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20 anni di “Wannabe”, quando le Spice Girls hanno dato il potere alle ragazze

Le cinque ragazze inglesi hanno mostrato una versione "appetibile" del femminismo, e una generazione di ragazze è cresciuta pretendendo rispetto. Cosa ne è di quella lezione a due decadi?

20 anni di “Wannabe”, quando le Spice Girls hanno dato il potere alle ragazze

A febbraio 1994 sul magazine The Stage è apparso un annuncio che recitava: «Sei una ragazza dai 18 ai 23 e sai cantare e ballare? Sei sveglia, ambiziosa e hai voglia di fare? La Heart Management sta formando un gruppo pop interamente al femminile di canto e ballo, da mettere sotto contratto». All’annuncio risposero più di 400 ragazze, ma dopo una serie di casting, solo 5 furono scelte per il progetto finale: Victoria Adams, Melanie Brown, Melanie Chisholm, Geri Halliwell e Michelle Stephenson. La band, col nome provvisorio Touch, iniziò quindi un periodo di training e registrazioni in studio. Ma la line up non era ancora completa: Michelle Stephenson fu rimpiazzata (pare per delle incomprensioni tra le ragazze) da Emma Bunton.
Seguirono mesi di prove e audizioni con gli A&R delle etichette. Ma la svolta arrivò quando le ragazze iniziarono a lavorare con la 19 Entertainment di Simon Fuller che le portò a firmare un contratto con la Virgin Records. Il nome diventò Spice Girls.

Il primo singolo, Wannabe, scritto dalle stesse componenti con Matt Rowe e Richard Stannard uscì nel Regno Unito il 8 luglio del 1996 accompagnato da un video che è diventato a tutti gli effetti una pietra miliare del pop ‘90’s: un piano sequenza girato al Midland Grand Hotel a St Pancras di Londra dove le ragazze si scatenano, ballano sui tavoli e distruggono l’armonia di una cena dell’alta società inglese. Il successo è alle porte: il brano rimane 7 settimane al top della classifica UK e diventa numero 1 in più di 30 paesi vendendo in un anno qualcosa come 7 milioni di copie.

Wannabe è l’inno del «Girl Power», motto delle Spice, una versione commerciabile e all’acqua di rose del femminismo delle Riot Grrrl, il movimento underground hardcore che si era sviluppato negli anni ’90 in USA grazie a band come le Bikini Kill e le Sleater-Kinney. Le Riot Grrrl erano ragazze che cercavano di imporsi in un ambiente maschile con testi politici dedicati a temi come la violenza sulle donne e l’affermazione femminile sul lavoro (problema presente nella stessa scena punk hardcore, che non perdeva occasione di apostrofarle come “stronze” o “troie”). Nell’iceberg chiamato terza ondata femminista, il girl power era effettivamente solo la punta, ma ha trasformato le adolescenti ubriacate dalle canzoni d’amore in cui erano oggetti in balia di scelte altrui (mi hai lasciata / mi hai tradita / mi hai dimenticata) a soggetti con diritto di scelta e sane pretese: se vuoi stare con me devi andare d’accordo con le mie amiche, devi essere generoso, non devi rinfacciarmi il mio passato, non devi farmi perdere tempo, devi comportarti bene. Non lo chiamavano “femminismo”, un nome decisamente meno appetibile commercialmente – finché non l’ha proiettato enorme su un palco Beyoncé –, ma il senso dalle parole stesse delle Spice era lo stesso: fare il tifo per le ragazze. Non si tratta di fare dispetto ai maschi, ma di dire che non sono gli uomini che controllano le nostre vite, ma siamo noi stesse a controllarle. Il messaggio di libertà e di controllo sulla propria vita era paradossale applicato alle Spice Girls, la cui stessa nascita è stata organizzata a tavolino, ma il messaggio che passava sulle giovani generazioni (che non stanno tanto a guardare il pelo) ha colpito nel segno: in un articolo di BBC del 1997 si scrive che le giovani hanno molta più voglia di mettersi in gioco, di studiare, di lavorare, senza pensare troppo a sposarsi e dando un ruolo sempre più centrale all’amicizia tra ragazze.

Cosa ne è stato del Girl Power? Le ragazze che da piccole ascoltavano le Spice e volevano tutto hanno trovato un mondo che le ha comunque trattate con disparità – economica e sociale – e che non ha smesso di essere violento nei loro confronti, e non l’hanno presa bene. Cantanti e attrice denunciano continuamente casi di differenze di stipendi, o molestie subite da collaboratori, e hanno fatto del femminismo (chiamato con il suo nome) un vanto. E un pochino è merito anche di questa canzone.

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