Rolling Stone Italia

20 grandi canzoni dei Radiohead che solo i veri fan conoscono

Tracce nascoste in ristampe, b-side e brani esistiti solo in versione live, le gemme della band da scoprire in attesa del nono disco
I Radiohead - Foto via Facebook

I Radiohead - Foto via Facebook

I Radiohead hanno qualcosa in pentola. Sono passati cinque anni dall’uscita di The King of Limbs, ma con l’arrivo delle date ai festival, tra i quali il Primavera e il Loolapalooza di Berlino, la notizia del tema mai usato per Spectre e dell’apertura di una nuova compagnia a loro nome – forse proprio per il lancio dell’LP – è chiaro che Thom Yorke e soci potrebbero pubblicare il nuovo disco da un momento all’altro.

Prima che succeda però, vogliamo ripercorre le creazioni meno conosciute della band – dalle tracce in mezzo agli album ai B-side, dai pezzi nelle compilation e nelle colonne sonore alle improvvisazioni live – per segnalare le migliori chicche della band. Da Follow Me Around e Fog a Worrywort e Lift, ecco 20 grandi brani dei Radiohead che solo i veri fan conoscono.

“Banana Co” (1993)

Forse la canzone più politica dei Radiohead del disco pre-era Bush, Hail to the Thief, questo pezzo è una b-side in cui la band prende una posizione netta contro il potere colonialista che continua a violare e mutilare alcuni paesi dell’America Latina (o «Repubbliche delle banane») per trarne profitto. York, che diventerà poi uno dei cantanti più aperti sul tema dello sfruttamento dei campi per l’agricoltura intensiva, non è mai stato così sfrontato come nell’apertura del brano, “Oh, Banana Co, we really love you, and we need you“. Il brano suona come una versione minore dei brani più sofisticati del gruppo in quel periodo (vedi Bones), non stanca mai sentire Yorke così pulita.

“Blow Out” (1993)

Blow Out è la traccia più progressista dall’album di debutto dei Radiohead – che in realtà è un test di Knives Out, che uscirà quattro album dopo – in cui Yorke racconta i suoi problemi con l’autostima con un suono emo sbilenco. Una delle pochissime tracce di Pablo Honey che la band non si vergogna di suonare ancora oggi, dove la precisione del gruppo si unisce alla loro propensione per il caos. Quando la dolce cascata di chitarre diventa un muro di noise, il brano dà un’anticipazione di come sarà il suono della band nel futuro.

“True Love Waits” (1995)

Questa è probabilmente la migliore canzone dei Radiohead mai pubblicata – anche se poi finirà nel disco live del 2001 I Might Be Wrong. Un’esplorazione scappalacrime della dipendenza e della disperazione che esisteva già dal 1995, ma che grazie ai bootleg divenne una delle preferite dei fan – mentre la band la tenne segreta per cinque anni. Viste le richieste, i Radiohead l’hanno inserita nei concerti negli ultimi dieci anni, un rimando a un’era più triste e semplice. A 20 anni da quando l’ha scritta, Yorke ha spostato il suo focus su temi più globali, ma ogni tanto è bello tornare a un tempo in cui era ancora un Creep, o almeno un ragazzo che cantava “I’m not living/I’m just killing time” pensandolo davvero.

“Killer Cars” (1995)

Una delle prime b-side dei Radiohead – una versione incompleta di questa canzone era stata eseguita live già nel 1993 – la versione che i fan conoscono meglio è stata registrata qualche anno dopo. Tre lunghe jam di chitarra in cui la musica è tanto decisa quanto il testo, Yorke in Killer Cars prende la stessa ansia fisica che si snoda in altri pezzi dell’album come My Iron Lung e lo eleva allo stadio di totale follia sul fatto che mettiamo la nostra vita nelle nostre mani ogni volta che ci mettiamo al volante. «I’m going out for a little drive and it could be the last time you see me alive», canta Yorke, e diventa tutto molto ironico guardando la foto del fantoccio da crash-test sulla copertina.

