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I traslochi di Alice Merton

Una vita passata fra gli scatoloni ha regalato alla giovane cantante tedesca qualcosa da raccontare. E lei è riuscita a tirare fuori "No Roots" un tormentone malinconico ma ballabile.

I traslochi di Alice Merton

Alice Merton ha scritto No Roots per affrontare i suoi 12 traslochi in appena 24 anni di vita. E la canzone ha affrontato una sorta di pellegrinaggio per parallelo. Dopo la sua pubblicazione nel 2016, ha iniziato ad avere successo in Europa alla fine dello scorso anno, per poi arrivare a conquistare gli Stati Uniti e sorpassare i 70 milioni di views su Youtube. «L’idea dietro la canzone, per me, era molto deprimente», racconta Merton, che si divide tra la Germania e l’Inghilterra. «Avevo realizzato di non avere una casa. Non avevo un posto che mi facesse sentire così».

Naturalmente la canzone all’inizio aveva accordi “abbastanza malinconici” ma è poi evoluta in una traccia allegra di synth-pop con un basso che in qualche modo ricorda Gonna Make You Sweat (Everybody Dance Now) dei C+C Music Factory, una hit degli anni ’90. Ma è difficile non notare alcuni sentimenti contrastanti nelle parole “Costruisco una casa e aspetto che qualcuno la abbatta”.
Suo padre lavorava nel settore minerario e, assieme al desiderio di viaggiare dei suoi genitori, hanno portato Merton a dividersi tra il Canada, gli Stati Uniti, la Germania e l’Inghilterra. Un’esistenza nomade che l’ha obbligata a rinunciare agli aspetti più materiali. «Mia madre aveva sempre pronti due scatoloni e a ogni trasloco mi diceva: “Le cose che vuoi tenere le metti in questo, quello che sta nell’altro lo buttiamo”». Merton ha lavorato con il producer Nicolas Rebscher per dare forma al funky di No Roots. «Volevo che la canzone fosse una liberazione e che avesse un ritmo divertente», spiega. «Quando la eseguo da sola è molto malinconica, ma quando la suono con tutta la band ti carica. Mette in mostra i due lati di non avere radici».

No Roots non apparteneva a nessun trend, né all’indie rock né al pop, così le etichette all’inizio non sapevano cosa farne. «Alcuni ci dissero: “Pensiamo che stia prendendo una direzione interessante, ma ci piacerebbe scrivessi qualcosa di più, che producessi di più. Non crediamo che sia esattamente quello che vogliono le persone, e non pensiamo funzionerà”». Ha autoprodotto la traccia su un’etichetta che ha chiamato Paper Plane Records, un’omaggio a M.I.A., per poi firmare per la Mom + Pop Music, la casa di Courtney Barnett. Ammette che aver vissuto spesso con la valigia pronta le ha insegnato a muoversi con agilità, adesso che si deve spostare per il tour.

«Ancora non posso crederci che le persone possano relazionarsi in qualche modo con la canzone», dice. «Quando l’ho scritta, l’ho fatto per una ragione molto personale. Stavo cercando di capire come mi sentissi. Penso che fosse una questione egoistica. Penso che ora la canzone abbia preso un significato diverso, che sia cambiato con il tempo. E forse è per quello che piace a così tanti».

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