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Il White Album e il volto nascosto dei Beatles

In occasione del 50esimo anniversario del capolavoro uscito nel 1968, una nuova edizione deluxe racconta i Fab Four come mai ce li saremmo immaginati, distruggendo tutti i luoghi comuni sulla band.

Il White Album e il volto nascosto dei Beatles

Foto © Apple Corps Ltd. via Facebook

Tutto ciò che conosciamo del White Album riguarda il cambiamento. Il capolavoro firmato dei Beatles nel 1968 è sempre rimasto il più grande mistero della loro storia – il lavoro che contiene la musica più selvaggia, strana, più sperimentale e geniale nella carriera della band. Tuttavia, il White Album è un lavoro ancora più strano di quello che tutti conoscono. In particolare quando lo si ascolta ad Abbey Road, il leggendario studio di registrazione dove la band trascorse cinque mesi per realizzare il disco. Per qualche giorno – e qualche notte – Rolling Stone è stato invitato negli studi londinesi per un tour esclusivo attraverso le gemme inedite che andranno a comporre l’edizione super deluxe di The Beatles (in uscita il prossimo 9 novembre), il disco che sarebbe poi passato alla storia con il nome di White Album . A farci da guida il produttore Giles Martin, figlio del ‘quinto Beatle’ George Martin, tra registrazioni mai ascoltate prima dissepolte dagli archivi e spiegazioni chitarra alla mano di tutte le particolarità melodiche che costellano l’album. «Erano una band all’apice della creatività», racconta. «Questa nuova edizione dell’album è una sorta di doppio o triplo Sgt. Pepper – le quattro mura di questo studio non potevano continuare a tenere segreto».

Gran parte della mitologia attorno al White Album riguarda la parte ‘drammatica’ del disco – le liti e le discussioni tra i Fab Four durante la lavorazioni sono ormai diventate leggenda. Per cui ciò è sorprendente sentire come da questa nuova versione del disco emerga un clima disteso e di divertimento tra i membri della band. Per esempio, in una versione inedita di Good Night si sentono John, Paul, George e Ringo che armonizzano le voci su un giro di chitarra folk. Come sottolinea Martin: «Li senti cantare insieme e ti viene da chiederti se questo sia davvero il White Album».

Ed è proprio così, si tratta proprio del White Album – e questo nuovo, gigantesco, box-set riesce a scavare nelle profondità più recondite della frenesia creativa in cui erano immersi i Beatles nel 1968. Il nuovo missaggio è stato curato dal produttore Giles Martin e dall’ingegnere del suono Sam Okell e, a impreziosire ancora di più il progetto, ci sono quattro dischi con materiale mai sentito prima, compresi quelli che sono i veri diamanti della corona dei Beatles, fino ad oggi segreti: i demo acustici registrati ad Esher.

Il cofanetto è stato realizzato sull’onda del successo riscosso lo scorso anno dall’edizione celebrativa di Sgt. Pepper. Tuttavia, per questo disco si è scavato ancora più a fondo, dato il significato così ampio dell’album. Ricaricati dal viaggio in india, tutti e quattro erano all’apice della loro capacità compositiva – persino Ringo, che contribuì alla scrittura realizzando Don’t Pass Me By. Non vedevano l’ora di tornare in studio, ma non avevano idea di quale trauma sarebbe stato per loro. Not Guilty di George, ad esempio, passò attraverso a 102 take, e ciò nonostante non fu inclusa nell’album. Il loro storico produttore, da tempo malato, dopo qualche mese lasciò gli studi. Ringo non solo mollò per qualche settimana, addirittura volò in un altro paese.

Durante la realizzazione del disco si spinsero l’un l’altro al limite – ma in questo modo riuscirono a creare la musica più coraggiosa della loro intera carriera. Ciò su cui questa nuova edizione punta i riflettori è proprio la sfacciataggine, la spontaneità, la voglia di rischiare, lo spirito di squadra. Mentre i nastri corrono, i ragazzi scherzano fra di loro. Alla fine di una take, si sente la voce divertita di Paul che dice “Continua così. Rendilo fab“. Non erano spaventati di mettersi al lavoro sulle loro idee più folli. Come Giles Martin sottolinea: «La linea tra il lavoro finale e il puro cazzeggio è davvero sottile».

