a toccare ogni genere di musica americana, dal country (Daddy Lessons) al blues metal (Don’t Hurt Yourself), fino al post-punk che si trasforma in dancehall (Hold Up) e all’hip hop femminista carico di rabbia (Sorry). Anche vedendo All Night come un’ambigua risoluzione, è un album pieno di dolore, e per questo funziona in modo particolare dopo le elezioni Usa. Beyoncé esplora cosa vuol dire essere traditi da un amante – o da una nazione – che ti aveva fatto sentire al sicuro. Sfortunatamente, abbiamo capito che sta cantando di tutti noi.

2. “Blackstar” di David Bowie

Non c’è mai stato un addio musicale come Blackstar. Il Duca Bianco ha tenuto la sua performance più audace come atto finale. Bowie si è materializzato il giorno del suo 69° compleanno per pubblicare un capolavoro a sorpresa, lasciarlo sezionare da noi umani, stupiti, per un paio di giorni e poi andarsene in cielo. Un anno dopo, Blackstar è capace di far apparire nuovi misteri a ogni ascolto. È uno degli album più complessi dello Starman, che vira verso ballate space-jazz come Lazarus, o la epica title track da 10 minuti (Tony Visconti ha raccontato che Bowie si è ispirato ad artisti come Kendrick Lamar e D’Angelo). Ma è stata necessaria la sua scomparsa per far capire che Blackstar è anche una riflessione sulla mortalità, fino alle ultime parole: “I can’t give everything away”, un pezzo non meno toccante di Heroes.

3. “Coloring Book” di Chance the Rapper

Il miglior album hip hop di quest’anno ha una visione luminosa come la sua copertina rosa. Il terzo mixtape di Chance the Rapper combina la politica più radicale con l’elevazione paradisiaca per creare tracce piene di vita, che non evitano però di trattare la dura realtà. I cori gospel sono la spina dorsale di questo album estatico, ma tutto quello che c’è in Coloring Book sembra prendere una sfumatura spirituale: “I don’t make songs for free, I make ’em for freedom”, dice Chance nella profonda Blessings. Lo sfondo è una Chicago in crisi, il suono è abbastanza imponente da lasciare spazio sia a una parte di vocoder futuristico che a una di musica afro-americana tradizionale. La struttura di rime di Chance è complessa, ma accessibile e riflette una visione ottimista e irresistibile.

4. “Teens of Denial” di Car Seat Headrest

Ecco la combinazione di chitarre più vincente dell’anno, piena di riff che girano su se stessi come luci strobo e testi che accendono intuizioni, slogan e battute così velocemente che non ti fanno capire l’argomento centrale. Dopo anni di album solisti lo-fi, Will Toledo ha messo insieme una band che l’ha aiutato a portare la sua scrittura a un altro livello. “Friends are better with drugs… Drugs are better with friends”, canta in un pezzo, mentre parla di come prendere funghetti senza sballarsi – le sue canzoni sono piene di ragazze che offrono ascolto al posto del sesso, e armadietti delle medicine con cui puoi scegliere una nuova personalità. Tuttavia, il suono è tutto, tranne che deprimente. Come i Nirvana che ci hanno nutrito di quiete e di esplosioni, i Car Seat Headrest sanno come essere intimi ed epici allo stesso tempo.

5. “Blonde” di Frank Ocean

Sono serviti quattro anni per costruire questo audace secondo atto, seguito di Channel Orange. Questa cura si sente nella musica. Blonde è una meraviglia sballata, piena di psichedelia digitale. Le canzoni, influenzate da Brian Eno tanto quanto da Beyoncé, sono sommerse in ricordi che minacciano continuamente di scomparire: l’infanzia, l’amore, quella volta che hai preso un acido e ti sei sentito Mick Jagger. Il tema è l’inseguire una libertà, sempre temporanea – musicale, emozionale, sessuale – come in White Ferrari, dove Ocean riscrive Here, There and Everywhere dei Beatles per catturare una scorribanda adolescenziale, o in Pink + White, fugace visione di felicità di fine estate. Niente in Blonde è facile da definire. Le tracce passano da atmosfere spaziali a momenti ecclesiastici, per ogni tipo di ascoltatore.

6. “A Moon Shaped Pool” di Radiohead

Il primo album dei Radiohead dopo cinque anni è tra i loro più seducenti, traboccante com’è di piano, violini e abbellimenti di chitarra acustica. Ma non è mai davvero rassicurante. Thom Yorke avvisa: la verità vi distruggerà.

7. “Blue & Lonesome” di The Rolling Stones

Gli Stones tornano alle loro origini profonde con un disco di crude cover blues. Suona come se fosse il 1963, ma la loro saggezza li ha aiutati a connettersi profondamente con questi classici.

