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Cosa resta di Sanremo?

I concorrenti di questa edizione non stanno vendendo dischi, tra canzoni brutte , ma non così brutte da rimanere nella storia , completamente fuori dalla contemporaneità.

Sanremo. 68° Festival della Canzone Italiana. Prima Serata. Nella foto Ermal Meta e Fabrizio Moro

Pensando a questo articolo mi è subito venuta in mente la canzone Que reste-t-il de nos amours? portata al successo da Charles Trenet e riproposta dal divino Battiato nel suo meraviglioso Fleurs. Infatti, cosa resta di Sanremo? Dell’amore che, per giorni, ha inchiodato l’Italia babbioneggiante (per dirla alla Leosini) davanti al festival che avrebbe riportato (ovviamente in autodichiarazione) la musica al centro dello show? Ve lo dico io: quasi nulla. Anzi vi do un elemento in più su cui poter riflettere: Benji & Fede (ribadisco in caps-lock BENJI & FEDE) in una settimana hanno venduto quasi quanto tutti i dischi del festival insieme dopo un mese.

Perché loro sì e i Benji e Fede degli anni ’70 (Facchinetti e Fogli) no? Andiamo a farci qualche domanda e provare a darci qualche risposta? Intanto qualcuno deve dirlo adesso passato più di un mese dalla fine del festival: molte, moltissime canzoni erano brutte, ma non sufficientemente oscene da entrare nell’epicità della storia della manifestazione. Cioè o diventi Fiumi di parole dei Jalisse, la canzone di Pupo e i Savoia, uno Scanu qualsiasi “in tutti i luoghi e tutti i laghi” o il “pathos” della Salemi, oppure hai fallito il bersaglio dell’orrore epico e l’unica cosa che può accaderti è finire nel dimenticatoio.

Punto due: il cast era completamente fuori dal tempo. Adesso, non pretendiamo la trap ma almeno un’illusione di rap tipo Frankie Hi-nrg (quello che Sanremo pensa sia il rap da vent’anni) ci sta sempre, no? E le donne? La mestizia definitiva. L’idea che ha Baglioni della musica italiana femminile passa dalla caduta verticale di Nina Zilli (di cui abbiamo già parlato), da Noemi che la segue a ruota, dalla Vanoni che tutti condividevano e amavano estasiati ma che poi nessuno ha comprato. Rimane il grande dilemma Annalisa: l’unica che sta avendo la 27192393 possibilità, dopo Amici, dopo l’album di Kekko, dopo la musica d’autore, dopo il reggaeton, dopo Benji e Fede, il suo nuovo album Bye Bye barcolla ma non molla in top ten.

Sembra che se la passino meglio “Lo stato sociale”. Cioè Lo stato sociale se la passa meglio a prescindere. Al contrario di Gabbani, il wannabe Battiato che grazie alla sua scimmia è finito in tutte le baby dance di Rimini, arrivano da una storia solida, da un pubblico solido, da palasport e la loro bolognesità non si fa certo sedurre dalle sirene sanremesi. Il loro brano primeggia nei singoli più venduti e tra i più trasmessi in radio eppure Primati, la raccolta dei successi che furono viaggia sulle 7000 copie vendute. Né più né meno delle loro vendite abituali. E i vincitori? Sono quelli che stanno andando indubbiamente meglio: Ermal Meta ha raggiunto dopo un mese il disco d’oro (unica certificazione ricevuta da un disco del festival), Fabrizio Moro e soprattutto Ultimo, la vera rivelazione, ci arriveranno.

Che consiglio dare quindi al buon Baglioni per il Festival-della-musica 2019? Intanto di appassionarsi delle canzoni. Non andare alla ricerca dei survivors dei Pooh, non costringere la Bertè a cantare un brano di Antonacci, non lasciare fuori le voci più particolari, più nuove e innovative della nostra penisola. Investire sulle persone che sanno comunicare al proprio pubblico e potrebbero avere un futuro come appunto quei due modenesi che hanno scalato le classifiche facendo credere che basta un video su YouTube e delle belle faccine per vendere carovane di dischi.

Torniamo alle eliminazioni. Anche perché la storia insegna che una canzone eliminata non per forza segna la carriera di qualcuno. (E non apro la solita parentesi trombona su Vasco, Zucchero, Jovanotti, ecc. ecc.) Giusto ieri Alberto Salerno, storico autore di canzoni, scriveva “Come sangue e arena degli antichi romani, big e giovani erano eliminati alla prima esibizione, senza ripescaggi… ma che brividi, che emozioni quando ti dicevano che per la tua canzone, il giorno dopo, erano partite a raffica le prenotazioni, sapendo già che la settimana successiva sarebbe entrata di botto nelle prime posizioni, altro che la camomilla di oggi. Quelli si che erano festival”.

Investite sulla leggerezza. Lo so che state pensando e grazie al cazzo (in alternativa più sobria: grazie a ‘sta ceppa), ma ricordiamoci che negli ultimi anni non ha trionfato solo il populismo di Meta – Moro, ma anche quello di “non è l’inferno” di Emma sostenuto da Kekko dei Modà. Ecco. Questo è quello che il festival propone. Certo noi continueremo a sognare Coachella, il Burning Man, Glastonbury, il Sónar e a prosciugare i nostri conti in banca per i biglietti di Jay Z & Beyoncé. Ma non ci dispiace mai nemmeno buttarci a capofitto con amici, in un gruppo d’ascolto, durante la settimana musicale più trash dell’anno. Ma se trash deve essere, che trash sia! Altrimenti si torni alla musica… non all’idea che le vecchie glorie hanno della musica.

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