Gli outtakes che ritraggono il clima in studio durante le lavorazioni, sembrano distruggere ciò che si è sempre creduto di quel periodo, ovvero di una band ormai divisa in quattro musicisti solisti. «Non credi che la percezione della storia dei Beatles sia stata ‘contaminata’ da come l’hanno raccontata più tardi, nei primi anni ’70?» chiede Martin. «Io credo che nel periodo post-Beatles, quando ormai la goccia aveva fatto traboccare il vaso e tutti avevano preso una strada solista, siano stati proprio loro a reagire contro la loro storia. “Oh, ad essere onesti non lavoravamo poi così bene insieme”, robe del genere. Tuttavia non avevano mai dimostrato un rallentamento creativo. Mi piace l’immagine di loro che si lanciano addosso tazze di the in studio, e sono un po’ deluso di non averlo ritrovato nelle registrazioni. In realtà stavano semplicemente realizzando un disco».

Le nuove edizioni deluxe e super deluxe finalmente svelano i demo realizzati ad Esher, un tesoro che i fan più radicali dei Beatles aspettano di sentire da anni. Nel maggio del 1968, appena tornati dall’India, la band si rifugiò nel nella tenuta di George a Esher per registrare le versioni unplugged delle nuove canzoni che avevano già accumulato per il prossimo album. Negli anni successivi, lavorando insieme o da soli, tirarono fuori 27 canzoni. Quei nastri rimasero in una valigia, custodita in casa di George per anni. Sette tracce uscirono con Anthology 3; altre non sono mai state pubblicate in nessuna versione dei Beatles, tra cui Child of Nature di John e Sour Milk Sea di George. Soltanto la presenza delle registrazioni di Esher rende questa nuova edizione imperdibile, e con la nuova luce di freschezza trasmessa dalla band diventa un lavoro unico. Martin ha commentato, «Sono registrazioni grezze, ma molto spirituali, le performance sono incredibili».

Questa riedizione comprende nuove versioni di altre canzoni risalenti allo stesso periodo: Hey Jude, Lady Madonna, The Inner Light, Across the Universe – non il b-side Hey Bulldog, di cui non c’è nessun outtake perché fu suonato una sola volta. Ci sono anche alcune divagazioni fra i classici, con le cover di Blue Moon e You’re So Square (Baby I Don’t Care). Viene portato alla luce ciò che avrebbe sempre dovuto essere evidente fin dal disco originale, ovvero quattro ragazzi che suonano come una vera band e che non riescono a smettere di misurarsi tra loro, troppo innamorati delle loro canzoni per considerare l’idea di sciogliersi – o per notare che tutti attorno a loro erano sfiancati da quel ritmo, compreso lo stoico Mr. Martina. «Non c’era nulla di programmato, e lui amava programmare», racconta il figlio.

Ovviamente, la peculiarità del White Album è che ognuno lo sente in maniera diversa – inclusi gli stessi Beatles. Entrarono in disaccordo nel momento in cui dovevano decidere cosa includere e cosa lasciare fuori, dato che tutto il materiale doveva essere editato per realizzare un solo album. Anni dopo, nell’Anthology, ancora continuavano a discutere di quelle scelte. Ecco, questa nuova edizione riporterà a galla proprio quelle discussioni, ma sarà un’esperienza completamente nuova anche per i fan che già conoscono il disco originale, cambiando per sempre l’idea che ci eravamo fatti dei Beatles.

Ecco i 15 momenti più rivelatori della nuova raccolta:

Revolution 1

La leggendaria Take 18, una jam di quasi 11 minuti registrata il primo giorno delle session del White Album. Gli altri Beatles furono sorpresi quando accanto a John si presentò Yoko Ono, da quel momento una presenza costante in studio. Questa Revolution inizia come la versione su disco: l’intro di chitarra, la voce di John che dice “okay”. Ma mentre nell’originale c’è un fade out, qui succede di tutto: il groove cresce mentre John dice “all right, all right” a un volume sempre più alto, fino a gridare. Yoko si aggiunge alla band con dei sintetizzatori distorti, e Paul picchia sul pianoforte. Poi i frammenti di poesia finiti su Revolution 9: “Its like being naked… if you become naked”.

