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Brian Eno: «Il 2016 è stato la fine del declino, non l’inizio»

Il pioniere della ambient music ha scritto un post su Facebook. C'è una speranza per uscire da un mondo sempre più distorto
Crediti: Shamil Tanna

Crediti: Shamil Tanna

Brian Eno ha dato sfogo ai suoi pensieri sull’anno appena iniziato scrivendo un post su Facebook. Una manciata di paragrafi in cui il musicista e pioniere della ambient music si è sentito in dovere di toccare argomenti molto delicati, come la crisi economica, la questione umanitaria dei migranti, l’ascesa del populismo, i nazionalismi e, soprattutto, il futuro.

“Il 2016 è stato un anno decisamente duro, ma mi chiedo se sia stato la fine del declino e non l’inizio” ha scritto il musicista inglese, paragonando il lento declino iniziato 40 anni fa a una rana che solo ora si accorge di trovarsi in una padella piena d’acqua che lentamente si sta scaldando. “Il declino include la transizione dall’impiego fisso al precariato, la distruzione dei sindacati e il restringimento dei diritti dei lavoratori, i contratti senza una quota minima di ore a settimana, lo smantellamento dei governi locali e del sistema sanitario, un’istruzione che riceve sempre meno fondi e basata su esami dai risultati inutili, una stigmatizzazione sempre più accettabile dei migranti, il nazionalismo impulsivo e la concentrazione del pregiudizio favorita dai social media e da internet.”

Il post, scritto ieri in concomitanza con la data di uscita del nuovo album Reflection, continua puntando il dito contro la cultura individualista iniziata da personaggi come Margaret Thatcher e Ayn Rand. Questo desiderio di arricchire sé stessi col tempo avrebbe creato una disparità sociale sempre più netta, che stando al parere di Eno avrebbe poi causato la rabbia che ha portato ai vari nazionalismi come la Brexit—a giugno il nostro aveva scritto un altro post in cui invitava i propri connazionali a votare per rimanere nell’Unione Europea—o la vittoria di Donald Trump alle elezioni americane.

Alla base di questi giganteschi errori, per il sedicente non-musicista ci sarebbe una falla nel sistema dell’informazione. “Se vogliamo una corretta informazione e analisi, dovremo pagarla. Ciò significa SOLDI: supporto economico diretto alle pubblicazioni e i siti che lottano per fornire il lato non-corporativo e non-istituzionale della storia. Questa potrebbe costituire la chiave per un “futuro decente” e un 2017 che potrebbe sorprendere da quanto “pieno di possibilità”.

Parole sacrosante sulla carta, ma che rischiano di sembrare utopiche già solo per via della stessa crisi economica. Sono l’utente medio di Internet, ho sempre meno soldi e, probabilmente, le notizie potrebbero essere la prima cosa su cui comincerei a risparmiare. Innescando così un loop che rischia di non risolversi mai.

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