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Il beatmaking fra vecchia e nuova scuola

Microspasmi, Kaytranada e Flume: tre dischi a confronto per fare il punto della situazione sulla direzione che sta prendendo la figura del beatmaker

Foto: Facebook

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Chissà se Kool Herc si sarebbe mai immaginato quanta strada potesse fare l’hip hop in 40 anni. E, soprattutto, quante forme potesse assumere il genere, che nei suoi primi istanti di vita consisteva in tagli rudimentali di stacchi di batteria. Da lì in poi ognuno ci ha aggiunto del suo, finché non ci si è resi conto che le cose vengono meglio se fatte in studio armati di calma, campionatore e magari due linee di basso Motown da saccheggiare. I tre dischi che maltrattiamo oggi, per quanto facciano parte di universi distantissimi, derivano tutti dallo stesso approccio postmoderno alla produzione musicale che viene individuato nel beatmaking. Da una parte c’è chi con il sampler non ha mai smesso di pacioccare ed è il caso dei Microspasmi. Ormai sono quasi vent’anni che Medda e Goedi rimangono fedeli alle sacre scritture, sperimentando ma pur sempre entro i confini del reame boom bap, quello campionato.

In questi giorni il sottobosco rap è tornato a fare il loro nome per via del terzo Come 11 Secondi, che collaborazioni d’oro a parte (Dargen, Fritz Da Cat, Ensi solo per citarne alcuni) conferma la notizia: gli anni ’90 non stancano finché si parla di rap e le mode vanno e vengono ma il funk rimane lì, granitico. Chiedetelo a Kanye West che per The Life of Pablo è tornato da Madlib in ginocchio e con la coda fra le gambe. Dall’altra parte del ring c’è invece il produttore che da beatmaker ha mosso i primi passi, per poi acquisire la ragione sociale di artista e quindi fare un po’ il cazzo che gli pare. Mobb Deep, Vic Mensa, Freddie Gibbs, Anderson Paak: Kaytranada ha messo la firma sui beat di ciascuno di questi rapper, ma pian piano ha accumulato abbastanza materiale per sé da racchiuderlo in un primo LP. Non è affatto un’esagerazione dire che 99,9% in termini di beatmaking è come se facesse rivivere J Dilla con i suoi sidechain e saliscendi fra cassa e basso. Infine, Flume e il suo nuovo Skin, versione digitalizzata e da festival del suono di Kaytranada, che inevitabilmente farà più notizia degli altri due album sommati. Cosa che forse tradisce un futuro poco roseo per il beatmaking per come lo intendono i Microspasmi, ma se è quello il destino lo accetteremo senza discutere.

Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone di giugno.
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