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Hanno Liberato Napoli

Come un fenomeno senza faccia ha cambiato faccia alla città. E alla gente, alle strade, ai palazzi. Tra tifo ultrà e neomelodici

Hanno Liberato Napoli

Il backstage di 'Gaiola Portafortuna'. Foto Ilaria D'Atri

Liberato? No, non sappiamo chi sia. E spero sinceramente che il mistero duri ancora per un po’. Mistero napoletano era il titolo di un libro meraviglioso dello scrittore Ermanno Rea, scomparso giusto un anno fa. Meraviglioso e durissimo: la storia semidimenticata del matematico Renato Caccioppoli e della sua compagna Francesca Spada, lei giornalista e critico musicale dell’Unità, entrambi morti suicidi negli anni ’50. Rea raccontava la storia di una Napoli “possibile” e interrotta: coltissima, borghese, rivoluzionaria. Di una generazione schiacciata dalla forza simbolica del porto americano, della Nato e dello stalinismo comunista in tempi di Guerra fredda, e quindi costretta a farsi da parte, disperdersi, emigrare altrove.

Napoli è la città che più di tutte le altre ama rappresentarsi, specchiarsi e (non) riconoscersi nelle sue rappresentazioni. Anche in quelle apparentemente più singolari. La città che parla all’infinito di se stessa e dei propri problemi. Le storie diventano metafore, i volti ritagli di giornali sui muri dei bar, finiscono vendute tra le statuine del Presepe ogni anno a San Gregorio Armeno: Pulcinella, Totò, Troisi, Pino Daniele. Nino D’Angelo, Maradona. Roberto Saviano. Città di maschere. Elena Ferrante e il suo romanzo midcult di formazione sopra un’impossibile normalità femminile e borghese. Città che conserva – unica in Italia – un Banksy su un muro del centro (Madonna con la Pistola), con più di un fondato sospetto che Banksy sia il napoletano e tifoso napolista Robert Del Naja detto 3D dei Massive Attack.

Il backstage di ‘Gaiola Portafortuna’. Foto Ilaria D’Atri

Lo dico: a me dispiacerebbe un po’ che – come molti annunciano – Liberato si rivelasse durante una puntata della terza serie di Gomorra, in tv questo mese. E mostrasse la faccia di uno dei cantanti di cui si fa il nome: Ivan Granatino o Livio Cori, in grande spolvero quest’ultimo già col suo vero nome. Preferei forse che fosse il “poeta di Scampia” Emanuele Cerullo (detto Em Cerullo), del quale sono stati scovati su Facebook versi cancellati e molto “liberati” del tipo “Una stella già scoppiata nel Golfo di Partenope”. Emanuele scrive in italiano, si dichiara un seguace di Aldo Palazzeschi, un neocrepuscolare persino neominimale, e poi cita spesso Pasolini. Ecco: l’idea di saperlo “liberato” dall’accollo di essere un poeta di Scampia mi farebbe piacere. Molto buona in tutti casi la battuta che vede nel portiere Pepe Reina – per via del fisico e della pelata – colui che interpreta di spalle Liberato alla fine del video di Gaiola Portafortuna.

La gente

Però “Gli effetti di Liberato sulla gente” – per citare una spassosa serie di bagattelle web dei napoletani JackaL – sono abbastanza evidenti, e positivi. Il Napoli va bene. Molto bene. È una delle squadre di calcio più eleganti e moderne d’Europa, un miracolo di applicazione e gioco collettivo che si rivela soprattutto nel ventre della balena scassata e sudamericana dello stadio San Paolo. A “Insigne, Mertens e Callejon” e a “Callejon, Mertens e Zielinsky” erano dedicati rispettivamente il secondo e il terzo videoclip di Liberato. E a San Gennaro. Ha detto una volta l’allenatore portoghese Villas Boas: “Al San Paolo non hai fronte solo una squadra ma una città intera, e contro una città intera non si può vincere”. Detto con altre parole: gli effetti del Napoli sulla gente.

