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L’esclusivo concerto di e per Van Morrison a Cyprus Avenue, nella sua Belfast

Lo scorso 31 agosto, quasi una “Astral Week” fa, abbiamo festeggiato il settantesimo compleanno di Sir "Van the Man" con un doppio concerto nel suo viale
Van Morrison - Foto di Ken Haddock

Van Morrison - Foto di Ken Haddock

Sir “Van the Man” è al lavoro nel giorno del suo settantesimo compleanno. Un doppio turno speciale pomeridiano – due performance, un totale di duecento minuti e una quarantina di canzoni – in un lunedì festoso e festivo (in Irlanda del nord questo 31 di agosto è Bank Holiday). Il set è un piccolo palco all’aperto, occupa l’incrocio tra due vie di East Belfast, il settore protestante della città: Beersbridge road e Cyprus avenue. La prima è una delle tante strade della working class, schiere di casette modeste e Union Jack, la seconda srotola un’oasi rettilinea di verde ed opulenza. Molti ne confondono il nome, pensando ai cipressi (riflesso arboreo, ci sta) e non all’isola col muro in mezzo (ogni riferimento è volutamente casuale).

Per Van Morrison è stata un luogo mistico (sic) in cui riflettere, distinto ma non distante da quelli, tutt’intorno, in cui è cresciuto. Oggi il viale eponimo, amalgama di clorofilla, mattoni e liriche, campeggia sui tremila biglietti di Live on Cyprus Avenue. I primi millecinquecento sono stati messi in vendita ad aprile e “sono finiti in venti minuti”, ci racconta Maurice Kinkhead dell’Eastside Arts Festival che si chiude coi due concerti di oggi. «Idem per il secondo appuntamento, non era previsto ma ci siamo convinti che valesse la pena replicare. E Van ha accettato. Sold-out pure quello in un attimo».

Tutto esaurito in 20 minuti

Una sorta di bis in forma di concerto intero per l’artista che di bis ne ha sempre concessi pochi. A giudicare dai polsi, wrist band arancione per la prima esibizione, verde per la seconda – scelta simbolica di colori? Sono quelli di unionisti e repubblicani – in tanti hanno acquistato un posto a sedere per entrambi i concerti: ottanta sterline l’uno, al cambio euro/quid fanno duecentoventi euro in tutto. I residenti si godono il live dai prati impeccabili o dalle finestre, una cerniera di siepi li separa dagli altri, paganti.

Come in aereo, la first class sta davanti, l’economy dietro (ma in piedi): settanta euro e un rettangolo d’asfalto con cui sancire l’io c’ero sto(r)ico di questo giorno speciale. Il suono arriva comunque pulito tra foglie e nuche che seguono il ritmo, la porzione di scena va invece conquistata ché non ci sono schermi a moltiplicare l’effige live di The Man. I decibel e l’adrenalina si rarefanno lungo il viale, dall’altro capo di Cyprus Avenue se ne percepisce comunque l’intensità.

Alle 15 in punto – rain or shine (anzi, rain and shine) – il concerto inizia con Celtic Swing e Close Enough for Jazz. Il colpo d’occhio sulla scena fa effetto: un quintetto con corista, tutti in nero da gala, ottoni lucenti e microfoni dai toni dorati d’ordinanza. La sagoma imponente di Dave Keary incombe sulla destra (se lo incontri in un altro contesto non diresti che è un chitarrista eccezionale, un virtuoso dai polpastrelli chirurgici). Paul Moran presidia l’altro lato, quello delle tastiere. Il ritmo è affidato alla seconda linea con Bobby Ruggiero alla batteria e Paul Moore alle quattro corde. La brava Dana Masters completa il quadro di quelli che sanno che la scaletta è una traccia, le pupille si dovranno cercare per anticipare o seguire ogni nota di e per Van. Alle loro spalle un trompe-l’œil replica e prolunga l’oleografia del viale alberato.

