Rolling Stone Italia

Il funk creò Anderson .Paak e vide che era cosa buona

È come se James Brown, Lil Wayne, Marvin Gaye e Joe Cocker abbiano impiantato qualcosa di loro nel sistema linfatico della reincarnazione di Zigaboo Modeliste, il batterista dei Meters. Siamo stati al live di Anderson .Paak ieri sera al Carroponte.
Fonte: Facebook

Fonte: Facebook

Una volta Anderson .Paak ha confessato alla Radio Pubblica Americana che quel puntino fra il nome e il cognome sta per “dettaglio”. «Prestare sempre attenzione ai dettagli. La gente ti prende sul serio se per primo lo fai con te stesso» ha detto. «Ho speso molto tempo a lavorare sulla mia arte, sviluppando un mio stile. E quando finalmente i frutti sono arrivati, mi sono promesso che non avrei mai trascurato i dettagli. Quel punto sta lì per ricordarlo sia a me che agli altri.» Un meticoloso perfezionista, che dopo sacrifici ingombranti è riuscito nell’impresa.

Mettici anche un desiderio di rivalsa su una vita che per i primi vent’anni (ora sono 32) non è stata proprio clemente, fra violenze domestiche da bambino («Io e mia sorella siamo usciti di casa e mio padre era sopra mia madre. C’era sangue sulla strada. L’hanno arrestato, e quella è stata l’ultima volta che l’ho visto. Penso si sia fatto 14 anni.»), e un’adolescenza praticamente inesistente essendosi sposato giovane e poi ri-sposato, stavolta con l’arrivo di un figlio. Dopo di ciò, è seguito un periodo di totale disoccupazione, con tutte le belle cose che si porta appresso l’essere poveri in canna.

Ora, a questo punto due sono le vie: o ti fai sopraffare dagli eventi e cominci ad annullarti più o meno lentamente con ogni tipo di attività distruttiva che la società occidentale può offrire—nessuno giudica, distruggersi è un diritto sacrosanto—, oppure ti tatui nel cervello l’immagine di tremila persone che ti applaudono da sotto il palco e dal quel preciso istante ogni tuo singola azione sarà esclusivamente dedicata al concretizzarsi di quell’immagine mentale.

Il fatto è che Anderson .Paak all’appuntamento con l’immagine mentale ci è arrivato più preparato del previsto, tanto da fare sembrare fin troppo poche le (più o meno) tremila persone di ieri sera al Carroponte. Anderson è un mostro, è un suprereroe.

È come se James Brown, Lil Wayne, Marvin Gaye e Joe Cocker abbiano impiantato qualcosa di loro nel sistema linfatico della reincarnazione di Zigaboo Modeliste, cioè il batterista dei Meters. La data dell’anno scorso a Verona dev’essere servita a spargere la voce: “Il live di Anderson è una bomba”. Ma di fatto è anche di più.

Come Down, The Waters, Glowed Up: non si fa assolutamente problemi ad attaccare con alcuni dei sui pezzi conosciuti, perché tanto basta un «MILANO FACCIAMO UN PO’ DI CASINO” in perfetto italiano per far propagare un boato di 3 kilotoni dal pubblico. Non ci sono tempi morti, perché anche se il pezzo non è dei più danzerecci (oh, servono anche quelli), sei comunque anestetizzato da un gioco mortale di sorrisetti a 567 denti, balletti, movimenti pelvici o molto più semplicemente pezzi suonati personalmente da lui alla batteria, tipo Heart Don’t Stand A Chance. A completare il quadretto ci sono i Free Nationals, che più che un gruppo spalla sembrano un’estensione delle molteplici personalità del cantante (ci sarebbero sei libri da scrivere solo sul tastierista, immenso in ogni senso).

Piccoli dettagli, che alla fine contano esattamente come il puntino fra Anderson e Paak. Non mancherà molto prima che Gigi La Trottola tornerà in Italia, solo che allora saremo molti di più e ci ritroveremo a dire “Pensa che l’ultima volta eravamo solo tremila”.

Iscriviti