Il 13 luglio 1985 è una data importante per la storia della musica dal vivo e per la carriera dei Queen: quarant’anni fa, Freddie Mercury & soci calcarono il palco del Live Aid con sei brani sufficienti per lasciare il segno e rilanciare la band.
In occasione dell’anniversario il promoter Harvey Goldsmith ricorda nell’ultimo numero della rivista Mojo che i Queen non avrebbero dovuto esibirsi su quel palco. O, almeno, non tutti erano entusiasti all’idea.
«Eravamo io e Bob Geldof, stavamo mettendo insieme il Live Aid, ci eravamo segnati liste di potenziali performer. Ero il produttore, quindi sapevo come funzionavano i vari slot della giornata, e chi si sarebbe presentato come pubblico. Mi occupavo anche del lato tecnico: stavamo producendo due show (Londra e Philadelphia, ndr), e dovevamo assicurarci che tutti i tempi fossero rispettati per via della connessione satellitare».
«Quindi ci pensai, poi dissi: i Queen sono perfetti per lo slot del tardo pomeriggio. Bob rispose: “No, hanno già passato il loro picco. Non credo che dovrebbero esibirsi”». Al che Goldsmith replicò: «Penso che sarebbero davvero perfetti per salire sul palco alle 17:30, o alle 18, attorno a quell’ora lì». Il promoter conosceva bene Mercury, «sapevo che avrebbero spaccato. Con Bob ne discutemmo un po’. Dovetti davvero sfoderare tutta la mia persuasione». Alla fine, Goldsmith l’ebbe vinta, convincendo il collega che, visto che il Live Aid sarebbe cominciato la mattina, sarebbe servito qualcosa di energetico per tirare su quella fascia oraria e aiutare il pubblico ad arrivare fino a sera.
I Queen non accettarono subito la proposta. «Avevano appena finito un lungo tour, erano stanchi, volevano fermarsi. In più eravamo davvero sotto data». Non solo: «Naturalmente, volevano essere loro a chiudere lo show. No, dissi, voglio che vi esibiate in questo slot. Penso che ciò che convinse Freddie, alla fine, fu la possibilità di esibirsi davanti a un miliardo di persone, era qualcosa che non era mai stato fatto. Penso che abbia pensato: “Ok, adesso ve la faccio vedere io…”».
Il racconto di Goldsmith continua con alcuni retroscena: «Prima del giorno X incontrai tutti e spiegai tutto per filo e per segno. Avevamo una deadline strettissima e cambi rapidissimi sul palco, perciò mi dovetti impuntare: dissi, non mi importa quando salite sul palco, mi importa di quando ci scendete. La mattina del concerto, arrivai a Wembley e spedii un runner a puntare 40 orologi, in ogni dove».
Il risultato? «I Queen avevano provato per una settimana, e quando toccò a loro, Freddie annusò l’odore del sangue. Mirò alla gola e fece una performance impareggiabile. E il resto della band gli tenne dietro – ti succede in modo ancora più forte, quando ti esibisci a casa tua. I Queen eseguirono poche canzoni, ma fu il set di tutta una vita, e li cambiò profondamente come band. Oggi, se parli con qualcuno del Live Aid, la maggior parte delle persone sospirerà dicendo: “Ah sì, i Queen”».
