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Lo Stato Sociale torna in scena a Milano: «Bello, ma non è una ripartenza vera»

La band ha suonato ieri sera al Castello Sforzesco di Milano: «Finalmente possiamo tornare a fare il nostro lavoro, ma questa non è l'idea di cultura, di lavoro e di musica dal vivo che abbiamo. Metà dei nostri tecnici non sono qui»

«Non facciamo finta che sia una ripartenza vera». Per diverso tempo ci si è chiesti come sarebbero stati i concerti dell’estate 2021, i primi dopo il lungo stop imposto a partire dai primi mesi del 2020 dalle misure di distanziamento e interrotto solo da qualche sporadico live nella scorsa bella stagione. Il ritorno di scena de Lo Stato Sociale nel Cortile delle Armi del Castello Sforzesco, a Milano, è tra i primi dell’estate e dunque tra le prime risposte a quella che per mesi è stata un’enorme incognita. In quella che fu una delle principali cittadelle militari d’Europa è chiaro a tutti che la normalità è ancora molto lontana ma la musica che finalmente risuona tra il pubblico ne dà spesso una parvenza che il collettivo bolognese non tarda a infrangere. «Metà dei nostri tecnici non sono qui» – prosegue Lodo nel suo discorso nel mezzo del concerto – «Cioè, mi siete mancati, ma questa era un’altra questione».

La data al Castello è sold out da tempo e grazie a una deroga dell’ultimo minuto ha potuto accogliere qualche spettatore in più. Spettatori chiaramente seduti, distanziati, provvisti di mascherine, in linea con il Decreto Riaperture dello scorso mese di aprile. Anche nel backstage, facendo due chiacchiere con alcuni dei regaz de Lo Stato Sociale prima dell’inizio del concerto, il fatto che il Recovery Tour della band, che proprio a Milano ha preso il via, fosse più un compromesso che una felice conquista dopo un anno e mezzo di silenzio era emerso senza equivoci. «Ci sarebbe piaciuto molto portare qui tutto il nostro team tecnico. Se noi siamo cinque loro sono da sei a dieci, dipende dalla grandezza del pubblico. A sto giro abbiamo dovuto tagliare tantissimo perché anche noi abbiamo dovuto tagliare tantissimo dalle nostre economie personali e purtroppo non abbiamo potuto portare i nostri fratelli, i nostri tecnici», racconta Carota mentre il sole cuoce il Cortile del Castello. Prosegue Albi: «È l’unica cosa che si può fare e la si accetta per quello che è. È un compromesso sia per la nostra storia sia per la cultura del lavoro che accompagna questo tipo di eventi. Siamo in un limbo di emozioni perché finalmente possiamo tornare a fare il nostro lavoro ma siamo dispiaciuti perché questa non è l’idea di cultura, l’idea di lavoro e di musica dal vivo che abbiamo noi».

Lo Stato Sociale è da tempo una delle band più attive nella lotta per la tutela dei lavoratori del mondo dello spettacolo. In molti ricorderanno l’intervento sul palco della scorsa edizione del Festival di Sanremo, dove la band era in gara con la sua Combat Pop. L’impegno della band bolognese non si limita agli appelli: «C’è bisogno di un riconoscimento a priori di quella che è la condizione dello spettacolo. Soprattutto Bebo – al secolo Alberto Guidetti, nella band drum machine, sintetizzatore e voce, ndr – nell’ultimo anno ha aperto vari tavoli di trattativa lavorando con altri artisti e lavoratori dello spettacolo. Sono stati spesso e volentieri in parlamento, sono andati a farsi sentire, sono state fatte manifestazioni», racconta ancora Albi specificando ulteriormente il posizionamento della band.

