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Charlie Charles Presents: Mace

Oggi incontriamo il producer dietro a "Pamplona" di Fibra feat. Thegiornalisti, che nel rap ci è nato ma non ci è sempre stato

Charlie Charles Presents: Mace

Mace è nato nel rap, ci è poi uscito per crogiolarsi nell’elettronica dei Reset! e nell’organizzazione dei party più grandi di Milano ma poi ci è ritornato. Ora, il producer milanese che ci ha suggerito Charlie Charles non ha intenzione di schiodarsi dalla produzione di beat, soprattutto se poi riscuotono il successo di Pamplona, la hit confezionata da Simone (il suo vero nome) per conto di Fibra e Thegiornalisti.

Scheda Tecnica

ProducerMace
Vero nomeSimone Benussi
Età34
Origine del soprannomeÈ il suo vecchio nome da writer
LuogoMilano
Altra professioneDJ
Etichetta affiliataNessuna
Artisti affiliatiMarracash, Guè Pequeno, Fabri Fibra, Noyz Narcos
Producer italiano preferitoCharlie Charles e Not For Us
Producer estero preferitoJamie xx e Sinjin Hawke

Hit più conosciuta

Fabri Fibra - Pamplona ft. Thegiornalisti

Come hai iniziato a fare i beat?
Sul finire del liceo, avevo una compagnia di amici dove c’era quello che faceva i graffiti, quello che rappava. Sai, la tipica compagnia di fine anni Novanta. Quasi tutti però scrivevano rime, mentre a me interessava più l’aspetto strumentale, la musica. Quindi un giorno ho detto agli altri: “OK, facciamo che voi fate tutti il rap e io vi produco”. Così abbiamo fatto una colletta fra amici—chi ha messo 50 e chi ha messo 100 mila lire—e abbiamo un campionatore Akai 950 di seconda mano. Era di tutti, della crew. Senza sapere un cazzo e senza nemmeno un manuale, poco a poco ho iniziato a produrre. Dopo anni di tentativi mal riusciti però!

Ecco, tu che hai visto entrambe le epoche, rimpiangi un pochino l’analogico?
No, assolutamente. Per fortuna solo i primi esperimenti sono stati analogici. Poi dopo le mie produzioni hanno iniziato a prendere una forma con l’arrivo del software e del digitale: la versatilità. Nel rap in italia sono stato uno di quelli che ha segnato un po’ il passaggio fra le due epoche. Mi ricordo che i producer più grandi di me usavano ancora tutti l’analogico e quando siamo usciti con La Crème, il mio esordio, è stato un po’ uno spartiacque. Sono stato uno dei primi a fare robe con il computer che però fossero convincenti.

È incredibile perché tutti i producer più giovani che sto intervistando su questa rubrica scelgono l’analogico, ma quelli che come te invece l’hanno visto per davvero preferiscono il digitale.
Eh, l’erba del vicino è sempre più verde. Loro i floppy disk dove potevi campionare al massimo un secondo e mezzo non li hanno mica visti! Immaginati solo che per comprare un campionatore abbiamo dovuto fare una colletta di una decina di persone—e tutto questo soltanto per usare i sample! Pensa se avessimo fatto robe anche più elaborate, dovendo quindi comprare dei synth. Non ho nessuna nostalgia di spendere quelle barcate di soldi. Mi manca solo l’aspetto dei dischi. Ogni volta che facevo un viaggio all’estero era tradizione tornare con qualche disco da saccheggiare di campioni. Ora ovviamente non capita più.

Ne deduco che sei un guru dei software plugin.
Ne uso tantissimi. Mi piace proprio rielaborare il suono e stravolgerlo. Uso tanti software che modificano completamente la forma d’onda.

Da cosa parti per costruire un beat?
Non sono mai stato abitudinario, quindi non ho un metodo standard. Agisco sempre in maniera diversa—avendo anche fatto di tutto dalla dance al rap—e a volte ci aggiungo un elemento casuale. Dopodiché cerco sempre di trovare il mio suono evitando l’omologazione e i meccanismi abitudinari della mia mente. Cerco sempre di ingannare e bypassare il mio lato razionale, il mio emisfero sinistro del cervello. Calcola che magari mi sveglio la mattina, anzi, il pomeriggio…

Come il pomeriggio?
Eh sì sono un tipo nottambulo. Molto spesso faccio le 5 o le 6 di mattina in studio, a volte anche più tardi. Fortuna che ho lo studio a 5 minuti di bici da casa.

Qual è la tua prima hit?
Le hit sono arrivate tardi nella mia carriera. Ho sempre prodotto hip hop underground perché l’hip hop fino a qualche anno fa era underground. Poi mi sono dato ai Reset!, che per qualche anno è stato il party più grande di Milano, e poi mi sono dato all’hip hop mainstream. Sono tornato a lavorare coi rapper, continuando però a organizzare club nights. Negli ultimi 12 mesi sono arrivato a 3 dischi di platino e due d’oro. Se ti devo dare un nome della prima hit è anche quello della più famosa, cioè Pamplona di Fibra con i Thegiornalisti.

Con quali rapper hai collaborato?
Uf! Un mare di gente. Fibra, Marra, Guè, Salmo, Izy, Noyz Narcos. Quelli big praticamente tutti.

Che aggeggi hai nel tuo studio?
Ho delle bellissime casse monitor della Barefoot. Perché dopo una buona acustica, la cosa migliore che puoi avere in studio sono delle ottime casse. Poi uso un Mac portatile, una scheda audio Duet Apogee, tastiera midi, un paio di controller della Akai, un Machine e un Roli Rise, che è un giocattolino incredibile.

Qual è la richiesta più assurda che ti hanno mai fatto in studio?
Beh, ci sono quelli che ti chiedono esplicitamente di plagiare beat famosissimi, cosa che mi fa scendere i coglioni e che mi sono sempre rifiutato di fare. C’è questo “rapper” molto famoso in Italia, specie fra i più giovani, che aveva scritto un pezzo rap su uno strumentale famosissimo ed è venuto da me chiedendomi di rifare uguale il beat. Ne abbiamo fatte 5 o 6 versioni diverse ma niente: lui la voleva uguale. Così è andato da un altro produttore che non si è fatto scrupoli a rifare il beat pari pari ed è effettivamente diventato uno dei suoi primi grandi successi. Avrei potuto battere cassa alla grande però, sticazzi, non è il mio modo di fare.

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