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Com’è andato il concerto di St. Vincent a Milano

Più che un concerto è un frullatore. Uno spettacolo quasi teatrale, che Annie Clark dirige senza mai staccarti gli occhi di dosso
St Vincent dal vivo ieri sera all'Alcatraz (Milano)

St Vincent dal vivo ieri sera all'Alcatraz (Milano)

St. Vincent crede nei tempi spezzati, nei suoni saturi che si sentono di rado e nelle scale veloci che solo i metallari non si vergognano di fare. Si muove a scatti meccanici nel suo mondo, che è un mondo acido, preciso, arricciato su ritmi sbilenchi.

Sarà colpa dello sfondo nero, dei monologhi o della cura per la gestualità, ma lo spettacolo risulta molto teatrale. Un gran frullatore, che Annie Clark (o, se preferite, St. Vincent) conduce guardando il pubblico negli occhi, con uno sguardo a metà tra il malizioso e la dichiarazione di sfida.

Gli altri tre con cui divide il palco suonano le parti accessorie: i riff ingarbugliati e le le parti vocali complicate li fa St. Vincent, tutti insieme allo stesso tempo, come se niente fosse. «Abbiamo qualcosa in comune», dice poco dopo l’inizio, «Siamo nati nel secolo scorso e la vita e l’amore ci hanno schiaffeggiato più volte, ma c’è una cosa che non faremo mai e poi mai: rinunciare alla speranza».

Il primo «A’ bbòna!» arriva alle 23, poco prima che parta la zampettata Birth in Reverse. Gli ultimi secondi di Your Lips Are Red chiudono il concerto con delicatezza, come se pochi istanti prima l’Alcatraz non fosse stato in preda a un’eruzione di distorsioni e colpi di doppia cassa. St. Vincent s’era avvicinata alle transenne – buttando, al suo posto, la chitarra. Le mani del pubblico se l’erano passata, suonando, mentre lei scattava delle foto con un cellulare preso in prestito dalle prime file.

Ascolta i brani che St Vincent ha scelto per Rolling Stone.

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