I dischi di oggi: U2, Rolling Stones, Neil Young e Van Morrison | Rolling Stone Italia
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I dischi di oggi: U2, Rolling Stones, Neil Young e Van Morrison

Gli Stones prima degli Stones, Neil Young vs Trump e il ritorno della band di Bono. Questo è un venerdì di classici

I dischi di oggi: U2, Rolling Stones, Neil Young e Van Morrison

Foto via Facebook

“Songs of Experience” U2  

Songs of Experience arriva con circa tre anni di ritardo, una riscrittura quasi integrale dei testi causa elezione di Trump (e incidente quasi mortale accaduto a Bono), e tutta l’operazione nostalgia dedicata alla riproposizione negli stadi di The Joshua Tree. Il compito di rompere il ghiaccio è toccato al singolo You’re the Best Thing About Me, che al primo ascolto aveva sorpreso in negativo i duri e puri che vorrebbero gli U2 sempre coi giubbotti di pelle e all’inseguimento di una giovinezza ormai perduta, ma che aveva stupito tutti gli altri per la sua freschezza, quella sì davvero giovanile, e leggerezza. Il problema con gli U2, però, è sempre il solito: non si può non pretendere di più e con il passare dei mesi anche l’impeto ottimista nei confronti del primo singolo e dell’unico altro brano svelato si è andato affievolendo. Il legame tra le “canzoni dell’esperienza” e quelle “della giovinezza” è ovviamente esplicito e non solo ideale: se col disco precedente provavano a fare pace col loro passato, qui non si nascondono dietro gli anni trascorsi e provano ad andare avanti senza disfarsi dell’enorme bagaglio sulle loro spalle. Non è sbagliato dire che Songs of Experience suona come un greatest hits della seconda parte della carriera degli U2 (diciamo del periodo che va da Joshua Tree a Pop), ma composto di soli inediti. C’è American Soul, il brano che Kendrick Lamar aveva fagocitato nella sua XXX. (e che qui restituisce il favore) e che con Red Flag Day rappresenta il corpus anti-Trump. Ma non aspettatevi un disco politico: il bagaglio da cui pesca Songs of Experience è prima di tutto privato, personale. E.C.

“On Air” The Rolling Stones  

La cover di ‘On Air’

Il pezzo che apre la nuova raccolta dei Rolling Stones, On Air, arriva direttamente dall’amore della band per la tradizione blues. Si tratta di Come On di Chuck Berry, suonato dagli Stones il 23 settembre del 1963 per Saturday Club. I 32 brani della nuova raccolta – di cui otto versioni inedite – sono stati “resuscitati” dai tecnici di Abbey Road, che attraverso una tecnica chiamata DEMIX sono riusciti a isolare le tracce dei singoli strumenti per poi rifare il mix da zero. Il risultato è tanto impressionante quanto eterogeneo: alcuni brani suonano puliti e compatti (Come On, Route 66, You Better Move On, Mona), altri sporchi e misteriosi, quasi lisergici (It’s All Over, Last Time). Peccato per la quasi assenza di pubblico e di frammenti delle trasmissioni ospitanti, che avrebbero aiutato a contestualizzare storicamente l’impatto degli Stones. C’è tanto Otis Redding nella voce di Mick Jagger, tantissimo Chuck Berry nella chitarra di Keith Richards; ci sono stacchi imprecisi, anche un po’ di ingenuità, ma non ce ne frega niente. On Air è una fotografia scattata pochi istanti prima dell’esplosione della Swingin’ London, della controcultura e delle contestazioni giovanili, pochi istanti prima che questa band di ragazzi dei bassifondi cambiasse per sempre la storia del rock. A.C.

“Visitor” di Neil Young  

«Sono canadese, comunque. E amo gli Stati Uniti». Quante volte sarà capitato a Neil Young nel suo girovagare per il mondo di doversi giustificare? Il Visitatore di Winnipeg che, attratto dall’America, l’ha raccontata per cinque decenni sbatte in faccia a Trump la sua indignazione nella prima strofa di Already Great, risposta all’infausto slogan che lo ha portato alla Casa Bianca. La statura da gigante di Neil Young incute timore e reclama attenzione, lui lo sa ed alterna la delicatezza acustica e le sferzate elettriche in un disco (il terzo in 12 mesi) che oscilla tra rabbia e ironia in cui celebra l’energia del rock con la band del figlio di Willie Nelson e canta la sua elegia al sogno americano stravolto e svenduto. Una lezione di rock politico da parte del gigante, che affascina gettando il suo sguardo cinematografico e cinico su un paesaggio desolato che non si può fare a meno di osservare. M.P.

“Versatile” di Van Morrison  

C’è un’epoca leggendaria nella vita di Van Morrison, 72 anni e 38 album con Versatile, una raccolta di classici jazz di Chet Baker, Frank Sinatra, Tony Bennett, Nat King Cole più sei inediti. «Canzoni di una grandezza tale che mi hanno obbligato a forzare la voce come facevo un tempo», ha raccontato Van the Man. Versatile, un album che come il precedente Roll With the Punches (uscito a settembre e dedicato al rhythm and blues) rappresenta l’omaggio di un artista diventato leggenda alle radici del proprio mito. La musica ha riscattato Van Morrison da una vita di lavoro, cominciata come lavavetri subito dopo aver lasciato la scuola. A 17 anni suonava cinque volte al giorno nelle basi militari americane in Germania, a 20 era sul palco del Maritime Hotel di Belfast a suonare tutta la notte per un pubblico di soldati ubriachi, a 72 è ancora il piccolo uomo di Hyndford Street che canta lo spirito di Belfast, la sua forza e la sua malinconia. In Versatile i suoi pezzi (su tutti Broken Record e I Forgot That Love Existed) si fondono senza soluzione di continuità con monumenti della musica come I Get a Kick Out of You, Unchained Melody, Let’s Get Lost e i brani di Gershwin, perché Van Morrison con le sue imperfezioni e la sua impenetrabilità è fatto della stessa materia. M.P.