Rolling Stone Italia

Eravamo tre amici al bar

Gli alt-J suoneranno il primo febbraio al Palalottomatica di Roma l'unica data italiana del loro tour. 'Relaxer', il loro ultimo album, è più concentrato del solito: solo otto pezzi «perché avevamo delle scadenze»
alt j pub relaxer

C’è questo video bellissimo su YouTube che si chiama “How to Write an alt-J Song”. Consiste in due ragazzini strafatti di erba che, microfono e loop station alla mano, ricreano da zero le armonizzazioni e i canti in canone che potreste trovare in una tipica canzone della band inglese. Fa davvero ridere, soprattutto perché i due, dilaniati dalla fame chimica che solitamente viene dopo un pomeriggio passato a macinare canne, sgranocchiano gallette di riso per tutto il video.

All’epoca del 2015 diventò tanto virale che la stessa band, stilizzata con il simbolo delta, impostò una galletta di riso come immagine profilo su Twitter. «Ci ha fatto molto ridere», confida il tastierista Gus, stravaccato insieme ai suoi due soci in un pub di Shoreditch, Londra. «Quei ragazzini stavano solo scherzando, ma più di una volta i nostri nemici hanno usato quel video per dire che siamo scontati». Da allora, gli alt-J hanno attraversato alti e bassi. Incluso essere mollati da Gwil Sainsbury al basso. «Che poi lui non era nemmeno un bassista», aggiunge Gus, «suonava anche la chitarra. Ma siccome non siamo mai stati una band con ruoli definiti, abbiamo deciso di non sostituirlo quando se n’è andato».

Semplicemente, stare in una delle band alt-rock più acclamate dagli universitari di tutto il pianeta non faceva per lui. Gli mancava la sua fidanzata e credeva sempre più di «vivere una vita che non era la sua», spiega Joe, il cantante, con un filo di malinconia nella voce. Loro invece continueranno imperterriti a tirare avanti la baracca. Almeno finché si sopporteranno, ci saranno gli alt-J. «Anche se penso che fra 50 anni sembreremo i Mumford and Sons», dice Joe, scatenando le risate nel pub. Lui ci scherza su, ma ha già fatto piani sulla pensione. Comprerà una casa in campagna e una Jaguar, che molto probabilmente è il sogno di ogni inglese dall’invenzione del motore a scoppio.

Ci hanno definito “i nuovi Radiohead”, ma chi ha bisogno di nuovi Radiohead quando hai già i Radiohead?

Ma non è ancora il momento di appendere i dischi al muro. Quello di ritorno, Relaxer, arriva con una formula più concentrata: 8 brani anziché i soliti 15. «Avevamo delle scadenze, non potevamo sforare di un altro anno», tenta di smarcarsi Thom, il batterista. «E poi a me non piacciono gli album eterni», aggiunge Joe, «soprattutto oggi che la gente è più interessata alle canzoni che agli album».

In realtà quello che è piaciuto ai tre nerdazzi è la totale simmetria di Relaxer. Si divide in due parti da quattro tracce ognuna e per intero dura 40 minuti precisi. Un posto importante nella tracklist lo occupa l’irriconoscibile House of the Rising Sun: non la prima cover che i ragazzi mettono in un loro disco, ma di certo la prima che fa aprire un dibattito su chi sia davvero l’autore del pezzo.

«Potrebbe venire dall’Inghilterra così come potrebbe essere un vecchio pezzo francese tradotto poi in inglese dai primi coloni di New Orleans», dice Joe. C’è anche un altro pezzo dal titolo inquietantemente intrigante. Come tutto il disco, fa molto Radiohead – «Ci hanno anche definito “i nuovi Radiohead”», dice Gus, «ma chi ha bisogno di nuovi Radiohead quando hai già i Radiohead?» – e si chiama 3WW, ma tranquilli non sta per 3 World War, per quanto, con Trump al potere, una guerra mondiale non sembri più una possibilità così remota.

«In realtà sta per “3 Worn Words”, dove quel “Worn” sta per “consumate”, come un vecchio paio di scarpe», spiega il tastierista, specificando che il pezzo in sé non affronta alcun tipo di guerra se non quella in amore, ma che sarebbe da stronzi non avere nemmeno un briciolo di inquietudine con tutte quelle brutte facce che girano alla Casa Bianca.

Iscriviti