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RIP

È morto Steve Albini

Membro di Shellac e Big Black, è stato uno dei grandi produttori (anche se non amava questa parola) dell’era del noise, dell’underground, del rock alternativo. Aveva 61 anni

È morto Steve Albini

Steve Albini nel 2005

Foto: Paul Natkin/Getty Images

È morto Steve Albini. Pioniere del noise, membro di Big Black e Shellac, era dietro alle registrazioni di alcuni classici del rock alternativo, da In Utero dei Nirvana a Surfer Rosa dei Pixies. Aveva 61 anni.

La notizia è stata confermata a Rolling Stone US dallo staff del suo studio, l’Electrical Audio Recording di Chicago. È morto martedì sera per un infarto. Non sono per ora noti altri dettagli. La notizia arriva a poco più di una settimana dalla pubblicazione del nuovo album degli Shellac To All Trains, il primo in oltre 10 anni, prevista per il 17 maggio.

Nato in California e cresciuto nel Montana, a fine anni ’70 si è trasferito a Chicago per frequentare i corsi della Northwestern University, dove si è laureato in giornalismo. Oltre a scrivere per alcune fanzine locali, ha dato via a inizio anni ’80 ai Big Black, arrivando col secondo album Songs About Fucking a incidere per l’etichetta Touch & Go.

Il titolo del disco aveva a che fare col fatto che «chiunque lavori nella musica, anche in quella indipendente, vuol dare l’impressione d’essere un iconoclasta che non si cura dei risvolti commerciali. Vuole farti credere che si occupa di arte e solo di essa. Poi però sbotta quando si trova per le mani qualcuna di non commerciabile. E così abbiamo deciso di svelare il gioco di questa gente. La vostra etichetta discografica ha a cuore la libera espressione degli artisti? Bene, ecco allora un titolo osceno e della musica orribile. Vediamo se siete di parola».

Col tempo, Albini ha incarnato questo spirito fieramente indipendente, non solo nei gruppi di cui ha fatto parte, dai Rapeman agli Shellac, ma anche in sala di incisione, nel ruolo di produttore. Non è in verità una parola che amava, si definiva piuttosto ingegnere del suono o più semplicemente qualcuno che registra i dischi, un «recording engineer». La sua idea è che i produttori-star che vogliono lasciare un’impronta sui dischi altrui finiscono per rovinarli. Il suo lavoro era aiutare gli artisti, non sovrapporsi ad essi.

Uno delle sue produzioni più importanti è Surfer Rosa del 1988, l’album che ha lanciato i Pixies e contributo ad aprire la strada al cosiddetto rock alternativo che negli anni ’90 diventerà mainstream. Gli amanti del noise lo ricordano tra le altre cose per aver messo le mani sui dischi dei Jusus Lizard. Nel 1993 s’è occupato tra gli altri di Rid of Me di PJ Harvey ed è stato chiamato dai Nirvana a registrare In Utero per togliere la patina commerciale del precedente Nevermind. Pure troppo, tant’è che un paio di singoli, Heart Shaped Box e All Apologies, sono stati remixati da Scott Litt per renderli meno spigolosi.

Era richiesto anche dai grandi per il modo in cui riusciva a replicare il sound grezzo e potente di una band che suona in una stanza, registrando spesso in analogico, facendo poche take. Jimmy Page e Robert Plant hanno chiamato lui quando si sono riuniti e hanno realizzato l’album Walking into Clarksdale del 1998 e lo stesso hanno fatto gli Stooges nel 2007 per The Weirdness. Nonostante il successo di alcuni artisti coi quali ha lavorato, Albini è rimasto fedele all’underground. Era soprattutto un gran lavoratore. Si stima abbia prodotto migliaia di dischi, anche di band italiane come Zu, Three Second Kiss, Uzeda.

Giocatore di poker di successo, era anche un gran polemista, noto per le prese di posizioni forti sullo stato della musica e dell’industria musicale. Non faceva sconti a nessuno, né alla grande discografia costruita secondo lui per sfruttare gli artisti, né ai musicisti coi quali lavorava all’Electrical Audio Studio fondato nel 1997. È poi cambiato, ma un tempo sembrava quasi determinato nell’offendere il maggior numero di persone possibile. Non si faceva problemi nel titolare le canzoni in modo controverso, fuori dai canoni nel politicamente corretto. «Meglio un uomo ragionevole e rispettoso che chiama la sua ragazza “yo, bitch!” che uno che la maltratta, ma la chiama “ms”», diceva nel libro di Michael Azerrad American Indie: 1981-1991, dieci anni di rock underground. «Bisogna cambiare il modo in cui si vive, non in cui si parla». Sicuramente lui ha cambiato la musica.

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