«Brava Adele che hai fatto togliere lo shuffle da Spotify: ora ci aiuti ad essere pagati il giusto?» | Rolling Stone Italia
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«Brava Adele che hai fatto togliere lo shuffle da Spotify: ora ci aiuti ad essere pagati il giusto?»

La popstar ha chiesto di non usare la riproduzione casuale di default per ‘30’ e la piattaforma ha acconsentito. Non tutti sono contenti. Gli artisti indipendenti pensano alla remunerazione, alcuni fan si lamentano: «Ora dovrò ascoltare l’album come vuole lei?»

«Brava Adele che hai fatto togliere lo shuffle da Spotify: ora ci aiuti ad essere pagati il giusto?»

Foto: Simon Emmett

In occasione dell’uscita del nuovo album 30 (di cui abbiamo parlato qui), Adele ha chiesto a Spotify di rimuovere la riproduzione casuale come opzione di default per chi vuole ascoltare il disco sulla piattaforma.

La richiesta è stata accettata: al momento in cui scriviamo, per moltissimi utenti lo shuffle è disponibile, ma più nascosto. Per alcuni è addirittura inutilizzabile. La nuova funzionalità non sembra però ancora implementata per tutti, come notano sui social alcuni utenti.

«Era la mia unica richiesta», ha scritto Adele su Twitter. «Non scriviamo album con cura e non compiliamo la tracklist con attenzione senza motivo. Raccontiamo storie con la nostra arte e i dischi andrebbero ascoltati come desideriamo. Grazie Spotify per aver ascoltato».

«Qualsiasi cosa per te», ha risposto Spotify, che ha poi diffuso un comunicato: «Siamo felici di annunciare una nuova feature Premium che utenti e artisti richiedono da tempo. Chi vuole ascoltare un disco in ordine casuale può ancora farlo nella pagina “Now Playing”. Come sempre, continueremo ad aggiornare il nostro prodotto per offrire la migliore esperienza possibile sia agli artisti che ai loro fan».

Com’era prevedibile, la novità ha scatenato reazioni opposte. Molti la ringraziano (e citano una richiesta simile di Lady Gaga) e notano quanto potere ha la cantante inglese. Altri stanno criticando Adele perché non hanno capito che la funzione shuffle non è stata eliminata ma semplicemente non è più quella di default, e perché dopo anni e anni di ascolto di playlist non concepiscono che le canzoni vengano sentite in un dato ordine. L’accusa: la cantante vuole controllare le abitudini di ascolto.

Qualche tweet: «Ma uno si può ascoltare la musica come vuole?»; «Ora dovrò ascoltare l’album come vuole lei? Se vado al ristorante non voglio che lo chef controlli che mangio i piatti nell’ordine che vuole lui»; «Completamente fuori di testa questa qua»; «Ma se io le voglio ascoltare come cazzo mi pare?»; «Ex-fucking-cuse me ma i cazzi tuoi no?»; «Ma che è sta storia? Sarò libero di ascoltare un album come the f*ck I want????»; «Ah okay quindi quando toglierò pr3mium potrò continuare ad ascoltare gli album come sempre pure dal telefono. grazie adele, i guess».

Ci sono poi artisti indipendenti, tra cui la star del nuovo country Margo Price, e addetti ai lavori che ringraziano Adele, ma ne approfittano per chiedere che Spotify e le altre piattaforme di streaming paghino di più gli artisti, citando tra le altre cose l’iniziativa Justice at Spotify.

«Adele, ora potresti chiedere che Spotify ci paghi il giusto?», scrive Damon Krukowski del suo Damon and Naomi secondo il quale l’unico contributo di Spotify a come si ascolta la musica «è l’algoritmo che sta alla base delle raccomandazioni, che è piegato dalle bustarelle e da altre distorsioni al fine di far ascoltare la musica che Spotify vuole che tu ascolti, non quella che potrebbe interessarti di più».

Vengono in mente quel che ha fatto Taylor Swift nel 2014, quando ha tolto la sua musica da Spotify chiedendo una remunerazione più equa, e le richieste più recenti degli artisti inglesi: «Le piattaforme di streaming sfruttano gli artisti».

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