La storia di questa jam è stata raccontata molte volte, spesso come il momento in cui Yoko è arrivata per piantare il seme della discordia. L’inizio della fine. Per questo è una sorpresa scoprire che si stavano divertendo così tanto. Il brano si conclude nelle risate. Yoko chiede: «Forse è troppo?». John le dice che suonava benissimo, e Paul è d’accordo: «Sì, è folle!»

Sexy Sadie

Mentre la band si prepara, George canticchia un passaggio di Sgt. Pepper: “It’s getting better all the tiiime”. La take 3 è una versione acerba di Sexy Sadie, con Paul all’organo. Comunque, nonostante il pezzo abbia un piglio particolare, la band è perfettamente sincronizzata. Poi George chiede: «Quanto veloce, John?». Lui risponde: «Quanto credi».

Long, Long, Long

Questo brano di George è sempre stato sottovalutato – probabilmente perché il master è fin troppo basso di volume. Nella fantastica Take 44, Long, Long, Long prende vita in un duetto con Ringo, una sorta di dialogo tra voce e batteria. «George era il migliore amico di Ringo», dice Giles Martin. «Qui è documentato, questa canzone è una cosa tutta loro». Verso la fine, George improvvisa. “Gathering, gesturing, glimmering, glittering, happening, hovering, humoring, hammering, laquering, lecturing, laboring, lumbering, mirroring…” Poi il rumore di una bottiglia mentre vibra sull’amplificatore di Paul. «Ascoltarla fa ancora paura».

Good Night

Tra tutte le alternate takes, Good Night è quella che farà chiedere ai fan come mai non sia questa la versione pubblicata sull’album. Al posto degli archi c’è l’arpeggio in fingerpicking della chitarra di John, e tutto il gruppo armonizza sul ritornello. È raro, in questo momento della carriera della band, sentirli cantare tutti e quattro insieme, è commovente. “Io preferisco questa versione”, ha detto Martin. (E non è l’unico a pensarla così).

John suona lo stesso ritmo di Dear Prudence e Julia. Questa è una delle caratteristiche sonore più riconoscibili del White Album – i Beatles non hanno mai suonato così bene in formazione acustica, probabilmente perché non c’era altro da fare a Rishikesh. In India, il loro compagno d’avventure Donovan gli ha insegnato lo stile arpeggiato dei musicisti folk, come Dave Graham. “Donovan gli ha insegnato quella parte di chitarra. John era entusiasta, e poi, in perfetto stile Beatles, l’ha usata per scriverci tre canzoni”.

Le altre take di Good Night sono più vicine allo spirito dell’originale. In una Ringo canta accompagnato al piano da George Martin; un un’altra fa un’introduzione parlata. “Come on now, put all those toys away—it’s time to jump into bed. Go off into dreamland. Yes, Daddy will sing a song for you.” Alla fine si arrende e dice: “Ringo’s gone a bit crazy.”

Helter Skelter

Questo brano ha ispirato infinite jam in studio, ha influenzato il proto-noise e creato il primo headbanging. Questa take è 13 minuti di rumori primitivi – incredibilmente vicini ai Black Sabbath, più o meno mentre i Black Sabbath erano a Birmingham a inventare il loro suono.

Blackbird

Paul gioca con i versi “dark black, dark black, dark black night” cercando di trovare l’atmosfera giusta. Non ci è ancora riuscito. Dice a George Martin: “Se riuscirò a trovarla, sarò in grado di capirlo e dirtelo. Devo solo smettere di pensarci. Devo decidere che voce usare”. Mentre lavora al brano, sullo sfondo si sente la voce della fidanzata dell’epoca, Francia. “Ci sono due persone separate, un grande cantante e un grande chitarrista”, dice Martin. “Lui è riuscito a scollegarle e rimetterle insieme. Ora sta cercando di farle incontrare di nuovo”.