Un quarto d’ora di pioggia e jazz poi Moondance e due ospiti sul palco, uno alla volta: PJ Proby e Chirs Farlowe hanno un secolo e mezzo esatto in due e sono usciti – intatti, indenni e indiscussi – dagli anni Sessanta. Oggi pomeriggio canta con loro, nel recente Duets: Re-working The Catalogue la lista dei partner è lunga e ricca. Torniamo alla setlist: Sometimes I Feel Like a Motherless Child – un classico da pelle d’oca, senza autore certo e con radici nella melma schiavista, ripreso da generazioni di cantanti– la dedica a Brian Keenan. È stato ostaggio in Libano per quattro anni e mezzo negli anni Ottanta, oggi è tra il pubblico.

«Quando allarghi le braccia e tocchi due pareti nello stesso momento devi trovare la forza per andare avanti, ridefinire il concetto di libertà», confida più tardi a Rolling Stone nel ricordare la prigionia. «La musica è una delle risorse a cui ho attinto. Van ed io siamo cresciuti qui dietro e oggi ha fatto a me questo regalo per il suo compleanno».

Brown Eyed Girl arriva alla mezz’ora, è il momento dei pezzi più noti. È anticipata da Mystic of the East, perfetta ed emozionante, e seguita da Days Like This, brano-totem del processo di pace. Sono passati vent’anni tondi tondi da quando l’ha eseguita non lontano da qui, in città in quei giorni d’autunno 1995 c’era Bill Clinton, protagonista e mediatore degli accordi. Avrebbe forse preferito suonare il suo sax davanti ai settantamila in piazza e liberare lo stress accumulato nelle negoziazioni. E il compleanno di Van Morrison cade, speaking of which, nel giorno del cessate il fuoco dell’IRA (31 agosto 1994).

La parentesi politico-musicale si chiude segnalando il tweet bilingue con cui Gerry Adams gli ha fatto gli auguri. Il riff di Baby Please Don’t Go ne anticipa il medley con Parchman Farm (una canzone possente, ha l’età di Morrison stesso), l’elegia delle lacrime di Cry Cry Baby e Sometimes We Cry fa posto alla luce di Whenever God Shines His Light e Enlightenment. Con Things I Used to Do e Healing has Begun l’atmosfera si fa più forte e intima, Ballerina scalda i fan più esigenti e con una In the Garden rivisitata si chiudono i primi novanta minuti.

Niente alcool in vendita, nell’intervallo tra i due concerti si fa merenda con scones, pasticcini e caffè da consumare nel sagrato della chiesa. O nei giardini dei residenti, aperti ad amici «che hanno iniziato a farsi vivi, dopo anni, chissà perché, appena la notizia del concerto ha iniziato a circolare» – scherza Lynn, una fan dai tempi dei Them. Australiani, americani, irlandesi e altri ancora. In giro si sentono parecchie varianti dell’inglese, accenti e sorrisi di latitudini molto varie e poco eventuali.

Ma niente italiani. Il fatto, ioho, è che da noi si apprezza una porzione relativamente ristretta della sua musica e si conoscono poco i testi. La prima tocca certe corde ma i secondi le fanno vibrare più a lungo e più in profondità, soprattutto se sono di Morrison, un artista schivo e profondo, creativo e concentrato. La lacuna la si può colmare con Essential Van Morrison, fresco di stampa, o i trentatré album solisti, ora in digitale e streaming. Con queste mosse Sony compendia e rilancia l’opera omnia del performer irlandese (la sua Legacy Recordings ne ha da poco acquistato i diritti dell’intera discografia). Un anno fa è invece uscito Lit up inside: selected lyrics, da sfogliare con casse o cuffie off e poi on (e off e on, ad libitum).

Per il secondo live act mr Morrison è più in forma. S’è scaldato e rilassato, cambia otto brani dalla scaletta del primoCarrying a Torch e Cleaning Windows sono le sostituzioni più apprezzate – e tutto scorre un po’ più fluido e più intenso. Si lancia in acrobazie gutturali divertite e divertenti, ammicca e scherza. L’alchimia del craic di Belfast è ora completa.

and the craic was good


E Cyprus Avenue? Non l’ha eseguita, ha optato per un’altra strada: la sua, quella in cui una targa ne ricorda l’adolescenza al civico 125: «Take me back, take me way, way, way back on Hyndford Street. Where you could feel the silence at half past eleven on long summer nights».

Alle undici e mezzo mancano quattro ore ma in questa sera d’estate ci sarà meno silenzio. La festa continua, composta e ossequiosa e grata.

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