«Se voleva intervistare un artista politicamente corretto, doveva andare da qualcun altro». Sono queste le parole con cui Gino Paoli ha voluto inquadrare la sua intervista pubblicata oggi sul Corriere in cui ha raccontato, tra le tante cose, la storia dietro Il cielo in una stanza.
Il “secondo” cantautore italiano («il primo è stato Modugno») infatti ha condiviso i dettagli di quella canzone ispirata «da un amoretto con una puttana» e che, quando fu scritta, «venne rifiutata da tutti».
Racconta Paoli: «Ebbi un amoretto con una puttana. Non ricordo il nome. Ricordo che era molto carina. Mi piaceva proprio tanto, e io piacevo a lei. Andai in quella stanza due, tre, quattro volte. Fino a quando non finii i soldi. Dovevo inventarmi qualcosa per rivederla». Ma l’amore era oramai acceso, e bisognava trovare il modo di fare altri soldi: «Rubai i libri a mio padre. Una vecchia enciclopedia, che rivendetti. Per fortuna non se ne accorse. Con il ricavato ripresi a frequentare la mia amata. Fino all’esaurimento delle possibilità. Così le dissi: questa è l’ultima volta che ci vediamo».
L’amore, però, continuerà: «Andavo a prenderla al mattino, quando non lavorava. E giravamo come due fidanzati. Alla fine arrivò il momento della decisione. Lei doveva lasciare Genova. Le puttane non erano fisse in un posto; dopo un mese, a volte solo quindici giorni, partivano. Era una rotazione continua: bolognesi, napoletane, siciliane, baresi… Lei mi chiese di seguirla: “Vieni via con me”. Io ci pensai seriamente. Ebbi grossi dubbi. Poi prevalse il senso del dovere: “Mi dispiace tantissimo, ma debbo dirti di no”. Non l’ho mai rivista». E aggiunge: «Non ha mai saputo di aver ispirato Il cielo in una stanza».
Continua Paoli, entrando nei dettagli: «La stanza era davvero viola. Nei bordelli di lusso le pareti e i soffitti erano coperti di specchi. In quelli più popolari erano dipinti di viola o altri colori impossibili». Quando gli viene fatto notare che nel 1960, anno di uscita della canzone, i bordelli era già stati chiusi, il cantautore ricorda: «Avevamo iniziato a frequentarli giovanissimi, falsificando la data di nascita. Spesso si marinava la scuola e si andava al casino, di solito al Castagna, a chiacchierare con le puttane per la disperazione delle madame — quasi tutte venete, non si è mai capito perché —, che ci cacciavano. Così noi, per rabbonirle, andavamo a comprare un cabaret di paste, e tornavamo». Entra però in vigore la legge Merlin: «E noi affezionati facemmo la Via Crucis nei bordelli di Genova. Li girammo tutti e ventitré, offrendo fiori e champagne. Loro ci regalarono le insegne con la lista e il costo delle prestazioni». E sull’armonica citata nel brano? «È l’orgasmo».
