Al Bano: «Fare musica è come scopare» | Rolling Stone Italia
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Al Bano: «Fare musica è come scopare»

Un ultimo giro sul "tappeto magico" e dirà addio alla musica per curare il cuore e la fattoria. Ma ha già trovato dei successori, da Coez a Liberato

Al Bano: «Fare musica è come scopare»

Foto Alessandro Treves

«È interessante, una canzone figlia della sua epoca», dice Al Bano guardando il video de La musica non c’è di Coez. «Piace tanto alle mie figlie, una di 30 e l’altra di 17 anni. Vocalmente mi ricorda molto Cremonini». Il cantante pugliese è nella nostra redazione da appena 5 minuti che già l’abbiamo messo al lavoro facendogli ascoltare e commentare i singoli italiani più hot dell’anno scorso.

«Bell’arrangiamento e le immagini molto Dolce & Gabbana», si esprime invece su Tu t’e scurdat ’e me di Liberato. «Il primo ad avere avuto l’idea dell’anonimato in Italia è stato Celentano nel 1964 con la Ragazza del Clan». Le belle parole però finiscono quando arriva il momento di Secchio di Pop X: «Ma ha davvero dei fan questo? Non è davvero il mio…». Prima che possa finire la frase, riecheggia nella stanza l’urlo di Tarzan, che è la suoneria del suo cellulare. Riceve in media una chiamata ogni 5 minuti, su un dispositivo che non è uno smartphone ma uno di quei telefonini con apertura a conchiglia che oggi qualcuno chiamerebbe “vintage”.

Dopo al massimo un paio di strilli del Re della Giungla, il cantante apre il cellulare e risponde con la voce squillante che solo lui può avere. Di solito sono brevi conversazioni di lavoro, ma l’ultima che riceve riguarda la sua tenuta agricola a Cellino San Marco (Brindisi). «C’è uno che si fotte la legna giù nella mia azienda in Puglia», racconta dopo la chiamata. «Noi la accatastiamo e lui prontamente se la fotte». Lo stesso succede a volte con le olive, le verdure e tutti gli altri frutti dei 100 ettari della tenuta. «L’unico modo per far funzionare le cose è essere lì di persona», conclude, come per aggiungere un altro punto a favore della scelta (forse) più importante della sua vita.

Foto Alessandro Treves

Dopo una serie di concerti qua e là per il mondo, lo strillatore di Felicità – è anche il nome di uno dei suoi vini – appenderà il Panama bianco al chiodo, salutando con un inchino più di 50 anni passati a cantare. Tanti, forse troppi per smettere definitivamente.

Quindi è un addio o un arrivederci?
È uno standby, sicuramente. Ne sentivo il bisogno fisico e mentale. Sai, dopo aver avuto un tumore, poi un infarto, poi un’ischemia e infine un edema alla corda vocale destra, cominci a pensarci meglio. Sono arrivati tutti nello stesso periodo, li ho presi come dei segnali.

Fare musica ti stressava?
Macché, una goduria pazzesca. Fare musica è come scopare. È fantastico. Per me la musica è stata sempre come un tappeto magico. Quando avevo cinque anni mio padre mi portava in campagna a zappare nei campi. E lì mi ricordo che cantavo. Stessa cosa a scuola: una volta consegnai un testo di una mia canzone al posto delle risposte di un compito di chimica. Quando la professoressa venne da me per chiedermi spiegazioni, le risposi: “È questa la mia chimica”. Ovviamente quell’anno mi bocciarono.

Foto Alessandro Treves

Se la musica è come scopare, hai messo in standby pure quello?
Eh no! Finché ce la faccio vado avanti. È uno dei piaceri della vita, non vedo perché smettere. Non sei d’accordo?

Al 100%. Ho promesso al tuo ufficio stampa che non ti avrei fatto domande sul gossip, però la tua ex moglie Romina dice che sei solo stanco, e che non è un vero addio. Cosa rispondi?
Non è l’unica ad averlo detto. Però ripeto: non sono stressato. Prima dell’infarto stavo da Dio, è questa botta improvvisa che mi ha cambiato totalmente. Mi sono sempre sentito iperattivo, pieno di energie. Poi un bel giorno mi sono trovato a pagare il conto con il mio corpo. Nella sfiga, mi è andata anche bene. Modugno, pover’uomo, dopo l’ischemia è rimasto sulla sedia a rotelle; Gianni Bella non se la passa meglio. A me è andata di lusso, e sai perché? Mi ha aiutato l’infarto. Le medicine post-infarto hanno lenito gli effetti ischemici.

