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Come si guadagna con la musica nel 2018?

I musicisti si arricchiscono davvero con le royalties? E che dire di merchandising, sponsorizzazioni e pubblicità? Un’analisi della situazione americana

Come si guadagna con la musica nel 2018?

La parola musicale più chiacchierata dell’anno è sempre stata la più noiosa: Copyright – il diritto d’autore su opere d’ingegno come canzoni e album -, un nodo di regole e procedimenti dell’industria musicale che coinvolgono molti più attori di quanto potrebbe pensare il tipico fan. Ma mentre il congresso temporeggia sul discusso Music Modernization Act, i musicisti combattono battaglie legali e Wall Street cerca di capire perché Spotify non sia un’azienda remunerativa, sarebbe utile capire come funziona il sistema finanziario della musica americana, così da affrontare il prossimo futuro con gli strumenti giusti.

Innanzitutto, le “Royalties”. Sono le somme pagate a chi detiene i diritti delle creazioni quando queste vengono vendute, distribuite, integrate in altri media o monetizzate in qualsiasi altro modo. Ecco la guida di Rolling Stone per capire come musicisti, autori e produttori dell’era digitale riescono a mettere le mani su questo denaro.

Scrivere e registrare musica

Per tutti gli ascoltatori una canzone è una canzone. Per l’industria, invece, ogni singolo brano è diviso in due: la composizione (testo e melodia) e l’incisione (la registrazione audio della canzone). Cominciamo dalla seconda. I copyright sull’incisione sono degli artisti e delle etichette discografiche. Ci sono varie tipologie di sound recording licenses, come i performance rights (che dipendono da streaming digitale, radio AM/FM, radio satellitare e radio online), i reproduction rights (che dipendono dalla vendita delle copie fisiche o dei singoli file digitali) e infine i sync rights (per le canzoni usate nei film, o in tv), ma per la maggior parte dei casi questi diritti sono degli artisti e delle etichette che li promuovono.

Le etichette potrebbero non aver avuto niente a che fare con chi ha scritto il testo e la melodia di una canzone: a volte sono un tutt’uno – le band o gli artisti autoprodotti -, così da incassare il doppio dei soldi. Ma nella maggior parte dei casi sono separate – come succede con il grosso del pop da classifica – e così il guadagno è diviso. Nel caso dei recording rights tra artisti ed etichetta, per i composition rights invece tra artisti e tutti gli altri autori coinvolti. Entrambi questi diritti vengono monetizzati ogni volta che qualcuno ascolta un brano.

Quando la musica arriva sul mercato

Cerchiamo di capire come funziona il principale meccanismo con cui gli ascoltatori contribuiscono alle finanze dei creatori: quando comprate un brano su iTunes, Google Play o altri digital store, il denaro incassato dalla vendita viene girato a chi detiene il copyright – di composizione e registrazione – secondo delle quote che dipendono dalla dimensione dell’etichetta, da quella del distributore e da specifici negoziati tra le parti. Succede la stessa cosa per lo streaming, e per tutte le riproduzioni di musica, come succede in negozi, ospedali o siti web.

Per quanto riguarda la musica per film e pubblicità, invece, la situazione è differente: la “sincronizzazione” coinvolge un accordo negoziato tra chi ha prodotto la pellicola o lo spot e gli autori del brano (o chi ne detiene il copyright). Si effettua un primo pagamento in anticipo, poi le royalties vengono accreditate dopo la distribuzione del prodotto. Sono le licenze più remunerative, e anche un modo per guadagnare per chi è lontano delle classifiche: di solito i registi scelgono la musica del loro film in base al gusto personale e non alle mode del momento.

Nel caso della radio la situazione è ancora diversa: i network hanno a che fare con migliaia di canzoni e utilizzano delle licenze base, che determinano quote di pagamento generalmente valide per tutti. E c’è da fare la distinzione tra la radio broadcast (AM/FM) e la radio via internet (Pandora, Sirius XM): solo il secondo gruppo deve pagare i recording rights. Questa differenza – da tutti considerata come un’ingiustizia – significa che dalla radio guadagnano solo gli autori, non necessariamente gli artisti.