Dear Prudence

Tra tutte le demo, Dear Prudence è quella che mostra meglio il cinico senso dell’umorismo del gruppo. John conclude la registrazione raccontando la storia di Prudence Farrow che ha ispirato il brano. “Un corso di meditazione a Rishikesh, in India”, dichiara. “Lei è andata completamente fuori di testa con la guida del Maharisi Mahesh Yogi. Eravamo tutti preoccupati per quella ragazza, perché stava andando fuooori di testa. Per questo le cantavamo delle canzoni”.

While My Guitar Gently Weeps

C’è una demo acustica, ok, ma la take 27, registrata circa un mese dopo, è ancora più rock della versione dell’album: John all’organo, Paul al piano, chitarra solista di Eric Clapton. (George invitò il suo amico a suonare solo perché sapeva che gli altri si sarebbero comportati bene in sua presenza). Il groove si spezza quando George cerca di cantare una nota altissima come Smokey Robinson. “Non è niente”, dice. “Ho cercato di fare come Smokey, ma non sono Smokey”.

Hey Jude Weeps

Registrata a metà session, ma pensata per essere pubblicata come singolo, la ballad di Paul è ancora in forma piuttosto rozza. Ma anche in questa prima take, è già pensata per essere un brano epico di oltre 7 minuti, ma è Paul a cantare il coro finale. Un’altra gemma di questa edizione: una prima versione di Let it Be, con il testo originale dove Paul dichiara il suo amore per l’R&B americano. “When I Find myself in times of trouble / Brother Malcolm comes to me”.

Child of Nature

Un altro tra I tesori di Esher. Child of Nature è una ballad delicata che John scrisse a proposito dell’India: “On the road to Rishikesh / I was dreaming more or less”. L’ha scartata per l’album e, alcuni anni dopo, ha cambiato il testo per uno dei singoli più famosi della sua carriera solista: Jealous Guy.

Julia

Una delle confessioni più intime di John – e l’unica traccia dei Beatles dove suona da solo. Lo sentiamo nervoso, mentre si siede con la chitarra e chiede a George Martin, senza nascondere l’accento: “è meglio in piedi, che dici? È davvero difficile cantare questo pezzo”. Il produttore lo rassicura. “È una canzone difficile, John”. “Julia era una delle canzoni preferite di mio padre”, dice Giles. “Quando ho iniziato a suonare la chitarra mi disse di impararla”.

Can You Take Me Back?

È il passaggio che funziona da transizione nel collage di suoni astratti di Revolution 9. Paul ci lavora su per un paio di minuti, cercando di costruire una sorta di country blues: “I ain’t happy here, my honey, are you happy here?”

Ob-La-Di, Ob-La-Da

Paul passò un’intera settimana a lavorare a questo pezzo con il resto della band, finché John non perse la pazienza e uscì dallo studio. Tornò qualche ora dopo completamente fatto, si sedette al piano e suonò con rabbia l’intro del pezzo. Questa versione è più piacevole ma piatta – mostra esattamente perché ci fosse bisogno di un arrangiamento più cattivo. È un esempio perfetto dello spirito collaborativo dei Beatles: John poteva disprezzare il brano, Paul poteva odiare i sabotaggi di John, ma tutti e due amavano troppo la musica per non trovare una soluzione.

Sour Milk Sea

Un grande momento di George Harrison registrato in queste demo – Sour Milk Sea non è arrivata sull’album, e per questo l’ha data a Jackie Lomax, che ne ha fatto la sua unica hit. (Si meritava qualche posizione in più di Piggies, ancora la peggiore traccia tra tutte le versioni incise in questa raccolta). Not Guilty e Circles sono altre due demo di George cadute nel limbo – Not Guilty sembra pronta in questa versione, ma in studio è stata maledetta da centinaia di take infruttuose.

Happiness Is a Warm Gun

John gioca con la struttura del brano e il suo finto falsetto doo-wop, un trucco che i Beatles hanno imparato insieme in studio. “Per qualcuno è più facile?” chiede. “Sembra facile – ma non è divertente, solo facile” spiega George. “Più facile e divertente”, risponde John. “Oh e va bene, se insisti!”. È un momento che riassume tutte le sorprendenti scoperte fatte ascoltando quest’edizione del White Album: momenti in cui i Beatles sono in acque sconosciute, con nessuno su cui contare a parte loro stessi. I momenti in cui si ispiravano a vicenda e creavano qualcosa di mai sentito prima.

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