“Lift” (1996)

Una delle canzoni preferite dai fan più nerd, Lift era fissa nelle setlist del periodo Bends, una delle ultime vestigia di quel suono brit-pop della band prima che si imbarcasse nella strada più dark di Ok Computer. Ma Lift non è adatta alle atmosfere di OKC o delle sue b-side, e i Radiohead hanno snobbato il pezzo per quasi sette anni, fino a farlo risorgere in una versione più rallentata nel tour del 2002.

Dopo la performance del 2002, Lift è stata nuovamente abbandonata dalla band, destinata a prendere polvere tra le altre canzoni senza album nelle playlist iTunes dei fan… fino allo scorso autunno, quando Jonny Greenwood ha rivelato che i Radiohead stavano lavorando di nuovo in studio per includerla nel loro prossimo disco.

«È una delle preferite del management,» ha detto Greenwood. «Quello che la gente non sa è che c’è una canzone molto vecchia in ogni album, tipo Nude in In Rainbows. Non avevamo mai trovato l’arrangiamento giusto per quel pezzo, fino a quel momento. Per Lift è successa la stessa cosa. Quando l’idea è giusta, resta giusta. Non importa in quale forma».

“Pearly*” (1997)

Non sappiamo di chi stia cantando ThOm Yorke in questo outtake da OK Computer, ma con i dettagli che possiamo intuire dal testo (“Dew-drop dentures,” “Vanilla milkshakes from Hard Rock Cafes” e “sweet tooth for white boys”) si può dire che è una specie di mostro vanitoso – una Miss Piggy vestita Gucci. Si capisce che crescendo ha avuto potere dal suono distorto del brano, dalle chitarre feroci e dalle percussioni pestate che compaiono verso la fine. Il punto del brano è questo: tutto è marcio da dentro.

“Polyethylene (Parts 1 & 2)” (1997)

Questo pezzo ci ricorda che i Radiohead sono sempre stati capaci di far sentire viscerale ciò che è freddo. È un brano tolto all’ultimo da OK Computer, apre con un arpeggio che si ferma all’improvviso, un fruscio di organo e poi entrano due potenti chitarre e la batteria che fanno partire a razzo il pezzo. È un continuo twist, tra alti e bassi, tutto corde digrignate e basso propulsivo, prima di bruciare nell’atmosfera. Il risultato probabilmente aleggia ancora tra le nuvole – dimostrando che è giusto puntare alle stelle.

“Palo Alto” (1997)

È un pezzo dell’era OK Computer, ha il nome dell’enclave della Silicon Valley in cui sono nate Facebook e Google, chiaramente Palo Alto parla dell’oppressivo vuoto del futuro che abbiamo davanti. Quando Yorke dice “In a city of the future/It is difficult to find a space,» non sta parlando di dove parcheggiare. Ma visto che è l’ultima traccia dell’EP Airbag/How Am I Driving? – che ha fatto da ponte verso la fase claustrofobica segnata da Kid A – potrebbe anche un pezzo in cui Yorke inizia a capire che quel “davanti” è molto più ristretto di quando non pensasse. Quando canta “In a city of the future/It is difficult to concentrate,» sembra che parli di Snapchat. In ogni caso, sapeva che eravamo già tutti condannati.

“Follow Me Around” (1998)

La prima apparizione di questo brano è nel film sul tour di Ok Computer, Meeting People Is Easy, sopra il montaggio di alcune interviste monotone, tra le quali Thom Yorke dice a un giornalista «Diventerai un ipocrita… Questo vuol dire essere adulti. E poi farai dei bambini e poi basta.» Inutile dire che in quel periodo gestiva robe pesanti – il tempo che passava, il peso delle responsabilità e delle aspettative – e tutte queste cose si sentono perfettamente in Follow me Around. È una delle sue canzoni più cupe, non solo perché ammette di sapere cosa gli aspetta, ma anche di non avere altra scelta che andare avanti. Non stupisce che non l’abbia ri-registrata: certe cose è meglio lasciarle come sono.

