...e Calcutta in Serie A | Rolling Stone Italia
News Musica

…e Calcutta in Serie A

Il Cassano dei cantautori italiani vive da nomade a Bologna, e ora è chiamato a giocare nel campionato principale. Sfidando classifiche e radio con un nuovo disco in uscita a maggio. Che ci racconta dal suo rifugio al mare.

…e Calcutta in Serie A

Calcutta fotografato da Fabio Leidi per il nuovo numero di Rolling Stone. Cappellino H&M, bomber WRANGLER e pantaloni SISLEY. In tutto il servizio: assistente style Giulia Bandioli, Grooming Clarissa Carbone using Hair Salon Hair Products.

Calcutta fotografato da Fabio Leidi per il nuovo numero di Rolling Stone. Cappellino H&M, bomber WRANGLER e pantaloni SISLEY.

La cosa difficile è stato mettersi in testa che questo dovevo fare nella vita. Imparare a rispettare le scadenze.

Formazione musicale?
Nessuna. Ho fatto una mezza stagione a scuola di chitarra, io e micuggino. Finché mio cugino non ha tirato un calcio sullo stinco del maestro. Noi avevamo 10 anni, il maestro 18.

E il pianoforte?
Il piano da solo. Avevo a casa un libretto che spiegava come fare gli accordi. Ho capito vagamente l’armonia, ma tecnicamente sono una pippa.

Ma di tuo nella vita cosa avresti fatto?
Non lo so. Niente. Prima, quando ero fidanzato, speravo che lei facesse carriera così mi mettevo a fare il casalingo. Portare al cinema i bambini quando non vanno a scuola, cucinare, andare al mercato. Perché no?

Perché no?
Non è successo. Il giorno che è uscito Cosa mi manchi a fare lei mi ha lasciato.

Era già scritto tutto.
Ma così fa paura. Scrivi una canzone e quella si avvera. L’altro giorno stavo scrivendo una canzone dal punto di vista mio che ero morto. Ho detto: lasciamo perdere.

HÜBNER CONTRO WILSON

Cappellino H&M, camicia con stampa hawaiana DSQUARED2, bomber WRANGLER e pantaloni SISLEY

Edoardo D’Erme detto Edo in arte Calcutta ha preso casa a Sperlonga per scrivere l’album nuovo che tutti aspettiamo. Il Secondo. Difficile. Album. A metà marzo la stagione è così bassa che i passanti si contano sulle dita di una mano. Grigio il cielo, grigio anche il mare, trattorie e tabaccai sono quasi tutti chiusi. Al bar della piazza mandano i Beatles a tutto volume. «Qua sto rilassato», dice Edo. «Quando vado a comprare la verdura, la signora è felice di pulirmi i carciofi. A Bologna non lo fanno mai. Se li trovi, i carciofi». Calcutta è bravo in cucina, mi hanno detto. Vegetariano. Fuorisede nell’anima, immagino, anche se ha lasciato l’università un bel po’ di anni fa. Prodotto dell’esotico rebus delle sue residenze, vere o poetiche che siano: Latina, Pomezia, Pesaro, il Pigneto a Roma, Milano, Bologna. «Io vivo a Bologna», mi spiega. «Cioè in questo momento i pacchi con i miei vestiti stanno a Bologna da amici. Ho lasciato casa e non so che fare. Milano è bella, mi piace un sacco, ma fredda. Roma è troppo grossa, non voglio stare più in queste città che divorano i suoi figli. Potrei prendere una casa a Latina, ma tornarci sarebbe come chiudere il cerchio. Allora sto qua, intanto».

Non è difficile. Anche fuori stagione Sperlonga è una meraviglia. Aggrappata a una roccia sul mare, tutta bianca come un frammento di Grecia nel basso Lazio. Fondata dagli Spartani. «L’altro disco era venuto fuori così, senza aspettative», riprende Edoardo. «I pezzi nuovi qui nascono dal sedersi a un tavolo, non lo facevo spesso…». Da una macchina di passaggio sulla strada rimbomba il ritornello di Orgasmo: “Come stai? / È un sacco che non te la prendi/ È un sacco che non mi offendi”. Sorride: «Mi cercano». Una sola foto su Instagram con lo sfondo del mare era bastata a scatenare i ragazzi e le ragazze della zona: “Sperlong, I love you but you’re bringing me down”. E adesso si stropiccia gli occhi: «Ieri notte ho scritto tre pezzi. Mi sono addormentato alle 6 e mezza del mattino perché m’è uscita ’sta canzone su Dario Hübner». Hübner? Il calciatore? «Sì. Giocava con Baggio, Guardiola, Mazzone, tutta quella cricca là. Bel calcio. Ricordi? Ora ha aperto un bar con la moglie». Segui il calcio? «No. Da quando Hübner ha smesso non mi interessa più».

