Enda Walsh racconta David Bowie | Rolling Stone Italia
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Enda Walsh racconta David Bowie

Abbiamo parlato con lo sceneggiatore di Lazarus, il musical di Bowie: «Credo che per David Jones sia stato comunque strano vivere dentro David Bowie senza chiedersi chi veramente fosse e dove fosse in quella storia».

Enda Walsh racconta David Bowie

Cosa contraddistingue David Bowie dal resto? L’eleganza. L’eleganza di chi non si attacca a un’immagine sola di sé, l’eleganza nonostante una chioma arancione, l’ombretto ciano e il rossetto rosa perlato, l’eleganza nonostante le pupille dilatate, le smorfie col naso mentre granelli di cocaina si scioglievano in gola, l’eleganza nonostante i fuseau e il pacco bello in mostra in Labyrinth. “Il mio cervello doleva come un magazzino, non aveva abbastanza spazio. Dovevo stipare così tante cose per immagazzinarle tutte lì dentro”. E’ una parte di Five Years, il pezzo che apre l’era di Ziggy Stardust nel 1972. Una volta Mr. Blackstar disse che la sua era la filosofia dello spezzatino, collezionava personalità perché non poteva farne a meno. Quando parlava con qualcuno dall’accento diverso dal suo immediatamente se ne appropriava. Ha iniziato suonando il sassofono, per poi passare alla chitarra, e tornare a celebrare il sassofono nel suo testamento musicale, Blackstar.

Bowie ha cambiato immagine e stile più o meno ogni tre anni, cioè a ogni disco che usciva. Con Blackstar e Lazarus, l’ultimo spettacolo teatrale scritto a quattro mani con Enda Walsh, ha cercato di darci la sua ultima dichiarazione riguardo questo mondo e la sua difficoltà a farne parte. Ne abbiamo parlato con lo sceneggiatore e autore irlandese che due settimane fa ha presentato a New York il suo ultimo spettacolo, Ballyturk (con le musiche del grande Teho Teardo).

Com’è stata la prima volta che hai incontrato David Bowie?
Estremamente piacevole, pensavo di dovermi interfacciare con un ego mastodontico, sai, era comunque un gigante della musica, ma non è stato così. Era davvero una persona piena di grazia, molto accogliente e rispettosa. Aveva letto tutti i miei lavori. Mi disse, “sai, sono stato nella tua testa per tre settimane”, che per me era terribile (ride, ndr). Alla fine ci siamo seduti e ha iniziato a chiedermi cose riguardo a quello che avevo scritto, perché l’avevo scritto, quale era il mio messaggio. Mi ha praticamente fatto un colloquio lunghissimo prima di iniziare a parlare della possibilità di lavorare insieme.

Quali dei tuoi lavori l’avevano colpito?
Abbiamo parlato molto della mia The new electric ballroom, ché gli era piaciuta moltissimo, anche se il tema è davvero tradizionale. E’ la storia di tre sorelle nell’Irlanda rurale che vivono una vita molto claustrofobica, si svegliano ogni mattina e la sorella più piccola si veste con i vestiti della sorella più grande, che ha il cuore spezzato da un cantante di una band e si veste coi vestiti della sorella più piccola. Bowie adorava tutta questa storia, la ridicolezza e la pazzia della teatralità di tutti questi costumi da ragazzina addosso alle sorelle maggiori, sembrava un po’ quelle cartoline composte da più strati di immagini, credo proprio gli piacesse tutta ‘sta roba.

Quale dei suoi lavori ti è piaciuto di più?
Low e Young Americans, ma ho conosciuto la sua musica veramente tardi, piaceva a mio fratello, io ascoltavo roba tipo gli Smiths quando ero un ragazzo, solo a vent’anni ho iniziato a realizzare quanto avesse influenzato tutta la musica dopo di lui che mi piaceva. Uno dei suoi pezzi che amo di più, che poi è nello spettacolo Lazarus, è Always crashing in the same car. E’ un pezzo brillante, con delle liriche pazzesche. L’ho amata come un’idiota (ride, ndr).

Quel pezzo parla di un incidente che ebbe con Iggy Pop, probabilmente strafatto di coca. Gli hai mai chiesto niente riguardo quel pezzo?
No, ma fu lui a scrivermi di ascoltare una delle sue canzoni che amava di più. Gli risposi che non ero affatto sorpreso e che era un fottuto genio. La musica spacca, il testo è fantastico.

