Gian Maria Accusani: «La musica mi ha tirato fuori dalla roba più schifosa» | Rolling Stone Italia
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Gian Maria Accusani: «La musica mi ha tirato fuori dalla roba più schifosa»

Abbiamo raggiunto il chitarrista e cantante di Prozac+ e Sick Tamburo a poche ore dalla reunion sul palco del Mi Ami. Ci ha raccontato la storia del tumore di Elisabetta, della canzone che le ha dedicato e del concerto più bello della sua vita

Gian Maria Accusani: «La musica mi ha tirato fuori dalla roba più schifosa»

Sick Tamburo, foto press

Per tre bellissimi minuti sabato sera il pubblico del Mi Ami 2018 è caduto in un wormhole, una scorciatoia dritta al 1998. Tutti, sia chi da tutta Italia è arrivato a Milano solo per ascoltare Acida che i più giovani accorsi per Germanò o i Joe Victor, si sono girati verso il palco a guardare i Prozac +. Ed è successo qualcosa di grande. Ancora più grande se si conosce la storia di Elisabetta Imelio e della canzone La fine della chemio, che i Sick Tamburo – band fondata insieme a Gian Maria Accusani – hanno appena ripubblicato con il contributo di Jovanotti, Tre Allegri Ragazzi Morti, Manuel Agnelli, Samuel, Elisa, Meg, Lo Stato Sociale e Pierpaolo Capovilla.

I Prozac+ sul palco del Mi Ami, foto Claudio Caprai (via Facebook)

“Ciao, sono Elisabetta e a febbraio 2015 sono stata operata. Ho fatto poi chemioterapia, radio terapia e una terapia ormonale che andrà avanti per anni”, ha scritto in una lettera. “Sono stati mesi molto difficili, fisicamente ma soprattutto moralmente. La paura di non farcela non mi dava tregua. Durante questo periodo, Gian Maria, amico e compagno d’avventura da sempre, ha scritto una canzone per me, una canzone che, come dice lui, non avrebbe potuto non scrivere. L’ho ascoltata per la prima volta in macchina, mentre andavo all’ospedale per l’ennesima seduta di chemioterapia: E’ stato un istante, più potente della chemio, degli antidepressivi, degli incontri con la psicologa e di mille terapie coadiuvanti. Mi è arrivata addosso una bomba d’amore e di speranza, un’energia che mi ha dato gioia, forza e volontà indispensabili per affrontare tutto questo. Adesso io voglio che questo meraviglioso regalo che mi è stato fatto sia di tutti”.

Ne abbiamo parlato con Gian Maria Accusani, raggiunto al telefono poche ore prima del concerto del Mi Ami.

Quando hai saputo della malattia di Elisabetta?
Me lo ricordo perfettamente, era sotto Natale. Ho visto Elisa, era preoccupata: “Mi sento una pallina, la dottoressa mi ha fatto fare degli esami urgenti”. Io l’ho rincuorata, le dicevo non è niente, tranquilla vedrai che non è niente. Dopo qualche giorno l’ho rivista: “Ho un tumore”. Da lì è partita una roba non brutta, bruttissima, una sorta di calvario per lei e per tutti quelli che le vogliono bene.

Cosa ti ha fatto capire che le avresti dedicato una canzone?
Credo di aver scritto quella canzone lì un po’ pensando di aiutarla, ma soprattutto per aiutare me stesso. Elisabetta è la persona a cui sono più legato, e in quel periodo non riuscivo a… Scrivere è il mio solito modo per uscire dai problemi. E così ho fatto: quando gliel’ho mandata non pensavo che un giorno l’avremmo registrata. Era una cosa solo per lei.

Poi cosa è successo?
È partito tutto da lei. Hai letto la sua lettera? È tutto scritto lì. Era determinata, mi ha detto: “A costo di metterci io i soldi… vorrei che la ascoltassero più persone possibili. Mi ha dato una botta di vita… che niente in confronto, voglio che le persone sentano questa canzone”. E te lo dico, all’inizio io non volevo. Non so nemmeno perché, sono fatto così. Comunque, alla fine abbiamo deciso di chiedere ad alcuni nostri colleghi di cantarla con noi. All’inizio volevamo coinvolgere la scena cosiddetta alternativa, ma Elisabetta mi ha fatto capire che lo scopo era diverso, che bisognava arrivare a più persone. È stata un’impresa titanica, ci abbiamo messo quasi tre anni. E devo dire che tutti ci hanno regalato parole d’amore. Anche personaggi molto impegnati. Per questo, mi tolgo il cappello e dico grazie.

Immagino sia difficile trovare la forza per dire “andrà tutto bene” quando si è terrorizzati per un’amica malata.
Sì, ma la storia dell’Elisabetta in qualche modo mi ha aperto gli occhi. Quando ti affacci alla morte vedi chiare delle cose a cui prima nemmeno pensavi. Capisci che hai sempre prestato attenzione a delle cretinate inutili. La fine della chemio non è solo speranza, parla di un senso della realtà ritrovato. L’ho scritta per la persona a cui voglio più bene in assoluto, ma è stata lei la vera maestra, trasmette una potenza devastante.

È per questo che Un giorno nuovo è un disco ottimista?
Assolutamente! Aver vissuto da vicino questa storia mi ha reso più ottimista… Ho capito che oggi sono qui e sono fortunato. Un giorno nuovo è assolutamente ottimista, e racconta cose di cui non si parla facilmente.

Ma lo fa con un linguaggio semplice. Come ci sei riuscito?
Come ho fatto… io conosco solo un metodo: scrivo di realtà, della verità che è dentro di me o che mi sta attorno. E la voglio raccontare così come parlo, è così che ho raggiunto questa immediatezza. Poi non so se è un bene o un male.

Parlare di temi così, oggi, è quasi una rarità
Io credo che ognuno debba scrivere di quello che si sente. A noi è sempre venuto il guizzo di parlare di cose rilevanti, è sempre stato spontaneo. Magari adesso c’è un po’ di meno… ma parlare della morte non è semplice. Può anche far paura, non credi? Spero che questa cosa dell’Elisabetta possa far capire che parlare di ciò che fa paura è un modo per uscirne. A noi è successo così, con questa canzone la paura è passata da 1000 a 600. Non è poco.

Rispetto agli esordi dei Prozac+ ora scrivi quasi in prima persona…
Sì, gli ultimi due album dei Sick Tamburo sono molto legati alla sfera personale. Ma non chiedermi perché, io scrivo quando c’è qualcosa che non va. Se il pezzo mi fa sentire bene, allora so che funziona.

È quasi come se la scrittura ti aiutasse a pensare meglio
Guarda, è proprio così. Se lo capissero tutti… è quasi una psicanalisi, non riesco a spiegarlo bene. La musica mi ha tirato fuori dalla roba più schifosa.

“Festeggeremo la fine della chemio fianco a fianco sul palco”. È già successo…
Sì, è stato il concerto più bello della mia vita. Lo ricorderò per sempre: Padova, c’era tantissima gente. Devi sapere che negli ultimi anni Elisabetta suonava in tour solo ogni tanto, per ovvie ragioni. Quel giorno aveva appena finito di fare la chemio e quando siamo saliti sul palco… (lunga pausa). Un fotografo ha colto alcuni momenti della serata, sono scatti che tengo sempre con me. Il più bel concerto… anzi, il più bel momento di tutta la mia vita.

Che cosa hai pensato prima che si accendessero le luci?
Speravo di non commuovermi. Di non piangere.

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