“Fog” (2001)

Non avrà la stessa reputazione di True Love Waits o Talk Show Host ma questo brano lasciato fuori da Amnesiac è una delle loro migliori b-side. Inizia con delle pesanti note di synth che tremano come uscissero da una vecchia radio. Quando la voce di Yorke entra, arriva con improvvisa chiarezza e vicinanza che sembra ti stia cantando dritto nell’orecchio. È un grande crescendo da lì in poi: una jam sboccia intorno ai testi su un non meglio specificato bambino che diventa cattivo. Fog è una sorta di corso intensivo su quello che questa band fa meglio – ma raramente viene fatta ai concerti.

“Worrywort” (2001)

Questa B-side dell’era Amnesiac ha un testo che sembra un manoscritto da una seduta di terapia di Thom Yorke, sembra un’iniezione di lidocaina. Con una melodia digitale serata che si trasforma nella melodia complessa che ha dato fama ai Radiohead, Worrywort è forse la prima traccia felice – velocizzatela e praticamente è un singolo dei Passion Pit. Ma stiamo comunque parlando dei Radiohead, e questo mantra di affermazioni non si distanzia dal dolore che cerca di contenere.

“I Froze Up” (2002)

Questo brano ha fatto la sua prima apparizione in un webcast del 2002 in cui Yorke si è esibito da solo con un piano Fender Rhodes. La versione a bit-rate bassissimo di I Froze Up era l’unica prova dell’esistenza di questo brano, fino al 2010, quando Yorke l’ha rispolverata nel 2010 in un concerto solista a Cambridge. Due mesi dopo l’ha eseguita a un concerto degli Atoms for Peace a Chicago, ma quella è stata l’ultima volta.

A Punchup at a Wedding (No no no no no no no no)” (2003)

Infilato nel lato posteriore dell’album più lungo dei Radiohead, questo sinuoso midtempo è la cosa più vicina a un pezzo dissing che Yorke abbia mai inciso. Scritto in risposta ai commenti negativi al concerto della band nella loro città natale di luglio 2001, A Punchup at a Wedding serve come ponte all’interno di Hail to the Thief tra la frustrazione della prima parte e la rabbia della seconda. “You’ve come here just to start a fight/You had to piss on our parade,” schiuma Yorke, e il piano trasforma la canzone nel fratello maggiore coi coglioni di cui Karma Police sentiva la mancanza.

“Gagging Order” (2003)

Molte canzoni dei Radiohead partono da Thom Yorke che strimpella la sua chitarra acustica, ma la meravigliosa Gagging Order è una delle poche che è stata registrata così. Questa b-side autunnale prova che i Radiohead sono spesso al loro meglio quando mandano velati messaggi politici nei loro sottotesti emotivi. Unendo un titolo minaccioso a una musica che sembra la colonna sonora di un montaggio malinconico dentro a Quasi Famosi, il pezzo esprime le paure orwelliane di Hail to the Thief dandogli un’inquietante dimensione fisica.

“Scatterbrain” (2003)

La penultima traccia di Hail to the Thief è la fragile Scatterbrain che sembra un’oasi felice tra brani come Myxomatosis e A Wolf at the Door. Come ha spiegato Yorke in un’intervista, Scatterbrain è nata dalla frustrazione del cantante dopo il suo coinvolgimento per la campagna contro il debito del terzo mondo Jubilee 2000, che ha radicalmente cambiato la sua visione del mondo.
«Ho capito quando la disintegrazione era fuori controllo,» ha raccontato. «Quando ho iniziato con Jubilee 2000, pensavo fosse la cosa più emozionante a cui mi sia avvicinato. Potenzialmente, potevamo far vedere le cose come stavano veramente. Ma non è mai successo, perché i G8 sono molto intelligenti, e loro con l’IMF e la Banca Mondiale continuavano a rimbalzarsi la palla, e a un certo punto ho pensato, ‘Ecco, non succederà mai.’»