Come avete scelto le canzoni che scandiscono Lazarus?
Mi ha dato tutta la sua musica, tutta (ride, ndr)! E mi ha detto, “Enda, alcune di queste le conoscerai credo, altre no, ma penso che dovresti scegliere tu le canzoni e come interpretarle”. Ero davvero scioccato perché alcuni pezzi potevano significare altro per me e avevo una prospettiva diversa, quella di uno sceneggiatore, e non la sua. Le ho ascoltate tutte, ovviamente, ancora e ancora. Certe cose andavano bene per quanto riguarda i testi, ma era soprattutto l’atmosfera quella che mi interessava. Bowie mi diceva spesso che avrebbe potuto scrivere qualcosa di nuovo, e io pensavo, Gesù, fantastico! (Ride, ndr). Ne scrisse altre, poche altre, che però alla fine non abbiamo usato. Non era uno di quegli artisti che ti impongono la loro creatività, mi diceva spesso che non c’era alcun problema se quei pezzi rimanevano inutilizzati. Era davvero completamente coinvolto, abbiamo cambiato spesso direzione e lui era sempre pieno di idee, diceva “perché non usiamo questa qui invece dell’altra…”. Rimase molto sorpreso della mia scelta dei pezzi, mi disse, “ehi, hai lasciato fuori tutte le hit!”.

In Lazarus c’è anche It’s no game, che parla di fascisti, di documentari sui rifugiati, di rivoluzione. Avete mai discusso questi temi?
No, abbiamo parlato molto di arte, di scrittori, delle differenze tra alcuni artisti e altri ancora, e roba del genere. Ogni nostro incontro era focalizzato su quello che stavamo facendo, cosa stavamo cercando di fare, non abbiamo parlato molto del mondo in cui viviamo, che suona terribile (ride, ndr), ma eravamo veramente concentrati sull’entrare nel mondo di Thomas Newton, che non fa parte del nostro (ride, ndr). Alla fine, Lazarus è una storia di ribellione, è la lotta di un personaggio che negli ultimi momenti della sua vita vuole solo essere pronto ad andarsene. E questo riguarda anche Bowie, sicuramente avrebbe voluto continuare a creare ma, quando ha capito che non ci sarebbe stata un’alternativa alla morte, ha iniziato a sperare in un addio pacifico senza però mai arrendersi. Così come non si è arreso per Blackstar: quel disco non poteva essere più chiaro, ha analizzato tutta la sua vita sapendo di dover morire presto, ed è stato magnifico perché ha avuto la forza di alzarsi dal letto, di superare il dolore della malattia, e cantare, spingere sul diaframma sapendo che gli avrebbe fatto malissimo, andare in studio, relazionarsi con gli altri.

Quali erano gli artisti importanti per lui?
Credo fosse davvero influenzato dall’espressionismo tedesco. Qualcun altro che ha collaborato con lui potrebbe dirti tutt’altro e questo non mi stupirebbe perché faceva proprio parte della sua personalità essere più persone in una. Era un uomo che leggeva di tutto, aveva un cervello immenso e una libreria di ricerca infinita che ha continuato ad ampliare finché non è morto.

Come nasce Lazarus?
Bowie arrivò da me con tre pagine scritte. C’era già il nome Lazarus, voleva fare qualcosa col personaggio di The man who fell to earth, Thomas Newton, a cui era rimasto legato dai tempi del film. Si sentiva molto attaccato a questo uomo che cade sulla terra e non se ne può più andare, non può fuggire, non ha età e diventa incredibilmente ricco ma vive una tragedia terribile, quella di non riuscire a tornare a casa. Bowie aveva continuato a pensare a Newton, si chiedeva se ne avessimo bisogno adesso. Un giorno mi chiese cosa pensavo stesse facendo oggi Newton. Gli risposi che ero quasi sicuro che stesse facendo sempre la stessa cosa, il medesimo lamentarsi della tragedia che sta o stava vivendo, e sicuramente stava vivendo di gin e torta (ride, ndr). La cosa ci fece molto ridere. E’ nato tutto così.