8. “The Life of Pablo” di Kanye West

È la Guernica di Kanye, così poderosa da far girare la testa anche a Picasso. Pezzi come Ultralight Beam e 30 Hours rappresentano West al suo apice, e si aggiungono alla spezzettata visione della sua vita da “adulto di 8 anni”.

9. “You Want It Darker” di Leonard Cohen

Come Blackstar, questa vigorosa dichiarazione è arrivata poco prima che l’artista ci lasciasse. A 82 anni, Cohen regala una meditazione tormentata su amore e morte: “I’m ready, my Lord”, e la sua voce cammina verso l’eternità.

10. “Jeffery” di Young Thug

L’album più forte nella carriera del vocalist più accattivante dell’hip hop. Thug ansima, ulula e borbotta in tracce ipnotiche come Kanye West, che è brillante e incasinata esattamente come l’uomo che l’ha ispirata.

11. “A Seat at the Table” di Solange

Un’affermazione neo-soul tanto graziosa quanto oscura. Dopo aver provato molti generi, la sorella di Beyoncé atterra su un R&B morbido e minimale, con testi impegnati su dolore e femminilità delle afroamericane.

12. “Stranger to Stranger” di Paul Simon

I suoni del suo 13° album attraversano i generi, tra scatti blues e ansie profonde, con testi su stragi di massa e differenze di reddito. Ma si può trovare consolazione nella musica stessa, cullante, scoppiettante, strana ma piacevole.

13. “Hero” di Maren Morris

Morris incarna la nuova libertà senza regole del country. Segue le lezioni di Johnny Cash e Hank Williams, ma pezzi come Rich e 80s Mercedes sono pieni di fascino pop, stile R&B e croccanti chitarre rock.

14. “Revolution Radio” di Green Day

Sono i Green Day più esplosivi dai tempi di Dookie del 1994: un festino che riassume decenni di esperienze musicali ed emozionali – dalla richiesta di chiarezza su Somewhere Now alla Who-esca, potente Forever Now.

15. “Return to Love” di LVL Up

Le chitarre nineties di questi brooklyniani degli anni ’10 non sono soltanto più affilate di quelle di tutti gli altri. Mettono nelle canzoni una fame spirituale che non si sazia, neanche quando la vita sembra sul punto di schiacciarli.

16. “The Weight of These Wings” di Miranda Lambert (anno)

Un’abbuffata su doppio LP della regina del country, che vive un post-divorzio pieno di bevute, flirt e canzoni che resteranno negli annali.

17. “Human Performance” di Parquet Courts

Questi avventurieri della chitarra non sono mai sembrati così liberi, con un malessere newyorkese che si somma a uno stile tra Bob Dylan e Lou Reed.

18. “I Like It When You Sleep, for You Are So Beautiful Yet So Unaware of It” di The 1975

I nuovi arrivati del rock UK sono sopravvissuti all’hype puntando su reminescenze duraniane, pulsazioni INXS e sognante estetica emo.

19. “Atrocity Exhibition” Danny Brown

La scheggia impazzita dell’hip hop di Detroit scava paurosamente a fondo nel lato dark del fare festa. Il risultato: una richiesta d’aiuto da brividi.

20. “Skeleton Tree” di Nick Cave and the Bad Seeds

L’icona del goth-punk risponde alla tragica perdita di suo figlio con agonizzanti ballad, che si immergono nel cuore dell’oscurità.

21. “Midwest Farmer’s Daughter “ di Margo Price

La più furba artista del retro-country mette un po’ di sculettamenti à la Loretta Lynn in uno dei debutti più intensi dell’anno.

22. “22, a Million” di Bon Iver

La star dell’alt-folk Justin Vernon prende la sua chitarra e guarda verso il futuro con un album di rigoglioso, etereo R&B dai toni robotici.

23. “Puberty 2” di Mitski

Il quarto LP dell’indie rocker di Brooklyn suona ingegnoso, pazzo e rivelatore. Un ascolto strambo e gratificante.

24. “AmericanBand “ di Drive-By Truckers

I DBTs mescolano analisi politiche, ricordi vividi e sventagliate di chitarre, tra gli Stones e gli Skynyrd, mentre ragionano sull’America di Trump.

25. “Anti” di Rihanna

La reginetta pop dei singoli da classifica sa fare anche dei dischi, esplorando il funk più psichedelico a modo suo.

La classifica è stata pubblicata su Rolling Stone di gennaio.
Potete leggere l’edizione digitale della rivista,
basta cliccare sulle icone che trovi qui sotto.

 

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