Suonare dal vivo

I concerti si stanno rapidamente trasformando nella forma di guadagno più interessante per i musicisti dell’era digitale, e per una buona ragione: gli ascoltatori sono sommersi da musica accessibile in streaming e a basso costo, e cercano esperienze più intime a contatto diretto con i loro artisti preferiti. È per questo che i tour diventano sempre più grandi, che i festival registrano numeri da record pur presentando lineup tutte uguali tra loro e aziende come Live Nation diventano sempre più grandi. Mentre le vendite degli album calano e i guadagni dello streaming sono ancora troppo bassi, i concerti diventano sempre più costosi. E convenienti.

Pubblicità

Nei primi decenni di storia del rock e del pop, i musicisti erano restii ad essere associati con marchi e grandi aziende, ma con l’ascesa del rap è cambiato tutto. Le brand partnerships offrono agli artisti la possibilità di sponsorizzare un marchio che apprezzano genuinamente e contemporaneamente guadagnare del denaro. Un altro metodo molto utilizzato è la monetizzazione via YouTube – la piattaforma on demand divide i guadagni pubblicitari con gli autori dei video. Gangnam Style, per esempio, ha incassato 2 milioni di dollari.

Moda, merchandising e vendita diretta

Vendere prodotti non-musicali, come profumi e linee d’abbigliamento, è una strategia molto utilizzata per guadagni facili, e gli artisti ne approfittano da decenni. Nell’era digitale, però, le possibilità creative sono aumentate, ed è così che i tradizionali “banchetti del merchandising” si sono trasformati in negozi veri e propri. Non solo, gli artisti possono provare la via dell’autofinanziamento, chiedendo direttamente denaro con piattaforme come Patreon o altre personalizzate. Sono sempre di più i musicisti a pubblicare app ad hoc, pacchetti speciali e prodotti d’ogni tipo: Pitbull, per esempio, vende una crociera personalizzata.

Quindi, dove sono tutti i soldi?

Quanto avete letto qui sopra è una lista incompleta dei metodi di guadagno degli artisti dell’era digitale; ricordate sempre che è altrettanto facile cambiare strada, diventare un produttore o scrivere per qualcun altro. Prendete l’esempio di Bebe Rexha, che dall’R&B americano è passata all’industria pop della Corea del Sud.

Sono davvero moltissimi i modi per guadagnare con la musica, tuttavia “l’artista medio” di oggi è sempre squattrinato: i musicisti americani possiedono solo un decimo dei guadagni complessivi dell’industria. Questa minuscola percentuale dipende innanzitutto dallo streaming, che nonostante stia salvando il settore nel suo complesso non è ancora redditizio per gli artisti. Secondo un documento diffuso da Spotify, ogni singolo stream frutta ai musicisti da 0,006 a 0,008 dollari. I numeri di Apple Music, YouTube Music e di altri servizi sono molto simili. La conseguenza è che gli artisti più famosi – come Drake e Cardi B. – guadagno milioni, mentre i più piccoli non riescono ad arrivare al minimo sindacale. Non è niente di nuovo – qualcuno potrebbe dire che sono dinamiche presenti in tutte le ere musicali -, ma i numeri non sono mai stati così drammatici.

Un’altra possibilità potrebbe essere ridurre l’enorme numero di brokers, middle men e altri attori dell’industria. Per non parlare della cosiddetta “black box of streaming royalties”, cioè il denaro non arrivato agli artisti per errori informatici o di comunicazione tra i vari servizi che devono registrare i dati. Si parla di miliardi di dollari. «Questi giovani artisti non capiscono i dettagli più grotteschi dell’industria musicale, non sanno come si muovono i soldi», ha detto Jason Bazinet, ricercatore di Citigroup. «Così non guadagneranno mai granché. Il sistema è incredibilmente pieno di buchi».

Una buona notizia: l’industria ha finalmente capito che lo streaming è una possibile fonte di guadagno, e adesso si adatterà alla situazione. Secondo molti analisti il sistema si “riscriverà” da solo – leggi, negoziazioni, fusioni, acquisizioni e consolidamenti -, diventerà più semplice e, forse, più redditizio per i musicisti. Una cattiva notizia: non sappiamo quando succederà.

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