Lucio Corsi: «Le canzoni sono quadri da osservare smarrendosi» | Rolling Stone Italia
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Lucio Corsi: «Le canzoni sono quadri da osservare smarrendosi»

Il lockdown raccontato da uno dei nostri cantautori più originali: le case come astronavi, la convivenza forzata con un pianoforte, le persone che diventano statue. Il tour di ‘Cosa faremo da grandi?’ riprenderà il 1° agosto

Lucio Corsi: «Le canzoni sono quadri da osservare smarrendosi»

Lucio Corsi

Foto: Tommaso Ottomano

Mi ritrovai in Maremma, dopo un tour già finito appena cominciato.
Rinchiuso in un podere tra alberi dell’ombra (non tra pali della luce) mi resi conto di quanto le abitazioni somiglino ad astronavi, entrambe hanno i sedili, gli interruttori e i finestrini per guardare fuori.

Le case se ci pensi sono delle astronavi
Nessuno sa come si accendano
Anche possedendone le chiavi
Ci sono ladri che hanno fatto sparire
Case nella notte
Ci sono quadri che non sanno che alle loro spalle c’è la cassaforte
Le case sono dei contenitori
Raramente tondi
Dove ti piace che ti vengano a trovare
E dove al tempo stesso ti nascondi
Ci sono ladri che hanno ripulito case svuotandone le stanze
Volevan dirci che se la casa non parte è perché è troppo pesante
Volano tutte
Volano le case di paglia
Volano i palazzi pesanti come volano i castelli di sabbia
Volano tutte
Volano le case di paglia
In fin dei conti il volo è libertà
Per chi ha come casa una gabbia

Mi ritrovai in Maremma, dopo un tour già finito appena cominciato.
La convivenza forzata con un pianoforte mi fece capire quanto fosse importante starsene zitti, gli strumenti musicali sanno tacere molto più degli uomini, molto più dei cantanti.
Il silenzio è una specie di notte, in effetti vanno a braccetto e spesso l’uno convive con l’altra, e come la notte anche il silenzio ha un’apparenza negativa. La notte e il silenzio non sono altro che due tipologie di fogli bianchi, due teli che cancellano il mondo dandoci la possibilità di inventarne un altro, migliore, peggiore o uguale (a nostra scelta).

La pianta carnivora un giorno mi ha detto
Per avere la voce una bocca non basta
Non voglio vedere le cose a cui tengo
sparire sul treno del tempo che passa
Che esista un altro mondo
Io non ne dubito
Basta credere agli occhi
anche quando si chiudono

Mi ritrovai in Maremma, dopo un tour già finito appena cominciato.
Nonostante gli uomini fossero fermi, bloccati, le lancette degli orologi continuavano a girare.
Non avendo più una direzione, costretto alla sosta, provai ad orientarmi con il tempo mettendomi uno specchio al polso.
Tentativo fallito.
Pur copiandomi gesti, sguardi, abiti e mosse il secondo me nel vetro fece finta di non sentire la mia voce al grido di “non invecchiare!”, così invecchiai in casa, perdendomi una primavera per strada.

“Riflessione sugli specchi”
Spesso mi sono sentito dire che le canzoni devono essere uno specchio, ovvero qualcosa dove ritrovarsi, ma le canzoni, e ne sono convinto, possono ancora essere un quadro.
Un quadro da osservare smarrendosi (sempre se fossimo costretti ad appendere le canzoni ad un muro).

Mi ritrovai in Maremma, dopo un tour già finito appena cominciato.
Le case divennero la piazza e noi le statue ferme al centro di essa. Siamo abili a scolpire le statue, a costringere i monumenti a vivere una vita col presente alla spalle, godiamo dell’ombra degli alberi fermi e nonostante tutto non sappiamo minimamente aspettare.
Siamo scultori terrorizzati dall’attesa, dall’immobilità.

Prima di tutto mi chiedo perché
Mi hanno messo in mezzo alla piazza
Che d’estate noi statue si muore
Sotto i raggi di un sole che spacca

Ci servono creme per la pelle di bronzo
E un cappello per le teste dure
Niente ci scuote
Meglio teste dure che vuote

Prima di tutto mi chiedo perché
Se c’è una statua c’è una panchina
Dobbiamo vivere da sole e in piedi
Guardando gente seduta vicina

Portate una gru e sdraiateci a terra
Anche solo per cinque minuti
Siamo belle da vedere
Ma ci potevate scolpire a sedere

Prima di tutto mi chiedo perché
Mi si debba posare in testa
Non una rondine di primavera
Ma il piccione più sporco che esista

Che vengano nuvole a farmi la doccia
E un po’ di sapone in un giorno di pioggia
Niente ci abbatte
Ci son giornate più dure di altre

Prima di tutto mi chiedo perché
Non possa volgere altrove lo sguardo
Ho gli occhi puntati su questo edificio
Sul muro sbiadito di un vecchio palazzo

È dura godersi soltanto una vista
Per me che non ho mai sbattuto le ciglia
Ma è così e non mi faccio domande
Vivo con il presente alle spalle

Prima di tutto mi chiedo perché
Ancora nessun cittadino m’ha detto
Da chi è che sarei travestito
a chi assomiglio e chi rappresento

Tutti mi guardano come se fossi
Stato qualcuno che camminava
Ma finora nessuno ha scoperto
che non è vero che son fermo aspetto

Aspetto che arrivi la notte perfetta
Per togliermi dalle scatole
Quando dormendo come dei sassi
le persone diventano statue

 

Il 1° agosto Lucio Corsi e la sua band riprendono il tour ‘Cosa faremo da grandi?’. Ecco le date confermate (informazioni qui): 1 agosto Monforte d’Alba (CN); 21 agosto Corigliano D’Otranto (LE); 11 settembre Acquaviva (SI); 16 settembre Fiesole (FI); 19 settembre Bologna. Il suo ultimo album è Cosa faremo da grandi?. In questo articolo lo ha raccontato a Rolling Stone traccia per traccia.

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