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I dieci anni del festival che vuole cambiare il mondo

Arrivato alla decima edizione, l’Esperanzah! World Music Festival è ormai una tradizione a Barcellona: un evento che testimonia come sia ancora possibile fare del bene attraverso la musica

Foto di Javy Puntas, via Facebook.

Sicuramente non ne avete sentito parlare, ma l’Esperanzah! è un festival che, basandosi sui concetti di cooperazione e solidarietà, da dieci anni sta dimostrando che la musica, in piccolo così come in grande, può ancora cambiare il mondo. O almeno provarci.

Nelle ultime tre edizioni del festival sono riusciti a destinare 300.000 euro ad associazioni come Proactiva Open Arms, Stop Mare Mortum e molte altre, sia a livello locale che internazionale. Quest’anno la posta in alto era più consistente: l’obiettivo era quello di destinare 200.000 euro e per il primo anno i giorni di festival sono stati quattro (dall’11 al 14 ottobre), ma non solo. La giornata del 12 ha visto salire sul palco (e lavorarci dietro) tutte donne, per sottolineare quanto più possibile quanto sia necessaria una maggior presenza femminile sui palchi, ma non solo.
Una serata al ritmo di Arianna Puello, Amparo Sánchez, Las Migas, Ana Tijoux e molte, molte altre: il collettivo Arte Muhé y Amparo Sánchez ha collaborato con l’organizzazione lanciando anche lo slogan “Esperanzah es Muhé”, giocando sul nome del collettivo e sul concetto che la speranza sia, sempre e comunque, “donna”.

L’Esperanzah si propone come una cooperativa di trasformazione attraverso la cultura e, integrando artisti, festival, amministrazioni pubbliche, giornalisti e altri collettivi cerca di cambiare le carte in tavola. Nonostante alcuni problemi logistici legati al sold out della giornata di sabato e alle piogge che hanno caratterizzato il meteo a Barcellona negli ultimi giorni, l’atmosfera del festival era quella distesa delle grandi feste in famiglia.

Il pubblico non era composto solo dai fan (giovani e meno giovani) dei Txarango e dei Buhos, nomi che hanno fatto da richiamo per fare il tutto esaurito. Il pubblico era pieno di bambini, sia sulle spalle dei genitori a ballare e cantare durante i concerti che negli spazi adibiti per le loro attività, ma anche di persone anche di una certa età che si sono lasciati andare a balli, canti e urla di gioia, di canzone in canzone.

Per i Txarango era l’ultimo concerto prima dello stop in previsione della creazione del nuovo disco (molta la commozione sopra e sotto al palco, infatti, al momento dei saluti) e per i Buhos era l’ultimo concerto del tour estivo che li ha visti in giro per tutta la Catalunya da maggio senza fermarsi un attimo.

La connotazione politica della musica e dello “spirito” di entrambe le band ha reso la serata di sabato una serata di festa e riflessione non solo sociale, ma anche politica, con momenti di manifestazioni di dissenso e di volontà di libertà per i prigionieri politici che sono ancora in carcere per via del referendum per l’indipendenza catalana.

Un festival per famiglie, a poca distanza da Barcellona (eravamo in un parco poco distanti dall’aeroporto di Barcellona El Prat) che richiama, da dieci anni, persone da tutta la Catalunya, per dimostrare ancora una volta quanto possa essere potente la musica, anche se spesso sembra che ce se ne dimentichi.

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