Cosa c’era in quelle tre pagine?
Bowie aveva altri tre personaggi: Valentine, dalla sua Valentine’s Day, la storia di un serial killer. David voleva quest’altra forza nel dramma, un uomo che vagava per NYC alla ricerca della bellezza ma che quando riusciva finalmente ad avvicinarla voleva ucciderla. L’altro personaggio era l’idea di una ragazza che Bowie aveva descritta come una che poteva essere o non essere viva. Ho pensato fosse una cosa fantastica da dire e che il suo arrivo nella storia sarebbe stato pazzesco. Quindi abbiamo creato il personaggio di una ragazza che non sa nulla di se stessa, che non prova sentimenti, non sa come è arrivata là, potrebbe essere un angelo o un fantasma o qualcos’altro. Il quarto personaggio che aveva era basato su Emily, che credo fosse un’infermiera, o comunque qualcuno che avesse bisogno di aiutare gli altri. Aveva anche un’immagine di un razzo costruito dentro un appartamento. Queste erano solo tre pagine ma per me era la base di tutto, era già il dramma completo, dovevamo solo trovare il modo di realizzarlo. Abbiamo iniziato a ragionare sullo stato della mente di Thomas Newton. Ne era uscita solo la struttura del desiderio, e ci sentivamo fortunati ad essere entrati in questa piccola parte della mente di un uomo, non volevamo creare una pièce teatrale letterale, ma qualcosa vicina al sogno, allucinogena. Quindi abbiamo iniziato a semplificare un po’ perché, sì, è vero che qualcuno avrebbe potuto gradire, ma in molti non c’avrebbero capito niente, questo ovviamente ci piaceva davvero molto (ride, ndr), ma ci siamo contenuti un po’. Credo che David all’inizio abbia pensato a come poter scrivere uno spettacolo come fosse un album. Non è proprio un pezzo di letteralismo, di realismo, riguarda il mood e l’atmosfera, e, certo, si è detto, possiamo fare come cazzo ci pare, non importa, è solo espressione pura.

L’unico personaggio reale è Newton, gli altri sono persone che lui ha creato dentro la sua testa perché per me il pezzo parla della morte e di cosa il tuo cervello cerca di fare in quei momenti prima di morire. Ci sono tutte queste forze del bene e del male, i ricordi, che persistono e vogliono rimanere sul palco ma che credo siano principalmente rimasti nella sua mente e non siano cose reali.

Perché credi che Bowie avesse bisogno di questo show?
Penso abbia sempre voluto fare qualcosa con il teatro, ne è sempre stato attratto, ne ha portato tanto nella sua vita, tante trasformazioni al suo personaggio. E’ una cosa bellissima creare un album, ma a volte è semplicemente giusto esprimersi con un medium diverso, qualcosa di più teatrale. Non so veramente perché l’abbia voluto fare ma so che per 40 anni ha voluto gente oltre i musicisti sul suo palco. E finalmente è riuscito a farlo.

Quali sono le cose di lui che più ti hanno colpito?
Era un uomo estremamente divertente, molto gentile e aperto, uno di quelli con cui diventi amico subito. Ho lavorato con molte persone e non tutti riescono a essere veramente liberi, non ti fanno sentire come se dovessi avere tutte le risposte ma capiscono che sei lì per fare anche domande e per cercare atmosfere. Bowie era così. Ma era anche un irrequieto, uno che stava sempre lavorando a qualcosa, gli ultimi cinque anni della sua vita sono stati straordinari, aveva più idee e avrebbe voluto continuare a creare. Guardando alla sua vita, ovviamente c’è questa quantità indefinibile di canzoni, ma la cosa che più mi ha colpito è stato come David, spingendosi sempre oltre con lo stile, con l’innovazione, sperimentando, cercandosi altrove, sia comunque rimasto se stesso. Aveva la buona volontà di imparare dagli altri cercando di trovare stimoli come artista, come scrittore, come regista, e aveva sempre la percezione della cosa giusta da fare. Il teatro o la musica sono un’esperienza di collaborazione, non riesci a realizzare tutto quello che hai in testa da solo, hai bisogno di aiuto, ma sai che una buona porzione di quelle idee che hai delegato e riorganizzato fanno parte di te, sono personali.

Questa è un po’ una domanda del cazzo: hai mai pensato ci fosse qualcosa di veramente strano in Bowie?
(Ride, ndr) No, non ho trovato nulla di strano, anzi, la cosa veramente strana di lui è che era incredibilmente normale, questo è fottutamente pazzesco! Cioè, come ha continuato a esserlo nonostante fosse David Bowie, uno che ha avuto un impatto così massiccio sull’arte del ventesimo secolo e che è rimasto una persona normalissima, tranquilla. Credo che per David Jones sia stato comunque strano vivere dentro David Bowie senza chiedersi chi veramente fosse e dove fosse in quella storia.

Pensi che Lazarus abbia influenzato Blackstar?
Forse sì. Fanno parte dello stesso mix. Stavamo scrivendo di un uomo che stava morendo molto prima che David ci chiamasse una mattina dal suo appartamento di New York per dirci che aveva il cancro. Era già pronto a questo, faceva parte di una generazione di persone che ormai iniziavano ad avere una certa età, molti dei suoi amici erano morti, non sapeva quando sarebbe toccata a lui mentre scriveva quelle tre pagine di Lazarus ma forse se lo sentiva, non so, aveva già iniziato a meditare sulla questione. Avevamo parlato spesso di morte, gli avevo raccontato di mio padre quando stavamo cercando di entrare nella mente di Newton. Avevamo parlato della morfina e di come la psiche lotti per creare chiarezza mentre ce l’hai in corpo.

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