I JackaL, a proposito, esordiscno al cinema con una storia a metà tra il precariato giovanile da webserie e le astronavi dei marziani. Addio Fottuti Musi Verdi. Toglici un po’ di zavorra da sketch giovanilista, il drone che passa sopra i vicoli, la parmigiana di mammà che ti arriva ancora calda pure nello spazio profondo. Stipati nella Panda verde vecchio modello, come nella loro superhit estiva “Gli effetti di Despacito sulla gente”, Ciro Priello e Simone Ruzzo fanno i Troisi e Lello Arena 2.0. Ci provano. Effetti speciali e astronavi sono stati creati e girati – leggiamo nei titoli di coda – dentro la Città della Scienza di Bagnoli, sempre Napoli.

Il backstage di ‘Gaiola Portafortuna’. Foto Ilaria D’Atri

E adesso i romanzi di Roberto Saviano sono tornati tra i più venduti in classifica. La paranza dei bambini, e il seguito Bacio feroce. Pulp e romantici. Lo scrittore si è fatto da parte, ha parcheggiato il motorino che ai tempi di Gomorra lo portava nella periferia nord di Napoli. Ora svela una città sospesa tra magiche visioni di Posillipo e piazze di spaccio del centro, le “stese” con gli Ak47 e i corteggiamenti del playboy poeta. “‘Fammi capire se devo chiamare l’ambulanza’. ‘Ma cosa stai dicendo’, disse lei sempre più sulla difensiva. ‘Ti sei fatta male, stella, quando sei caduta dal cielo?’”. Briatò. Il playboy della Paranza dei Bambini si chiama Briatò. Adorabile.

A modo suo Roberto Saviano prova a dirci che un nuovo contagio emotivo si va diffondendo in tutta la città. Ci invita a coglierne i segni: nel linguaggio, nei luoghi, nei suoni. Persino dietro la crudeltà ultras della “sua” Paranza. Questa emozione, unica e soffusa, è Liberato. Napoli=Liberato. Liberato dal volto, liberato dall’identità – persino dal corpo e dal genere se hai presente la bambina del primo video Nove Maggio. Liberato dalle maledizioni. La città divisa per secoli tra alto e basso: in basso il suk del centro storico, in alto la borghesia del Vomero. Intorno, l’incanto aristocratico di angoli nascosti, promontori sul mare, panorami sul golfo. Posillipo, Mergellina (cinc’e’matina) Gaiola (portafortuna).

La strada

La città divisa. Buoni e cattivi, guardie e ladri, camorra e anticamorra. Centro intellettuale raffinatissimo. Ultimo ricovero dei lazzaroni. Sola grande e profonda metropoli italiana sommersa dalla moltiplicazione delle proprie oleografie: l’ultima quella nera, criminale, brutalista, legata a Gomorra col Centro Direzionale e l’immagine delle Vele; la prima ottocentesca col Golfo, il pino e il Vesuvio dei vedutisti di Posillipo. In mezzo la Bollywood sul Tirreno dei musicarelli di Nino D’Angelo, la sceneggiata di Merola e Pino Mauro. I motorini dei neomelodici. Il Napolitan power: Alan Sorrenti, Toni Esposito, Napoli Centrale che facevano incontrare a metà strada i figli della borghesia del Vomero e i ragazzini dei quartieri che frequentavano i locali del porto per i militari americani.

In una delle ultime tracce di Liberato, lasciata su Facebook e Instagram, un ragazzo e una ragazza si baciano in loop appoggiati a una serranda chiusa di corso Vittorio Emanuele, col motorino parcheggiato accanto. Il corso Vittorio Emanuele fu costruito a metà dell’800 per unire l’alto del Vomero al basso di via Roma e dei quartieri. E in questo movimento interno alla città ritorna la piccola sceneggiatura del video di Tu t’e scurdat’ ’e me. Ricordate? Lo scugnizzo di Forcella ha sedotto la principessa del Vomero per poi essere abbandonato, come nella vecchia canzone di Gigi D’Alessio Fotomodelle un po’ povere (citata dal regista Francesco Lettieri come esplicita ispirazione di quel lavoro). “Io che forse parlo male/tu ’e fernuto a poco ll’università”, sospirava Giggino, salvo annotare nel verso precedente che il tassì dal Vomero alla Sanità sarebbe costato alla ragazza almeno 20.000 lire quindi, vabbè, meglio così.