Non so se Hübner sarà il nuovo “Frosinone in serie A”, ma almeno si capisce che quella canzone non era un caso. Si capisce anche che il secondo album di Calcutta è ancora tutto da scrivere. Sulla carta, direbbero alla tv. Segue metafora: «Io sono un po’ come Cassano. Sono scostante. Durante la partita ho un guizzo, poi per il resto della partita mi metto da parte». Pensate al funzionamento delle sue canzoni. Cominciano piano, ti studiano, tu abbassi la guardia. Poi ti colpiscono con il graffio di una parola sola: “Uè deficiente”.

«Un altro pezzo che ho scritto ieri sera si chiama Spam», continua Edoardo. «A volte bisogna distinguere quando uno ti sta raccontando una cosa e quando ti sta spammando. E poi ho aggiustato una canzone sulla Rai…». All’inizio di febbraio Calcutta era apparso una domenica pomeriggio a Quelli che il calcio, nascosto dietro un paio di occhiali neri e il cappello di lana calcato sulla testa, in playback, con i suoi accompagnatori vestiti (chissà perché) da camerieri. Ha fatto bene? Ha fatto male? Insomma: “La notte su corso Sempione (…) Oggi è un grande giorno / si va in televisione”, canta adesso nel demo che mi fa ascoltare, poco più che pianoforte e voce. “Chissà se mi riconoscerà sul divano il mio gatto…”. Così su due piedi direi uno Jannacci rifatto dai Radiohead. Ma era dai tempi di Renato Zero e Loredana Bertè che non si sentiva una canzone sulla Rai-tv. E nessuno, credo, aveva mai pronunciato l’indirizzo “corso Sempione” prima d’ora, in una canzone pop italiana.

«È il mio pezzo preferito di tutto l’album», conclude serio. Un po’ vuole stupire. Qualcosa di più si capisce quando mi fa ascoltare – su un tavolino del bar, da una cassa grande quanto una tazzina di caffè – il nuovo singolo. Che si chiamerà Paracetamolo, parlerà di “esperienze forti”, rischia seriamente di convincerci a gridare “mi sento il cuore a mille” all’infinito su un giro di Do, come tanti Rino Gaetano redivivi. «Per adesso non parlo ancora della guerra, non parlo di nient’ altro che di me o di un amico mio», riprende. «Ma l’obiettivo che mi sono dato, un po’ inconsciamente, più che raccontare qualcosa, è quello di fare il pop italiano. Un pop onesto, né troppo antico né troppo moderno. Una cosa che mi piacerebbe ascoltare e che non c’è».

Bene. Chiedo cosa ha ascoltato in questo periodo e se faremmo bene a saperlo anche noi prima di ascoltare le sue nuove canzoni. Ci pensa su. «Niente di nuovo. Ho ascoltato tutte le versioni possibili di Smile dei Beach Boys, quelle rough, indefinite che si trovano ancora in Rete», mi ha risposto. «Spero di non averle plagiate. E poi qualcosa della Motown, quel periodo là, massimo metà ’70. Non so perché». E a un certo punto mi ha detto qualcosa come: «Non voglio finire a rifare Calcutta».

DA LATINA A BUSHWICK

Cappellino OBEY, giacca a vento multicolor COLMAR, sneakers NEW BALANCE

Io organizzavo concerti e facevo le tessere in un piccolo circolo Arci di Latina. Era il 2009 e per la provincia di Latina c’era un bel giro.

