Mauro Ermanno Giovanardi: «Ecco La Mia Generazione, un festival in direzione ostinata e contraria» | Rolling Stone Italia
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Mauro Ermanno Giovanardi: «Ecco La Mia Generazione, un festival in direzione ostinata e contraria»

Al via domani ad Ancona la quattro giorni di concerti e incontri ideata dal cantante dei La Crus. Gli abbiamo chiesto di raccontarci lo spirito del festival «omaggio alla stagione irripetibile degli anni '90», ma senza la retorica del «quanto eravamo fighi».

Mauro Ermanno Giovanardi: «Ecco La Mia Generazione, un festival in direzione ostinata e contraria»

Mauro Ermanno Giovanardi

Foto press

Si terrà ad Ancona dall’8 all’11 settembre la quinta edizione di La Mia Generazione, il festival diretto da Mauro Ermanno Giovanardi (La Crus). Sul palco della Mole Vanvitelliana si esibiranno tra gli altri Cristina Donà, Alessandro Fiori, Zen Circus, Casinò Royale, Emma Nolde, Whitemary (qui il programma completo). Abbiamo chiesto a Giovanardi di raccontarci il festival «omaggio alla stagione irripetibile degli anni ’90», ma senza la retorica della nostalgia e del «quanto eravamo fighi».

L’idea di fare un festival prendendo spunto dal mio ultimo disco, La mia generazione, omaggio a quella stagione irripetibile degli anni ’90 che sdoganò definitivamente il cantato in italiano su un suono e una attitudine prettamente anglosassone, venne all’Assessore alla Cultura di Ancona Paolo Marasca. Dirigente illuminato, proprietario e gestore di un locale storico (il Thermos) dove passarono e suonarono centinaia di gruppi italiani e non, mi chiese appunto di pensare a un festival su quel periodo musicale folgorante. Avevo già avuto l’incarico di direttore artistico più volte in passato ed applicai la mia esperienza a questa nuova avventura. Che come sempre per me doveva assomigliare più al Festival della Letteratura di Mantova che all’Heineken Festival. Per cui incontri, mostre, sonorizzazioni, dj set e logicamente anche live show. Approfondire a 360 gradi è più stimolante che il semplice concerto. Incontrare gli artisti da vicino, poterci parlare e fare domande, spesso è più interessante che sentirli suonare.

E così è stato.

È bellissimo iniziare a pensare, a immaginare in autunno quello che potrebbe accadere nella nuova edizione che si svolgerà nel settembre successivo. Hai un anno di tempo per poter realizzare quello che hai in testa.

In queste cinque edizioni (la quinta è quella che sta per iniziare) ho potuto fare quasi tutto quello che mi ero prefigurato. Grazie soprattutto all’amministrazione che mi ha sempre appoggiato sia finanziariamente che artisticamente, e agli amici/colleghi che hanno voluto far parte di questo viaggio. Se penso agli artisti intervenuti non posso quasi crederci. Subsonica al Porto Antico, Vinicio Capossela, Brunori Sas, Motta, Vasco Brondi, Diodato, Francesco Bianconi, Niccolò Fabi, Almamegretta, Deus, Adrian Sherwood, Nada, Cristina Donà, Ginevra Di Marco, Marlene Kuntz e Mara Redeghieri. Ma questi sono solo i primi che mi vengono in mente. La vera difficoltà a un certo punto è stata quella di come continuare ad andare avanti senza cadere nella retorica della nostalgia e del «quanto eravamo fighi».

Come portare avanti un programma interessante e allo stesso tempo concettualmente coerente? Questa domanda me la sono imposta ogni anno dopo la prima edizione. Troppo scontato e triste chiamare artisti solo di quegli anni. Suonerebbe come un ritrovo di nostalgici incalliti. Non fa per me. La musica è in continuo mutamento e così deve essere l’approccio artistico al lavoro che stai portando avanti. Solo così puoi fidelizzare un pubblico. Con scelte oneste e sincere. Coerenti e che abbiano un senso. Per cui la prima idea è stata quella di pensare se quella stagione avesse partorito dei figli legittimi, o quali potessero essere i padri o le madri putative, e quale fosse l’anello di congiunzione. Per cui, già dalla seconda edizione invitai sia Colapesce, che Maria Antonietta, sia Carlo Pastore, direttore artistico del MiAmi, che Emiliano Colasanti della 42 Records. Quattro esponenti che ruotano intorno all’indie italiano, che affonda le radici negli anni ’90 e che ha senza dubbio usufruito del solco tracciato da noi anni prima. E così, anno dopo anno, ho cercato dei punti di incontro, perché la musica di qualità non appartiene a nessuna generazione.

È questa la risposta che mi sono dato alle mie riflessioni e ai miei quesiti. L’urgenza e la necessità di dover dire delle cose al di là di tutto. Al di là dei followers e di quanti numeri fai sulle varie piattaforme. Perché in fin dei conti un musicista lo vedi quando performa su un palco. Perché lì sopra sei nudo. Non puoi fare finta. E se ci metti il cuore, la passione, l’amore per questo lavoro, il messaggio arriva. E il pubblico lo sente. Non è una crociata contro nessuno, assolutamente, si può andare su un palco cantando in playback o senza essere in grado di farlo, perché oggi la cosa più importante è apparire, costruirsi una bolla fuori dalla normalità e starci dentro, ma forse il filo rosso transgenerazionale sta nel perché hai iniziato a suonare e nella emozione che ti dà, stare su quelle assi inchiodate che formano il rettangolo del palcoscenico per raccontarti per davvero.

Non solo per fare i soldi o avere visibilità.

Credo che per noi la musica fosse questo, e Emma Nolde e Whitemary, i Casino Royale e Alessandro Fiori, noi col Decamerock e gli Zen Circus, Cristina Donà e i Leda, Guido Harari e Hu si cerchi tutti la stessa cosa e nella stessa direzione. Ostinata e contraria.