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‘MTV Unplugged’ dei Pearl Jam, quando il rock era una questione di vita o di morte

La performance acustica della band di Seattle viene pubblicata per la prima volta in vinile in occasione del Black Friday del Record Store Day. Ecco come andarono le cose in quello studio newyorchese

Foto dal vinile 'MTV Unplugged'

C’è Eddie Vedder con le mani strette sul microfono e lo sguardo spiritato, i lineamenti tesi, l’espressione da invasato. Crede in quel che canta. Ne fa una questione di vita o di morte, o almeno così sembra. Dietro di lui, i musicisti suonano gli strumenti acustici come se fossero elettrici: con fervore e irruenza e nessun gusto per le sottigliezze. Producono un suono potente e viscerale. È una dichiarazione d’intenti: siamo qui, viviamo il presente con intensità, non indietreggeremo.

Che strano effetto fa l’MTV Unplugged dei Pearl Jam a guardarlo oggi, ad ascoltarlo oggi. Se ne riparla perché esce per la prima volta in vinile, in occasione del Black Friday del Record Store Day (contiene sette canzoni, era stato pubblicato solo su DVD all’interno della riedizione di Ten). È quel che il rock era nel 1992 e che non è più, per lo meno nel mainstream. Ci si credeva in quella rabbia, in quel disgusto, nella ricerca di una forma di rettitudine sottesa alla musica. Si credeva in quella diversità. Passati attraverso venticinque e passa anni di ascolti ironici, di cinismo, di disillusione, l’esibizione dei Pearl Jam per MTV può sembrare carica in modo teatrale o, al contrario, espressione di un modo di fare musica che si rimpiange. Di sicuro è l’eco di un mondo perduto. Da quel concerto ci separano 27 anni, gli stessi che allora ci dividevano da Physical Graffiti, da The Who by Numbers, da Horses.

Se il 19 febbraio 1992 i Pearl Jam non avessero suonato un set acustico a Zurigo non ci sarebbe stato probabilmente alcun Unplugged. Provenivano da Milano, dove si erano esibiti al Sorpasso, e avevano scoperto che l’Albany Bar of Music della città svizzera era un buco in cui sarebbe stato difficile fare il solito concerto. Qualcuno aveva detto “allora perché non suonate in acustico?” e loro l’avevano fatto. E perciò, quando arrivò la proposta di MTV, accettarono: in fondo, a Zurigo era andata bene.

Il programma televisivo era stato inaugurato nel 1989. L’idea era proporre concerti acustici o quasi di artisti che solitamente si esibivano con strumenti elettrici ed elettronici. Né lo show, né la band erano ancora enormi. Dagli studi di MTV erano passati Elton John e Paul McCartney, non ancora Eric Clapton e nemmeno i Nirvana. Nella settimana in cui i Pearl Jam si esibirono, il loro album Ten era al ventitreesimo posto nella classifica americana, in discesa dal ventunesimo. L’EP degli Ugly Kid Joe As Ugly As They Wanna Be andava meglio. Nevermind era al secondo posto.

I Pearl Jam si presentarono ai Kaufman Astoria Studios nel Queens, New York, il 16 marzo 1992. Erano tornati da pochi giorni dall’Europa. Quel giorno, in quello stesso posto, si stavano registrando altri due concerti unplugged, una scelta forse non casuale. “Credo che la maggior parte delle persone di MTV fosse felice di fare l’Unplugged con i Pearl Jam, ma c’era un po’ di preoccupazione perché all’epoca erano relativamente sconosciuti”, ha ricordato il produttore esecutivo e regista Joel Gallen. “Forse è per questo motivo che minimizzarono il rischio programmandoli lo stesso giorno in cui già filmavamo due artisti grossi, Mariah Carey e i Boyz II Men. Se lo show dei Pearl Jam fosse andato male, per lo meno non avremmo sprecato risorse”.

“A Zurigo era andato tutto bene”, racconta il bassista Jeff Ament nel libro biografico Pearl Jam Twenty. “Ma avevamo pochissima esperienza in acustico”. Reduce dai concerti europei, la band non aveva avuto tempo a sufficienza per prepararsi. Come se non bastasse, il basso richiesto da Jeff Ament e la chitarra Gibson Chet Atkins voluta da Stone Gossard – quella suonata da Mark Knopfler dei Dire Straits, ad esempio in Private Investigations – non c’erano. “Quando suoni in acustico non puoi nasconderti dietro le distorsioni”, ha detto Gossard. I Pearl Jam tentarono di nascondersi dietro a un suono potente. “‘Siamo una rock band’, pensavamo, ‘dobbiamo pestare duro’”, ha ammesso l’altro chitarrista, Mike McCready. “Cercavo di rendere il suono più duro del necessario. Adesso amo suonare in acustico, ma allora ero di un’altra idea: ‘Coraggio, facciamogli sentire la forza d’urto della band’”.

Si sentì. Pur essendo privo delle sottigliezze di altre esibizioni Unplugged, quella dei Pearl Jam è una performance carica e meravigliosamente vivace, spinta dalla foga che il gruppo ha fatalmente perso col passare degli anni. Lo si ricorda come un concerto suonato in modo appassionato, ma non come un’esibizione fondamentale o persino storica come quelle che avrebbero fatto per lo stesso programma gli Alice in Chains e i Nirvana. Eppure l’MTV Unplugged è invecchiato bene. Riascoltato in vinile, ha un sound caldo e brillante, con le chitarre separate sui due canali stereo, una maggiore dinamica e distinzione fra gli strumenti, picchi d’intensità tipici dell’epoca. Lo show del 16 marzo non è mai suonato così bene.

Vedder non resistette alla tentazione di diffondere un messaggio a cui teneva molto. Nella versione televisiva, durante una Porch particolarmente frenetica in cui gli strumenti producono un rumore sferragliante ed eccitante, lo si vede salire sullo sgabello e scrivere con un pennarello sul braccio sinistro lo slogan abortista “Pro choice!!!”. Era un tema molto dibattuto all’epoca. Tre settimane dopo, centinaia di migliaia di persone manifestarono a Washington per fare pressioni sulla Corte Suprema affinché non considerasse costituzionale una legge della Pennsylvania che poneva limiti alla libertà di scelta. Un anno dopo, un medico abortista di nome David Gunn sarebbe stato assassinato da un fondamentalista cristiano che prima di sparare – riportò il Washington Post – urlò “non uccidere più bambini”. Come avrebbero cantato due anni dopo i Mudhoney, “save the baby, kill the doctor”.

Qualche minuto dopo la scena pro choice, e dopo aver lasciato momentaneamente il set, il cantante si rimise la giacca che aveva gettato a terra per eseguire col gruppo Even Flow, che nella versione televisiva fu montata prima di Porch dando allo spettatore una percezione errata della scaletta effettivamente suonata. La registrazione finì con una performance non particolarmente riuscita di Rockin’ in the Free World di Neil Young. Non sarebbe stata trasmessa nella mezz’ora andata in onda per la prima volta il 13 maggio 1992, né è inclusa nel vinile edito ora dalla Sony dove invece si trova l’iniziale Oceans, che in tv non si vide. Il concerto era stato breve, eccitante, rumoroso. “Grazie. Non è sembrato nemmeno uno show televisivo”, disse Eddie Vedder prima d’andarsene.

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