In 50 anni di carriera hai vissuto tanti successi, ma anche qualche scivolone. Ti ricordi di quella volta che a Eurovision nel ’76 ti sei dimenticato il testo di We’ll Live It All Again in diretta davanti a milioni di spettatori?
Caspita, mi ricordo di quel giorno come se fosse ieri. C’era una tensione allucinante e mi sono scordato le parole. Mi succede spesso quando sono teso, c’è sempre una valvola che scappa. Non puoi immaginare cosa voglia dire l’“eurovisione”: una macchina mostruosa, un’organizzazione tremenda, calcolata al millimetro! Avevo già fatto televisione in passato, anche all’estero, ma il fatto di rappresentare l’Italia mi ha messo addosso una pressione incredibile. Perciò ho dimenticato il testo sul più bello. Comunque, nonostante la figuraccia, la canzone fece il boom nei paesi francofoni. Belgio numero 1, Francia numero 1, in vetta persino nei territori d’oltremare, tipo Polinesia e Nuova Caledonia.

Foto Alessandro Treves

Vai forte anche nei Paesi dell’Est, no?
Ah, da sempre. Nell’Est Al Bano è un’icona.

Però ho sentito che sei finito sulla lista delle persone indesiderate in Azerbaijan.
Mamma mia, che storia! Fortuna che non è durata molto. Mi avevano chiamato a cantare nel Karabakh, ma mica lo sapevo che armeni e azeri si stanno contendendo quella regione. Così ho chiamato l’ambasciatore dell’Azerbaijan e gli ho detto: “Signori, io mica ne so nulla dei vostri problemi interni. Io sono un cantante, se mi chiamate per cantare vengo a fare il mio lavoro”. Poi siamo diventati amici con l’ambasciatore: ha capito che il mio non era un concerto anti-Azerbaijan. Pensa che vado a cantare a Baku a settembre. Quel posto è incredibile, vacci se hai la possibilità. Sembra una dépendance di Abu Dhabi.

Tua madre cosa dice dei guai internazionali in cui ti metti?
Non credo lo sappia. È una notizia che per fortuna è rimasta confinata su Internet. Comunque non sono un combinaguai: ho la testa a posto, so distinguere tra bene e male.

Ti sei mai fatto dei nemici?
Sicuramente, perché ho il gusto di dire la verità. Agli inizi non sopportavo le ipocrisie. Nell’ambiente discografico erano tutti dei lecchini nei confronti del direttore di questo, del presidente di quello. E io a lottare come un contadino, a seminare il mio terreno. Mentre gli altri a seminare solo zizzania.

Foto Alessandro Treves

Come sei riuscito a diventare ciò che sei?
Quando sono venuto a Milano, il mio primo lavoro è stato quello del cameriere in un ristorante. Un giorno uscì sul giornale un trafiletto: “CM di Celentano e Massara cerca voci nuove”. Sono andato a fare il provino e mi hanno richiamato, perché evidentemente la mia voce è piaciuta. Poi sono finito a lavorare da meccanico in catena di montaggio alla Innocenti. Facevo i profilati della Mini Minor, la Barchetta, eccetera. Ricordo che cantavo anche in fabbrica: prendevo il tappeto magico della musica per non pensare più a quell’ambiente orribile. Quando qualcuno mi urlava “uè, tì, terùn, basta con le serenate!”, io rispondevo “cretino, approfittane adesso che sto cantando gratis, che poi dovrai pagare per sentirmi”. Ero sicuro che ce l’avrei fatta, e così è stato. Quelli del Clan Celentano mi fecero cantare un pezzo dei Temptations, dicendomi: “Se riesci a cantarla, ti facciamo fare subito il disco”. Ora, io non sapevo mezza parola d’inglese, se non “good morning”, “good night”, “love” e così via. Me la studiai, con tutti i falsetti e i vocalizzi black, e loro rimasero sbalorditi. Anche io, a dirla tutta.

È giunto il tempo di tirare i remi in barca?
È stata una vita bella e intensa. Non lo dico con gioia, ma ho capito che è il momento di staccare, cosa che non ho mai fatto in questi anni. L’unica vacanza che ho mai fatto è stata l’Isola dei Famosi: un mese da favola. Andavo al mare, pescavo: come quando avevo 14 anni.

E in più all’Isola ti hanno pagato.
E anche tanto! In più mi sono disintossicato da tutto e da tutti, perdendo 12 chili. Peccato per quella scena che ha fatto in diretta Loredana (Lecciso, l’ex compagna, ndr). Giuro che quando mi ha detto “ti lascio” in diretta pensavo fosse un tranello. E invece faceva sul serio. Io non so come cazzo si può fare una cosa del genere. Acqua passata. Ora farò ancora dei concerti e poi basta. Qualche mese fa sono andato da Bruno Vespa e lì mi sono reso conto che facevo fatica a cantare quattro pezzi. Non è ancora tempo per mollare, ma quasi. Stasera vado ad Amburgo, presto suonerò per Putin alla cena di gala dell’ex KGB, al Cremlino.

Figata! Non hai paura che tutto questo ti possa mancare, nella fattoria?
Andrò sempre dove mi porta il cuore. Se mai dovessi sentire un campanello che mi dice di tornare, non ci penserei due volte. Ho dedicato molto tempo all’artista Al Bano, con gioia. Ma adesso devo occuparmi di Albano, l’uomo, la sua famiglia, il vino e la legna. Perché se becco chi me la ruba, me lo mangio.

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