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Ancora storditi dal tutto esaurito dei Deftones al Live di Trezzo

Per l'unica data in Italia a supporto dell’ultimo album “Gore” eravamo tutti carichi di aspettative, ma il più esaltato era Chino Moreno. Volumi pazzeschi
Chino Moreno durante il concerto dei Deftones il 7 giugno al Live di Trezzo - Foto di Arianna Carotta

Chino Moreno durante il concerto dei Deftones il 7 giugno al Live di Trezzo - Foto di Arianna Carotta

I Deftones hanno passato un day-off splendido (a giudicare del loro profilo Instagram) a base di grappe, foto da turisti in Galleria e davanti al Duomo di Milano per prepararsi al concerto al Live di Trezzo, sold-out da mesi. Dunque le premesse per un grande ritorno c’erano tutte, soprattutto per i fanatici di quell’aria che si respirava da metà dei ’90 agli anni 2000. Dreads, treccione, camicie a scacchi e omaccioni barbuti e sudati. Qualcuno portava fiero il logo dei Korn, compagni di nu metal e reduci dal Gods of Metal della scorsa settimana all’Autodromo di Monza, tutti gli altri la maglia d’ordinanza della band. Un buon 50% di loro si ritroverà a petto nudo a fine serata, grondante. Il locale è imballato fin dalle prime canzoni del gruppo spalla: i Three Trapped Tigers, tre ragazzi inglesi che fanno per lo più rock strumentale.

6.7.16 Milano, Italy

Una foto pubblicata da deftonesband (@deftonesband) in data:

Era l’unica data in Italia per il tour a sostegno di Gore, il disco uscito lo scorso aprile, quindi l’aspettativa era davvero alta ma il più esaltato si rivelerà poi essere proprio Chino Moreno. Il biondo frontman della band di amici californiani (la maggior parte dei Deftones suonano insieme fin dal liceo) canterà a pochi centimetri dal suo pubblico, toccandolo, abbracciandolo e staccandosi dalla gente solo quando “deve” anche suonare. Si parte subito carichi con Rocket Skates e si rilancia con due bombe ancor più pesanti da Around The Fur (1997): su My Own Summer è impossibile frenare cori e pogo, Moreno alterna sapiente scream e gemiti ai suoi melodici. E vale anche per la scaletta, che risulta davvero bilanciata: due o tre pezzi da ogni album per poi tornare alle origini con due pezzi da Adrenaline, del 1995, per il bis.

«Con tutto il rispetto, Gore è uno degli album migliori che abbiamo fatto, anche se non è il migliore di tutti i tempi» avevano dichiarato nell’intervista dello scorso aprile, eppure le canzoni del nuovo album non hanno superato le hit in scaletta, nemmeno per numero. I fenicotteri dell’artwork di Gore vengono richiamati durante lo show dai laser rosa in continuo movimento e diretti sul pubblico, parte integrante della scenografia minimal: sul palco con i cinque musicisti e i loro strumenti non c’è praticamente nulla. Le luci diventeranno viola solo durante l’omaggio a Prince, con l’omonima canzone da Diamond Eyes (2010), che proprio quel giorno avrebbe dovuto compiere 58 anni. Ma il momento più alto (anche per quanto riguarda i volumi, probabilmente) si raggiunge con le tre canzoni, tutte di fila, da White Pony (2010): Digital Bath, Knife Party e poi la perfezione di Change. La ricorderemo fino a metà della mattina dopo, storditi e ancora sorridenti, come se fosse hangover.

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