E se X Factor fosse la soluzione perfetta per produrre talenti? (e non ce n’eravamo ancora accorti) | Rolling Stone Italia
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E se X Factor fosse la soluzione perfetta per produrre talenti?

Non è solo una provocazione: se per caso vi sembra un carrozzone pensateci di nuovo. Sono venuti a cercarvi in tutta Italia, vi hanno sentito cantare uno a uno. Per portare in tv la musica come è. Pensateci un attimo

Il dietro le quinte di X Factor

Il dietro le quinte di X Factor

Dite quello che volete, ma X Factor non è un karaoke. «Di trasmissioni con gente di tutte le età che canta successi ce ne sono già diverse, X Factor vuole essere più attinente alla realtà», dice Bruno Pasini, responsabile musicale del programma. Come si fa? Basta fare contento Sting, che all’alba dell’era dei talent show s’era scoperto censore: «Vedo soap opera che non hanno niente a che fare con la musica, i talenti veri stanno nei pub».

Sting gioisci, perché sei stato esaudito: X Factor non si è limitato alle mega audizioni di Roma, Bologna e Torino, ma ha fatto un giro d’Italia in 20 tappe, da Trento a Otranto, passando per le Isole e per centri come L’Aquila, Monopoli o Castiglione della Pescaia. «Siamo andati porta a porta, insistendo perché si presentassero ai casting ragazzi che non si sarebbero mai mossi, perché il viaggio sarebbe stato lungo o perché snobbano i talent show», racconta Pasini a Rolling Stone. «Per carità, ci sono anche delle belle voci pure, ma moderne. Abbiamo scoperto cantautori, gente che fa musica elettronica o indie pop, che sperimenta sulla voce, rapper veri – non ragazzi che scansiscono parole con un certo ritmo e a una buona velocità, ma rapper, che si scrivono i testi, che vivono in pieno l’hip hop».

Non vogliamo fenomeni televisivi, ma talenti veri che possano avere un futuro e durare oltre la sorpresa del momento

Se vi siete presentati cantando Whitney Houston o Listen di Beyoncé, ora sapete cosa avete sbagliato: «Ci interessa di più una voce imperfetta, che ha una disarmonia dentro, che non ce la fa a fare una scala in modo perfetto, ma che ha dentro un graffio, una contraddizione che non ti puoi dimenticare», spiega Eliana Guerra, curatrice del programma. X Factor non è la versione musicale di un concorso di culturismo. Fa come voi, che non amate un cantante solo perché è bravo, ma perché ha carattere e la sua voce comunica qualcosa.

«Non vogliamo fenomeni televisivi, ma talenti veri che possano avere un futuro e durare oltre la sorpresa del momento». Quindi state tranquilli: a X Factor non vedrete suore canterine. Trovare 12 concorrenti con quel graffio che poi è “il fattore x” è fondamentale – perché, come ricorda Nils Hartmann, direttore delle produzioni originali di Sky Italia, senza di loro il programma non è credibile: «No talent, no show». Ma è difficile. Ci vogliono mesi.

È un ciclo di lavoro che si ferma giusto «una decina di giorni dopo la finale di dicembre», dice Eliana Guerra. «A gennaio si ricomincia: un team musicale di 40 persone avvia la fase di ricerca. Per due mesi è scouting puro: si cercano talenti nelle scuole di canto così come dai produttori indipendenti, si passano ore e ore su YouTube. Da marzo si passa alla fase operativa». Arrivano le candidature spontanee, parte X Factor on the Road (le 20 tappe di cui si parlava prima). Tutto questo lavoro porta a un accumulo impressionante: per questa edizione, lo staff di X Factor ha valutato 60mila potenziali concorrenti. Di questi, una parte è arrivata di fronte alla giuria, che li ha valutati nelle tappe di Bologna, Roma e Torino.

X Factor non è un programma tv, è un evento

Il centinaio che ha convinto i giudici se li è ritrovati di fronte a inizio giugno, al Mediolanum Forum di Assago. È il bootcamp, il “campo reclute”, una maratona da cui usciranno i 24 che parteciparanno alla fase intensiva, l’home visit, una sorta di “ritiro” che ogni squadra fa con il suo giudice – per questa edizione: Morgan, Fedez, Mika e una Victoria Cabello che, giura chi l’ha vista in azione, «si difende alla grande dai colleghi uomini, anzi». A quel punto c’è la scrematura definitiva: dai 60mila iniziali si arriva ai 12 concorrenti, che si sfideranno nelle 8 puntate live in studio.

Perché tutto funzioni bisogna azzeccare anche un altro scouting, quello dei giudici e del presentatore. Perché, come dice Eliana Guerra, «nessun potenziale giudice è giusto di per sé». Verso la fine di un’edizione si inizia a pensare alla successiva, «cercando personalità uniche che possano combinarsi, trovare la chimica giusta» (aspettatevi sorprese).

«Lo capisco ogni giovedì sera, quando vedo le 1.200 persone che aspettano di entrare nella nostra X Factor Arena, quando sento che la gente a casa aspetta la puntata: X Factor non è un programma tv, è un evento», dice Nils Hartmann. Come Masterchef, l’altro programma di intrattenimento di Sky, X Factor non sa stare al suo posto: il giorno dopo, in ufficio, al bar, sono tutti chef, o vocal coach. È il frutto di un lavoro di riscrittura del programma, portato più vicino al format originale, togliendo le sbavature e aumentando l’interazione con il pubblico. «Quando sento quanto se ne parla, mi viene il dubbio che il dato Auditel sia sottostimato», dice Hartmann, «abbiamo creato un fenomeno che va al di là del pubblico di una pay tv con 5 milioni di abbonati» (dettaglio: nel resto del mondo questo talent non va in onda su pay tv).

Durante le puntate di X Factor 2013 ci sono state 1,5 milioni di interazioni su Twitter. Il pubblico non è spettatore e non è nemmeno solo il quinto giudice: è determinante anche in altri aspetti, come la scelta dei brani, in alcuni momenti della gara. L’anno scorso ha espresso 20 milioni di voti, attraverso 6 diversi canali. «Ormai si può votare con tutto, anche con il forno a microonde», scherza Hartmann. Passate le puntate c’è Xtra Factor, poi le fasce dedicate nel daytime. E nei punti morti? Leggete Rolling Stone. È un’idea.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di settembre di Rolling Stone

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