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Esce oggi “Syd Diamond. Un genio chiamato Barrett”

La biografia contiene molte testimonianze di persone vicine a Syd. In esclusiva per Rolling Stone, l'intervista all'ex fidanzata Libby Gausden

Syd Barrett, foto via Facebook

Syd Barrett, foto via Facebook

A dieci anni esatti dalla morte, esce oggi una nuova biografia di Syd Barrett: scritta dal giornalista scientifico Mario Campanella, Syd Diamond. Un genio chiamato Barrett racconta e dimostra come l’uomo che fondò i Pink Floyd e ne ispirò i futuri successi fosse affetto da una forma leggera di sindrome di Asperger, una condizione esistenziale comune che, nel suo caso, si identificò con la grande creatività iniziale.
All’interno molte le testimonianze, da parenti ed ex fidanzate. Noi, in esclusiva, vi facciamo leggere un estratto dell’intervista con Libby Gausden, ex compagna di Syd:

Libby Gausden ha ancora il volto dolce della sua infanzia. È una donna solare, piena di tenerezza, consapevole di essere stata la prima fidanzata di una leggenda del rock. Se vi fosse un’antinomia perfetta tra il suo mondo e quello di Barrett, lei ne sarebbe l’artefice indiscussa. Era già allora, all’epoca del punk-rock, una «brava ragazza».

Quando hai incontrato Roger per la prima volta?
È stato il 1961 e l’incontro è avvenuto casualmente. Ci siamo sempre piaciuti, forse fin dal primo momento. Eravamo due ragazzini, ma lui era dolce, tenero, pieno di energie e di entusiasmo, con due occhi profondi e vispi.

È vero che l’hai sempre chiamato Rog?
L’ho chiamato «Rog» e «Syd», mentre chiamavo «Ro» la sorella [Rosemary]. Ogni lettera che mi inviava era firmata Rog o Syd. Le ultime lettere che mi inviò erano semplicemente firmate Roger Keith Barrett. Il suo mondo non era più quello di prima, era come se veramente il mondo di Syd fosse morto per sempre, dopo il 1970.

Cosa ricordi di quella lettera che ti scrisse dopo la morte del padre?
Ricordo che mio padre mi fece scrivere una lettera tradizionale di condoglianze e a Syd piacque moltissimo! Mi rispose dicendo che suo padre era morto, con un grande velo di tristezza. Che quell’uomo avrebbe meritato molta più fama.

Che ricordi hai della mamma e dei suoi fratelli?
Sì, mi ricordo di sua madre, del padre, dei due fratelli e della sorella. Syd adorava sua madre e la sorella Ro e ammirava sia suo padre che i suoi due fratelli maggiori. Ma era anche molto amato e circondato da un affetto enorme da tutti i componenti della sua famiglia. Gente che lo adorava per il suo modo di essere e che non lo ha mai ostacolato nella sua carriera e nelle sue scelte.

Perché vi lasciaste nel 1964?
Ci siamo divisi nel 1964 e tornammo insieme nel ’65. Eravamo stati insieme per tre anni e sarei dovuta andare in Germania. Fu veramente molto triste per entrambi, perché ci amavamo molto e Syd dimostrava di essere molto attaccato a me. Mi scriveva in continuazione e mi ricordava come una sorta di grande amore della sua vita. È vero che eravamo molto giovani, ma la sensazione era sempre quella di avere di fronte una persona dolcissima.

Ricordi se Syd camminava goffamente?
Aveva una camminata molto sostenuta, felice, era la persona più felice che avessi mai conosciuto. Era veramente amato da tutti ed era molto attaccato alla vita. Con una capacità di cogliere elementi, direi, inusuali, di scorgere la bellezza anche dove non c’era, di cercare nella musica e attraverso la musica un messaggio di amore.

Syd ti cita in uno dei suoi pezzi da solista, quasi a sigillare la vostra unione.
Sono stata molto lusingata del fatto che mi abbia dedicato una canzone e che l’abbia scritta per me, la canzone era Terrapin. Un testo che mi commosse e che rappresentava bene il modo in cui Syd esprimeva i suoi sentimenti.

Ai tempi in cui lo frequentasti aveva iniziato ad assumere droghe?
Sì, aveva iniziato. Syd purtroppo amava sperimentare le droghe, miscelarle e voleva vedere l’effetto che procuravano sulla sua musica. A quei tempi, parlo del ’62-63, fumava regolarmente la marijuana, poi seppi che aveva preso gli acidi e che era diventato dipendente. Io credo che la droga, il Mandrax, siano stati veramente i suoi nemici per tutta la vita e che abbiano frenato il suo modo di essere.

Hai mai incontrato Roger Waters e David Gilmour?
Sì, molte volte. Entrambi amavano moltissimo Syd. In quel periodo straordinario, lui era il leader carismatico, quello che (specialmente con Waters) aveva avuto una grande influenza. Poi, il gruppo si è legato a lui indissolubilmente. Canzoni come Shine On You Crazy Diamond o Wish You Were Here, THE WALL, tutta la grandezza dei Pink Floyd è in un certo senso legata alla sua figura.

Dei suoi disegni che cosa ne pensi?
Era veramente un artista meraviglioso e mi spiace non aver nessuno di quei dipinti, così intensi e così straordinari.

Quando capisti che la sua personalità era, diciamo, stata modificata?
Quando ci siamo incontrati nel 1967, ho notato un enorme cambiamento in lui. Non lo vedevo da un paio d’anni perché mi ero trasferita in Germania. Era tuttavia ancora molto felice e molto affettuoso.

Ti chiedevi che tipo di malattia potesse avere?

Incontrai la mamma, e la stessa cosa fecero i suoi colleghi, Waters, Wright, Gilmour. La signora ci disse che un medico importante gli aveva fatto una diagnosi (parlo del periodo intorno al 1970) di malattia mentale dovuta a un fattore organico. Era come se le droghe pesanti che aveva assunto per anni gli avessero procurato danni irreversibili al cervello.

Che ne pensi della sua musica?
Era una musica insolita e brillante allo stesso tempo, una musica nuova, mai sentita, che ha ispirato così tante persone come David Bowie. Un lampo di genialità assoluta che ha contaminato gran parte del rock, ma anche qualcosa che se oggi venisse ascoltata per la prima volta, a distanza di cinquant’anni e passa, sarebbe comunque innovativa.

Quali altri ricordi hai di lui?
Quello di un uomo generoso, bello, leale, di una bellezza fisica e interiore profonda, che io ho avuto la fortuna di conoscere proprio agli albori della sua vita, divenuta in seguito leggenda. La sua bellezza non era solamente fisica, ma interiore. Era una bellezza che non sfioriva, quello che si chiama carisma e che poche persone, veramente, nella vita possiedono.

Se ripensi a Syd cosa ti viene in mente, come prima immagine?
La profondità dei suoi occhi, il suo sguardo magnetico e unico: due occhi che difficilmente si possono rivedere nel corso della vita.

L’intervista è un estratto da Syd Diamond. Un genio chiamato Barrett di Mario Campanella, Arcana edizioni. © Lit Edizioni 2016. Questa la cover:

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