Il bellissimo tributo di Jack White a Dexter Romweber: «Non era un musicista rock’n’roll, lui ERA il rock’n’roll» | Rolling Stone Italia
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Il bellissimo tributo di Jack White a Dexter Romweber: «Non era un musicista rock’n’roll, lui ERA il rock’n’roll»

Il rocker dei Flat Duo Jets (e non solo) è morto il 16 febbraio. Aveva 57 anni. «Dire che era punk è come dire che la Piramide Cheope è un castello di sabbia»

Il bellissimo tributo di Jack White a Dexter Romweber: «Non era un musicista rock’n’roll, lui ERA il rock’n’roll»

Dexter Romweber

Foto: Stephen J. Cohen/Getty Images

Jack White ha reso omaggio su Instagram a Dexter Romweber, il rocker dei Flat Duo Jets morto il 16 febbraio a 57 anni.

«Non era un musicista rock’n’roll, ERA il rock’n’roll da capo a piedi anche se non lo voleva, non ci poteva fare niente», scrive White. «È una cosa che si dice spesso, ma nel caso di Dex è vera. Dire che era punk è come dire che la Piramide Cheope è un castello di sabbia. Era il tipo che a cui non offrono cene da tre portate, premi, dischi d’oro e statue perché sono troppo veri, sono troppo di tutto, troppo strani, troppo giusti».

Romweber, scrive ancora White, «era il vero romanico tormentato, trattato ingiustamente e perennemente col cuore infranto, eppure pieno di speranza. Era una presa di corrente, un’anima antica, un vampiro, un uomo delle caverne in un’epoca moderna, un soldato in trincea nella Prima guerra mondiale, un americano differente, uno che aveva esaurito la fortuna e viveva in periferia, uno che era solo anche in una stanza piena di gente. Ha cenato con Van Gogh, ha prestato al vostro amico gli ultimi 10 dollari che aveva in tasca, trasudava amore innocente e ingenuità. Guardava la Luna, comunicava con Gene Vincent a un altro livello mentre leggeva George Gurdjieff alla luce di una lampada di seconda mano e senza più sigarette alle 3 del mattino. Aveva sempre la peggio, ma chiunque ci parlasse non poteva che desiderare per lui pace e amore, senza sapere come fare ad arrivarci. Era una delle persone migliori che abbia conosciuto e una delle mie influenze più care».

«Una volta, durante un concerto, finito l’ultimo accordo di un pezzo, gettò la chitarra a terra, saltò giù dal palco della St. Andrews Hall di Detroit e corse dritto verso di me per parlarmi. Non l’avevo mai incontrato prima. Avevo 18 anni. Col tempo mi ha passato segreti che non racconterò mai e mi ha fatto venire le lacrime agli occhi quando mi ha detto quant’era orgoglioso di me. Ma ero io ad essere orgoglioso di lui e sempre lo sarò. Era lo zio che per andare a trovare valeva la pena attraversare la città in bici. Non ne fanno più di persone come Dex, non finché non ci daremo una regolata come esseri umani. So che non soffri più, Dex, e che vivi finalmente in uno stato di beatitudine. Te lo meriti, tu più di tutti quanti noi».

 

 
 
 
 
 
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