Drupi, quando Paul McCartney mi disse che ero il “quinto Beatle”: «Mi sa che lo faceva con tutti» | Rolling Stone Italia
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Drupi, quando Paul McCartney mi disse che ero il “quinto Beatle”: «Mi sa che lo faceva con tutti»

In un'intervista rilasciata al 'Corriere', il cantautore ha parlato della sua carriera, della musica di oggi («Mahmood è bravo, ma della sua canzone a Sanremo non si capiva un’acca»), e, naturalmente, dei capelli che non taglia da quando aveva 10 anni

Drupi

Drupi negli anni Settanta

Credits: kpa/United Archives via Getty

Al secolo Giampiero Agnelli, proveniente da Pavia. Il nome, almeno quello pubblico, nel corso degli anni è cambiato, ma Drupi a Pavia ci abita ancora, e i suoi veri amici, dice, sono i pescatori della città lombarda, oppure quelli che stanno al bar. Anche perché, se sei fortunato, «di amici veri ne trovi tre nella vita».

 

Di questo presente di provincia, e del passato, in cui dalla pianura lombarda è arrivato a suonare in giro per l’Europa e a essere ospitato alla BBC a fianco di Paul McCartney, Drupi ha parlato al Corriere in un’intervista per rispondere alla domanda: “Ma che fine ha fatto?”

 

E lui, che arrivò ultimo per accidente al Festival di Sanremo del 1973 – il brano era Vado via, scritto per Mia Martini, ma nonostante il cattivo piazzamento vendette milioni di copie tra Italia ed estero e lanciò la carriera internazionale di Agnelli – è da lì che riparte per rispondere: «Sì, capita, se non vai a Sanremo nessuno si ricorda di te, però ho uno zoccolo duro di ammiratori, al teatro Lirico Gaber di Milano ho fatto sold out». E infatti i successi, complice la celebrità nel continente, non mancarono: Sereno è (1974), Piccola e fragile (1975), Sambariò (1976), oppure Soli, che si guadagnò un terzo posto al Festival nel 1982.

 

«In inglese [mi chiamano] “Drupai”, in francese “Drupì”, altrove va a fantasia. Questo cavolo di nome mi stava proprio sulle balle — era un folletto della recita scolastica — fu il mio discografico a insistere e ha avuto ragione, ormai ci ho fatto pace».

 

Ora, mentre il passato degli aneddoti con Julio Iglesias («girava nudo con indosso solo l’accappatoio e ogni volta che incrociava qualche vecchia americana lo apriva di scatto gridando “Ole!”. Io ero con lui e mi vergognavo come un cane») e Paul McCartney rimangono («[Lo incontrai] A Londra, a cena, mi ignorò. Vent’anni dopo l’ho rivisto a Los Angeles, mi scrisse una dedica: “Al quinto Beatle”. Mi sa che lo faceva con tutti»), l’attenzione di Drupi sembra essere tutta sul presente: in tv non ci va molto («una mia scelta, ho detto di no tante volte, alla fine non ti chiamano più. Vado se c’è da suonare e da parlare di musica. All’Isola dei Famosi prenderei tanti pesci ma perderei la mia dignità per sempre, tutto il giorno in mutandoni a raccontarsi stronzate, giusto se mi pagassero 3 milioni») e la passione rimane la pesca, però d’acqua dolce, ché da Pavia il mare dista troppo. Fluisce così, come la criniera inconfondibile che, dichiara, non taglia da quando aveva dieci anni: «Non li curo troppo, crescono come la gramigna».

 

E sulla musica italiana di oggi? Tra chi ha la forza di conquistare le classifiche mainstream, il suo preferito è Francesco Gabbani. Altri nomi sono «Prodotti ben fatti, però musicalmente non mi dicono nulla. Mahmood è bravo, ma della sua canzone a Sanremo non si capiva un’acca. Ho pensato: “Che audio del menga”. L’ho scaricata e sono rimasto come prima. Le canzoni di Annalisa sono quattro accordi in croce che non mi emozionano. Massimo rispetto, eh. Le ballate di Vasco Rossi invece ti toccano il cuore. I testi di Gino Paoli: semplici, chiari».

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