Il backstage di ‘Gaiola Portafortuna’. Foto Ilaria D’Atri

A proposito. Adesso Gigi D’Alessio è il cameo cult del film dei JackaL, nella parte di un esangue alieno. Magari non proprio stracult, non proprio inatteso, ma interessante. La gentrificazione di Gigi D’Alesso è iniziata vent’anni fa quando Fabio Fazio lo portò a Sanremo, e lui fingeva di fare Claudio Baglioni. Più meno nello stesso periodo (anche poco prima) è iniziata la gentrificazione di Napoli. Bed and breakfast e la pedonalizzazione integrale dei decumani del centro storico. Pier Paolo Pasolini diceva che i napoletani sono una tribù che ha deciso di estinguersi rimanendo napoletani, e stava girando in città il Decameron. Ma non aveva fatto i conti con il webcult e neppure con la tv del pomeriggio. Senz’altro. Grande sensazione per la ricomposizione della coppia Gigi D’Alessio/Anna Tatangelo, momentaneamente scoppiata.

Tornando all’ultima diretta di Liberato: i due ragazzi si baciano di fronte alla doppia serranda del Bar Mastiffs, corso Vittorio Emanuele. Perché sta scritto così sulla serranda chiusa, e questo lo dice pure Google Maps. Mastiffs come mastini, storico gruppo ultrà della curva A del San Paolo. Quelli di Genny ’a Carogna, che secondo la leggenda comandò le folle di uno stadio intero il giorno dell’uccisione del tifoso Ciro Esposito fuori dall’Olimpico di Roma (le ultime notizie lo davano in galera per aver partecipato a un grosso traffico di stupefacenti). E da qualche anno i Mastiffs sono segnalati dalle cronache della movida come quelli dello spaccio serale e notturno a ragazzette e universitari di Piazzetta Bellini.

Il backstage di ‘Gaiola Portafortuna’. Foto Ilaria D’Atri

“Il cuore mi batteva/mo diceme pecché” (come nel “giorno all’improvviso” che dai Righeira è sceso fin laggiù allo stadio San Paolo). Liberato ama Napoli attraverso la SSC Napoli, ma non certo attraverso la banalità del tifo televisivo. Usa la grafica, il folklore e il mistero ultras come ultimo elemento di irriducibilità e perfino imbarazzo (la retorica, la collusione ultras). “L’anonimato”, diceva l’enorme scritta e sibillina in font ultrà ripresa nel video di Tu t’e scurdat’ ’e me. Il fascino, lo stile, il friccico proibito che confina (ma non coincide mai completamente) con gli altri sistemi dell’illegalità cittadina.

I palazzi

Le architetture del San Paolo e la meravigliosa Casa del Portuale dell’architetto Loris Rossi in Nove Maggio. Il terrificante Palazzo Ottieri, uno dei simboli negativi delle Mani sulla città, in Tu t’e scurdat’ ’e me. E l’ultimo Gaiola Portafortuna, girato in una bellissima Castelvolturno fatta come Cuba ma citando il set principale del nuovo cinema napoletano, da Gomorra (che da Matteo Garrone – pasolinista convinto – fu girato a Castelvolturno) a Indivisibili. Nella chiusura di Gaiola velocemente la Chiesa dei Girolamini (la stessa piazza dove c’è Banksy!), la fontana del Sebeto sul lungomare dedicata all’antico corso d’acqua che scorreva dentro la città, la doppia isoletta unita da un ponte che sarebbe ancora infestata dalle magie nere di Virgilio, Gaiola appunto – che dovrebbe quindi portare una sfiga nera. Eccetera.

Se c’è un senso nella teoria di set che uniscono i video di Francesco Lettieri (mio parere: Lettieri è Liberato, è del tutto ovvio) è infine questa utopia dello sguardo. Lo sguardo Liberato. Ultras. Sguardo vivo ’ngopp a un motorino che scende a razzo giù per i vicoli fin dai tempi di Nino D’Angelo e Ciro Ippolito contro lo sguardo morto del turismo. Il riprendiamoci la città di sapore così ’70 e se volete anche ’90 (ai tempi dei centri sociali). L’anti-Baedeker.

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