E ti sei messo a scrivere canzoni?
Alla fine delle serate prendevo la chitarra e cantavo degli scherzi più che delle canzoni. Se qualcuno diceva: me la rifai? Io manco la ricordavo. Finché un giorno abbiamo deciso di aprire questi concerti con delle orchestre improvvisate. Tutto molto estremo, ognuno che suonava per i cazzi suoi, un po’ alla K Records, se hai presente, ma a volte uscivano cose bellissime. E c’è stata la volta che dovevo andare a suonare con un gruppo di ragazze a Roma, al Baba Festival che faceva Stefano…

Demented Burrocacao, che poi è diventato il tuo primo produttore…
Avevamo un gruppo che si chiamava I Comunione, io e quattro ragazze. Quel giorno loro non vengono, si so’ prese male, non so. Ho detto a Stefano che avrei suonato lo stesso, con l’amico che mi aveva accompagnato in macchina alla batteria. C’erano 300 persone. Lì è cominciata. Era punk come cosa, io suonavo per stare con gli amici, per ubriacarmi gratis. Avevo una borsa di studio e i soldi me li facevo bastare. In quel periodo ho vissuto anche a Brooklyn…

A Brooklyn? È la prima volta che ne sento parlare. Hai vissuto a Brooklyn nel cuore dell’indie planetario, nel momento giusto? Allora tutto torna…
Erano gli anni di Ariel Pink, di James Ferraro che per me è un personaggio fondamentale e sottovalutato. Stavo a Bushwick dove tutti erano gentilissimi. Ovunque andavi ti davano il benvenuto e il quartiere funzionava così: un giorno andavi in una taqueria e il giorno dopo nello stesso posto ci suonavano gli Animal Collective. Ma come? Ieri ho mangiato qui le patate e adesso è diventato un posto da concerti? Abitava lì anche Oneohtrix Point Never… Come si chiama? Daniel Lopatin. Faceva i concerti alla finestra. Lui adesso è fico, quotatissimo.

Beh, lavora con Sakamoto e David Byrne. È l’erede di quella New York snobbissima. Ma come sei arrivato a New York?
Sono partito con un amico di Latina. Abitavo con lui e con un regista di videoclip. Tramite contatti e incontri fortuiti avevo cominciato a mettere dischi nei locali. Erano anche gli anni del glo-fi, l’italodisco era di moda. La volta che misi Vamos a la playa si presentarono una fila di dj col foglietto a chiedermi chi fossero.

E quanto sei rimasto?
Un po’ meno di un anno, finché ho avuto il visto. Gli ultimi tempi facevo il pubblico pagato in programmi televisivi, tipo Il gioco delle coppie

Ah, ecco perché la televisione ti inquieta.
Stavo là otto ore per fare tipo 16 puntate, mi davano dai 50 ai 100 dollari al giorno. Avevo trovato il modo per andarci un po’ più del consentito e praticamente ero ricco, mi potevo permettere il taxi. Andavo là e non capivo niente di quello che succedeva. C’erano giorni in cui mi addormentavo e sognavo il programma che stavo vedendo, ma doppiato in italiano. Avevo le allucinazioni.

SFIDA AL MONDO DEL POP

Cappellino HUF, maglia MISSONI, bandana DESTIN e denim LEVI’S


Il nuovo album di Calcutta si chiamerà Evergreen. In copertina ci sarà Edo in mezzo a un gregge di pecore, su un prato verde. Green. Sarà un disco più suonato dell’altro. Sarà un disco pop. Avrà un suono un po’ antico. Più classico. Giuro di aver sentito a un certo punto di questa conversazione pronunciare la frase: «Ritornelli alla Massimo Ranieri. Non gridati». Dimenticate il cantautore scombinato lo-lo-fi dei Sabaudian Tape, tipo K Records, voce e chitarra che si sente male. Dimenticate il cantautore con la chitarra. «Adesso scrivo quasi tutte le canzoni al pianoforte, un abbozzo che poi sviluppo con il mio amico Paco, che fa l’arrangiamento. Porto tutto a Bologna e registro con il mio solito fonico e un po’ produttore Andrea». Andrea Suriani ha lavorato con Cosmo, I Cani, Coez. Pasquale detto Paco «è un ragazzo della zona che conosco da sempre, più quadrato e metodico di me, che mi aiuta con gli arrangiamenti però non viene mai in studio».

«Io questa sfida con il pop ce l’ho in piedi da sempre», riprende Edoardo. E si capisce anche perché Smile, il disco incompiuto dei Beach Boys composto da Brian Wilson con il pianoforte nella sabbia, sia stato per lui una specie di talismano in questo periodo: «Per Orgasmo sono arrivato in studio con un sacco di tracce, quasi un’orchestra sul ritornello, e alla fine ho avuto paura. È rimasta una chitarra e poco altro. Mi è dispiaciuto». Insicurezze da autodidatta. Edoardo mi ricorda che all’inizio dell’exploit delle sue canzoni i suoi più grandi haters in Rete erano maschi e musicisti esperti.

