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35 anni fa usciva ‘The Smiths’, l’incredibile esordio di Morrissey e soci

E per celebrare quel disco diventato leggenda ecco la recensione originale di 'Rolling Stone' del 1984

Quando nel 1978 Tom Robinson cantava Glad to Be Gay, lo faceva come una sorta di lamento funebre – l’ironia, per quanto confortante, era evidente. Sei anni più tardi, il cantante e autore dei testi degli Smiths – un uomo chiamato Morrissey – non sa bene che farsene del tono ironico. I suoi ricordi di rifiuto eterosessuale e isolamento omosessuale appaiono troppo dolorosi e persistenti per essere affrontati in un modo obliquo. Le canzoni di Morrissey sondano lo strazio quotidiano di un mondo che sembra fatto apposta per indurre in tentazione i gay, ma la sua amarezza e perplessità saranno familiari a chi ha mai cercato una connessione sociale senza il compromesso personale. Che stia evocando la confusione di precoci incontri eterosessuali (“I’m not the man you think I am”), o la realtà a volte crudele della scena gay, Morrissey espone la sua vita come una scatola da scarpe piena di fotografie sbiadite. 

A fronte dell’atteggiamento poetico piuttosto cupo di Morrissey, sorprende come The Smiths sia un disco caldo e divertente. Per quanto la voce di Morrissey – una litania spesso monocorde capace di tramutarsi senza preavviso in un inquietante falsetto – richieda un po’ per essere assimilata, l’accostamento con la delicata, tintinnante chitarra di Johnny Marr rende l’insieme affascinante. E queste undici canzoni sono ritmicamente così insinuanti che l’ascoltatore motivato si troverà, senza accorgersene, del tutto conquistato. Da What Difference Does It Make?, l’astuto recupero di un venerabile riff garage-punk, fino al potente pezzo d’apertura  Reel Around the Fountain, alle hit Hand in Glove e This Charming Man, questo disco ripaga a ogni ascolto.

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