Intervista a Il Cile per l'uscita del suo nuovo album "In Cile veritas" | Rolling Stone Italia
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Il Cile: “Tutta la veritas su amore, vino e latino”

Il cantautore toscano presenta il nuovo album: «Non sono il portavoce della mia generazione ma spero di essere un buon osservatore»

Il Cile: “Tutta la veritas su amore, vino e latino”
Il Cile - Sapevi Di Me

Di Silva Danielli

Il Cile si mette in croce e così si fa fotografare per la copertina del suo nuovo album In Cile veritas, uscito ieri martedì 2 settembre per Universal. È solo una croce bianca dipinta per terra sopra alla quale il cantautore si è sdraiato e anche la citazione latina non ha pretese di mostrare alcuna verità al mondo.

«Dopo un titolo come Siamo morti a vent’anni avevo due opzioni», racconta Il Cile, all’anagrafe Lorenzo Cilembrini, classe 1981, «o sceglievo un titolo serioso oppure ironico. Ho preferito la seconda strada e ho voluto fare un omaggio alla mia terra, la Toscana, e al suo vino. Poi confesso che mi è sempre piaciuto il titolo Oro, incenso e mirra di Zucchero».

Il tema principale del nuovo album è il racconto di un «sali e scendi emozionale dove chiunque possa identificarsi», accompagnato da suoni più pop rispetto all’album d’esordio del 2012, e in quasi tutte le dieci tracce è l’esperienza di un amore finito male a farla da padrona. «Sono tutte autobiografiche. Certo dall’amore ho imparato molto, in Parlano di te ho raccontato della mia convivenza durata sette anni e finita in maniera piuttosto lacerante, ma poi grazie alla musica ho fatto una sorta di autoanalisi. L’amore è un suicidio invece è un brano decisamente ironico».

Anche il primo singolo uscito quest’estate, Sole cuore alta gradazione ironizzava sui tormentoni estivi: «Inizialmente volevamo intitolarlo Sole, cuore, autodistruzione ma poi io e Fabrizio (Barbacci, il suo produttore ndr) abbiamo cambiato idea perché ci sembrava eccessivo».

Di sicuro Il Cile (molto seguito e amato sui social network) non si sente il portavoce della sua generazione, «cerco di essere un buon osservatore di quel che mi capita attorno, quello sì. E se qualche ragazzo di qualsiasi età mi fa sapere di essersi immedesimato nelle mie parole allora penso di aver raggiunto l’obiettivo». E vorrebbe, in fondo, lanciare un messaggio positivo: «In questo lavoro penso di avere una visione meno nichilista e il racconto chiaro-scuro è diventato molto più chiaro. Questa crisi a cui stiamo assistendo, non è solo economica ma anche sociale e umana: deve diventare anche un’opportunità quindi e non deve bloccarci. In fondo la parola crisi significa scelta».

Il Cile, forse si sente più vicino ai rapper piuttosto che ai cantautori, quando gli viene chiesto se sia d’accordo con quanti affermano che oggi i primi hanno assunto il ruolo che prima era dei cantautori, almeno per quanto riguarda la capacità di raccontare la realtà quotidiana:
«Mi sono trovato molto bene a collaborare con i Club Dogo, con Clementino, e ho scritto un brano per Fabri Fibra insieme a Gué Pequeno. Forse è più semplice che un adolescente oggi si identifichi di più con quanto scritto da loro piuttosto che nella emotività più criptica di un Vasco Brondi».

Il latino sembra essere un chiodo fisso per il cantautore: il titolo, In Cile veritas, il tatuaggio sul petto, “Omnia munda mundis”, la frase finale del booklet, “Ex tenebris oritur lux”: è così? «Penso spesso alla consecutio temporum quando non mi vengono bene le frasi in italiano e, sembrerà strano, ma mi capita di ripensare ai testi delle versioni che traducevo al liceo scientifico, dove andavo malissimo in matematica. Non sono un latinista, però mi piace come lingua e mi ricorda un periodo bellissimo della mia vita».