«Tutti col basso a tracolla nella foto del profilo. “Guarda questo”, dicevano. E avevano ragione». Da allora la cosa è andata avanti parecchio: il doppio concerto annunciato quest’estate all’Arena di Verona e allo stadio di Latina è un’idea talmente folle da sembrare uno scherzo. «L’Arena di Verona ha un’aria così sacra», mi dice Edoardo con l’aria di chi ancora pensa di averla fatta grossa. Poi ci ripensa e continua: «La cosa più importante del pop è quella di fare delle cose complesse senza che chi ascolta se ne accorga. Guarda God Only Knows, sono solo quattro accordi ma cambiano in continuazione, ti perdi. Secondo me è la canzone più bella della storia. Brian Wilson è uscito pazzo per fare quella roba, e non penso che avesse degli haters». A un certo punto tra gli ascolti di fortuna che accompagnano questa conversazione con passeggiata su e giù per Sperlonga e sosta per il pranzo, da un telefonino tanto pieno che grida pietà e una cassa bluetooth grande come una tazzina, spunta fuori una canzone intitolata Saliva. Solo voce e chitarra, in Do maggiore con qualche settima aumentata. Ci potrai mettere sopra l’orchestra, tipo Reverberi e Battisti, ma sempre resterà chitarra e voce. Il ritornello grida: “La cosa più bella che hai sono i nei / che punteggiano i discorsi tuoi / La cosa più bella che hai è la saliva che risbatte forte come il mare / ai miei pensieri arriva”. Calcutta grida sempre nei ritornelli.

Non ama parlare delle parole che scrive, ma questo è comprensibile. Vorrei soltanto chiedergli come le ha sparse in giro durante i concerti, come sono arrivate a chi ascolta e come gli sono tornate indietro, ricantate in coro, incastrate nelle vite e nei pensieri di milioni di persone. «Non ci sta niente da capire», mi risponde con sincerità. «La gente mi chiede che cosa significhi, è un’ossessione. Hanno paura di essere stupidi, paura di non capire. Secondo me tutti sappiamo ascoltare una canzone ed emozionarci. Poi però ci sentiamo in dovere di chiedere: “Perché mi sono emozionato? Non è che mi sono inventato tutto?” Certo che sì. Quella è la cosa bella». Quando canta, anche l’elenco del telefono, Edoardo ha una voce capace di una tenerezza sconvolgente. Se non l’avete mai ascoltato cantare Futura di Lucio Dalla con Fiorello, fatelo. Altri argomenti di questa conversazione che non hanno trovato spazio e motivo: Andrea Pirlo, Franco e Ciccio, Come mi vuoi? di Paolo Conte ascoltata sulla macchina di suo papà, Judee Sill, Nino Frassica. «Frassica è il mio idolo. Il Bi e il Ba, lo so a memoria».
Politica zero.

NIRVANA VIANELLO

Starò qui un mese, forse due. Prima siamo stati a Umag in Croazia. Un posto assurdo, anche più piccolo di Sperlonga. E siamo stati anche a Ficulle, provincia di Terni. Cinque giorni. Un freddo…

Dalla andò alle Tremiti per Com’è profondo il mare.
È che il mare, in generale, fa. È qualcosa di inspiegabile, ma ha ancora un significato. I trovatori portoghesi se ne andavano di fronte all’oceano a scrivere. Io così davanti al mare non avevo mai abitato. Ti fa venire voglia di scrivere, ti fa venire la saudade.

E quando hai finito, dove andrai?
Vestiti estivi ne ho un po’ a Latina, a casa di mia madre. Ho fatto un ragionamento: se dovesse andare male le magliette a maniche corte me le metto pure d’inverno. Le felpe vediamo. Poi riprenderò casa a Bologna. O forse a Firenze.

Da solo?
Io sono un solitario. Quando vivevo con un mio amico, la sera uscivo e mi sbronzavo sempre. Invece, da quando mi sono fidanzato con una giovane ragazza punk, c’è un altro tipo di soddisfazioni…

Sandra e Raimondo (“Vestiti da Sandra che io faccio il tuo Raimondo”, canta in Del Verme, ndr).
No, non siamo ancora a quello stadio là.

Quello è il Nirvana. Non è da tutti.
Vero.

Altre notizie su:  Calcutta