E insomma, “Perché lo fai? Perché non te ne vai?”, prendendo in prestito le parole di Una vita in vacanza. «Prendiamo questa esperienza come una specie di pre riscaldamento, stiamo ricominciando a muoverci, una sorta di riabilitazione. Si chiama Recovery Tour per questo». Questa è la risposta della testa, che arriva da Albi sotto gli alberi del Cortile. Quella del cuore la presenta invece Lodo sul palco parlando a un pubblico che non sempre resiste alle regole del distanziamento e su un paio di canzoni si alza in piedi abbandonandosi alla musica e ai cori. «Sono qua per voi quattro», dice rivolgendosi ai compagni di band subito prima di mettere in fila con le lacrime agli occhi una serie di episodi significativi che negli anni hanno legato i regaz de Lo Stato Sociale, dalla volta in cui Checco ha annunciato al gruppo che sarebbe diventato padre a quella in cui Lodo non era così convinto di fare uscire il disco e Carota gli ha detto che se ciò non fosse accaduto sarebbe tornato in fabbrica. La voce di Mi sono rotto il cazzo ieri era lì per i suoi ragazzi: compagni di band, amici, lavoratori.

Per una band che del contatto, del pogo, dei cori a squarciagola ha fatto una cifra dei suoi live mantenersi lontana dal pubblico è comunque un colpo al cuore che cerca di superare con alcuni espedienti che il gruppo definisce “tecnologici”. In sostanza viene fornito alla platea un numero di telefono attraverso il quale è possibile comunicare con la band: i messaggi vengono letti e commentati sul palco ed è sempre attraverso questa modalità che viene individuata una chitarrista da accogliere sul palco – con tanto di mascherina, misurazione della temperatura, mani e chitarra disinfettate – per unirsi al gruppo per il tempo di una canzone. Il gioco spezza il flusso del concerto e crea qualche momento morto ma in fin dei conti funziona: il pubblico è felice e si sente vicino alla band.

Per il resto, con qualche problema tecnico qua e là il gruppo gioca con i brani del suo repertorio ricollettivizzati – l’espressione è loro – e proposti in versioni condivise non di rado cantate da componenti de Lo Stato Sociale diversi rispetto agli interpreti originali della canzone. L’esperimento è perfettamente in linea con l’approccio alla musica e alle dinamiche di gruppo della band anche se in alcuni casi ne va un po’ delle qualità dei brani. Il momento più basso dal punto di vista della resa delle canzoni – che vanno dai brani degli EP individuali pubblicati quest’anno dai cinque regaz alle hit della loro carriera, corredati da una versione aggiornata di Sono così indie con riferimento alla trap, alle auto elettriche e ai DPCM entrati, insieme alla pandemia, nella vita degli italiani e delle italiane – è quando senza amplificazione Lodo, Bebo, Checco, Carota e Albi propongono sul proscenio una versione quasi inudibile di Una vita in vacanza: il pubblico segue un tempo, la band un altro e il risultato fa sanguinare le orecchie. C’è da dire però che il gruppo avrebbe voluto suonarla in mezzo alla platea, idea uccisa dalle norme che regolano il distanziamento. L’effetto sarebbe stato certamente molto diverso.

Niente bis, la seconda estate pandemica probabilmente non lo concede. La differenza rispetto ai bei tempi della musica dal vivo si fa sentire: è già molto per chi si aspettava uno scenario ancora peggiore, è poco per chi senza magliette sudate e birre che volano non riesce proprio a sentirsi a un concerto. A proposito di birre, tra il pubblico è concesso bere e a lato dello spazio riservato alle sedute vengono vendute bevande. Non era scontato, anche considerando che arene estive della periferia milanese come il Magnolia e il Carroponte hanno dovuto dividere i loro spazi tra una parte rigorosamente riservata alla musica e una riservata al food&beverage.

Il prossimo anno Lo Stato Sociale festeggerà il decennale della carriera quando l’album d’esordio del collettivo, Turisti della democrazia, compirà dieci anni. Chissà se per allora il gruppo cresciuto nei centri sociali bolognesi e arrivato ai piani alti delle classifiche potrà portare tutto il suo staff in tour e far ballare liberamente il suo pubblico. Funzionavano così i concerti de Lo Stato Sociale e di tanti altri artisti. E per quanto incredibile a oggi è ancora un piccolo sogno.

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