Giuliano Sangiorgi: «Caro Rolling Stone, ti racconto un sogno» | Rolling Stone Italia
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Giuliano Sangiorgi: «Caro Rolling Stone, ti racconto un sogno» / Vota le canzoni che non ha mai cantato

La voce dei Negramaro racconta in versi un mondo ideale (un regalo pubblicato sul numero in edicola). Intanto la band continua il suo viaggio

I Negramaro sono al lavoro su un nuovo album. È un viaggio a tappe: hanno registrato a Nashville, Madrid (e continueranno in altre città che sono ancora un segreto). Una continua sperimentazione, come quella che potete vedere in esclusiva nel video qui sopra, un pomeriggio nella loro casa, un momento di ricerca, un po’ per gioco,  che Giuliano Sangiorgi e il bassista Ermanno Carlà (per una volta nelle vesti di batterista) definiscono «blues explosion».

La voce dei Negramaro ci ha fatto un regalo, che abbiamo pubblicato sul numero di Rolling Stone in edicola: un racconto di un sogno. È un inno alla vita, come continua ricerca e sperimentazione. Qualcosa di molto intimo, che Giuliano condivide con noi. Buona lettura.

Se chiudo gli occhi e penso al paese che ho sempre sognato, mi accorgo che non è molto diverso da una strada infinita, piena di gente.
Non vedo le case.
Nel mio sogno non ci sono.
Non vedo neanche le auto, né elettrodomestici ai suoi bordi.
Eppure sto pensando a un Paese che vive e che necessita di tutto
Una strada popolata soltanto da una moltitudine di persone
Ecco cosa ho davanti
Un botto di gente che sorride. E che parla.
In continuazione. Forse, canta.
Perché in mezzo a tutto questo casino, riesco a intravedere qualcuno che imbraccia una chitarra,
come fosse un formidabile fucile da guerra.
Solo che non ha paura di mostrarla.
Né di farla funzionare. Spara salve di note, lei.
Innocue.
Allora mi sforzo di sognare ancora più in profondità, attento acché  non mi esca sangue dal naso.
Ho bisogno di contorni più nitidi.
Devo riuscire a fornire un ideale di Paese a chi mi chiede se io ne abbia mai avuto uno.
E allora, stavolta, m’impegno per davvero. Stringo ancora più forte gli occhi, fino a farmi quasi male.
Fino a diventare impermeabile alla luce.
Come fosse lei, poi, a distrarmi.
Come fosse solo lei a non permettermi di andare oltre ogni apparenza, perforando il guscio sottile delle cose.
Ma è ancora una strada quella che vedo tagliare in due il mondo che mi si para innanzi.
O forse, è una cerniera d’asfalto, che unisce ciò che apparentemente non sembra destinato a coesistere?
Non lo so.

Strada

Quello di cui sono sicuro è che non vedo televisori tra gli abitanti.
Qualcuno impugna un megafono, ma non è un politico.
Credo racconti di storie, tanto antiche da risultare appena sfornate.
E c’è un pubblico non pagante, ma ugualmente attento.
Ecco, vedo una strada attenta e leggera.
Non vedo balconi o finestre, né alcuno affacciato al di là di queste.
Non c’è alcun interno. Non c’è alcun esterno.
Solo l’infinito di questa strada.
Tanto lunga da sembrare un eterno tapis roulant.
O la lingua sottile dell’orizzonte.
Che inesorabilmente finisce con l’ingoiare ogni partenza.
Che è poi sempre alla scoperta di se stessi.
E che pretende la musica come compagna, come in ogni viaggio che si rispetti.
E infatti, all’improvviso, risento la musica di prima.
Ma non viene da alcun ascensore. Non ci sono ascensori, qui.
Nessun piano superiore o inferiore.
Nessun vuoto da colmare.
Nessuna attesa da ingannare.
Non viene neanche da una radio.
Non è spuntata nemmeno un’antenna sul ciglio della mia via ideale.
Ho solo una strada davanti alle mie palpebre abbassate come saracinesche sul mondo.
Non c’è posto per un posto perfetto, qui.
Il mio Paese ideale è insieme niente e tutto.
Ogni inizio e ogni fine.
Gente che si rigenera in una strada del cazzo: questo è il mio sogno più bello.
Persone che chiedono solo di incontrare altre persone per sentirsi vive e felici.
Soltanto adesso posso aprire gli occhi e rispondere.
Non mi serve nient’altro.
Datemi una strada e delle gambe per percorrerla.
E una chitarra per cantarla.
E una bocca per raccontarla.
E milioni e milioni di persone per riempirla.
Adesso. E ancora. E poi ancora.
E così, per sempre.
Il mio Paese è ideale…
La strada è reale.
E io ci voglio tornare!

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