“Go Slowly” (2007)

Per qualsiasi altra band, questo sarebbe uno dei successi più desiderati. Per i Radiohead è un abbozzo che per caso diventa oro. Troppo buttata lì per entrare nell’album, ma troppo coinvolgente per restare irrealizzata, questo scarto dalle session di In Rainbow sembra un lontano cugino di Exit Music (for a Film). Go Slowly ha radici in una profonda disperazione, e sembra pronta a scavare sempre più giù. “I didn’t care/But now I can see that there’s a way out …,” canta Yorke, mentre la sua voce scivola nelle sabbie mobili di feedback chiudendo uno dei brani più belli e sconcertanti che la band abbia mai registrato.

“Down Is the New Up” (2007)

Sembra strano che questa b-side non abbia trovato un posticino in In Rainbows – è nel disco con le bonus track uscito dopo la prima versione del disco. Ma questo pezzo al piano piagnucoloso e bizzarro è così scombussolato che sembra un complemento perfetto a un album che ha ribaltato l’industria musicale. Inizia con alcune delle classiche istruzioni dei Radiohead (“Pour yourself a hot bath, pour yourself a drink/Nothing’s gonna happen without a warning …”), e diventa presto un incubo in falsetto che sarebbe spaventoso se non fosse così piacevole.

“Faust Arp” (2007)

Una canzone di 130 secondi che spesso viene liquidata come un intermezzo tra All I Need e Reckoner, invece è un’intensa traccia molto più importante di quello che faccia pensare la sua durata. Bilancia l’intimità di una ninna nanna alla passivo-aggressività di un litigio tra fidanzati, con i versi di Yorke sulla taxidermia e il risentimento sopra l’arpeggio di chitarra che fa suonare tutto come se fluisse inesorabile. Ma Jonny Greenwood è l’ingrediente segreto qui, la sua chitarra acustica dà il sostegno che la voce di Yorke necessita per potersi permettere uscite come “You’ve got a head full of feathers/You’re gonna melt into butter.”

“These Are My Twisted Words” (2009)

Per una band sempre in cerca di innovazioni in fatto di distribuzione (vedi l’uscita di In Rainbows a offerta libera, o la pubblicazione su BitTorrent del disco di Thom Yorke Tomorrow’s Modern Boxes) l’arrivo di These Are My Twisted Words è uno dei più strani della discografia dei Radiohead. È uscito 22 mesi dopo In Rainbows il 12 agosto 2009 senza alcuna spiegazione sul sito di file sharing What.cd, con gli MP3 accompagnato da un file con un’immagine ASCII che annunciava un ‘Muro di Ghiaccio’ in arrivo il 17 agosto.
Cinque giorni dopo la traccia dal suono krautrock è uscito in download gratuito sul sito della band. La traccia non esiste in formato fisico, ma continua ad essere uno dei brani preferiti nei live del tour di The King of Limbs.

“Identikit” (2012)

Identikit è una delle tre canzoni non ancora pubblicate (insieme a Cut a Hole e Ful Stop) suonate nel tour di The King of Limbs, e la traccia è stata donata almeno una trentina di volte nel corso della loro serie di concerti. Il pezzo ipnotico, uno dei più funk del loro catalogo, è composto dal mix perfetto di voci del chitarrista Ed O’Brien con quella di Yorke nella strofa verso il caotico ritornello.
Identikit è anche una delle due tracce fatte con la Third Man Records di Jack White. Ma la band non era felice del risultato finale, quindi è rimasta una traccia solo per il tour di The King of Limbs che forse finirà nel prossimo LP dei Radiohead.

Iscriviti