Volevamo magia e i Verdena a Firenze ce l’hanno data | Rolling Stone Italia
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Volevamo magia e i Verdena a Firenze ce l’hanno data

La storia ha preso i sogni rock a calci in faccia, ma fortunatamente nessuno ha avvertito i tre maghetti della distorsione. Vederli in concerto (ieri al Tuscany Hall) è come ritrovare vecchi amici che non deludono mai

Volevamo magia e i Verdena a Firenze ce l’hanno data

Verdena in concerto

Foto: Monelle Chiti

È buffo come, a volte, le prospettive si ribaltino. I Verdena sono partiti dalla provincia, ormai un quarto di secolo fa, suonando in un pollaio poi divenuto studio di registrazione, l’Henhouse. Oggi è il Tuscany Hall di Firenze, dove fa tappa il fortunatissimo Volevo Magia Tour, a diventare una gabbia per animali, con i Ferrari bros e la saltellante Sammarelli in veste di piccoli grandi stregoni della distorsione.

Perché quello andato in scena ieri sera nella ‘hulla del Rinascimento è stato un onestissimo spettacolo di puro rock’n’roll, di questo si tratta, senza tanti fronzoli ma fatto con tanto mestiere e un’onesta passione. Basso, chitarra, batteria e via andare, con dei visual minimali e multicolori che con la band condividono la scena, senza mai rubarla.

«Hola!», dice Alberto prima di attaccare con Pascolare: tutta la prima parte è dedicata all’ultimo lavoro in studio, che la band celebra in maniera ossequiosa, quasi nella sua interezza, trasformando il concerto in un’istantanea sonora che glorifica il qui e ora, che del doman non v’è certezza, come disse una volta un certo Lorenzo, particolarmente celebre a queste latitudini. Ammantati di luci gialle e viola, sommersi dal fumo – in parte loro, in parte del pubblico di casa – snocciolano una dietro l’altra le tracce del disco che dà il nome al tour: Crystal Ball sembra rubata dal catalogo dei primi Marlene, mentre il singolo Chaise Longue viene riproposto in versione decisamente più elettrica rispetto a quanto sentito sull’album.

Al netto della celebrazione del lavoro più recente, ci sono momenti durante il concerto di pure reminescenze anni ’90 e viene da chiedersi cosa sia rimasto di quella stagione di rock alternativo. C’era il Consorzio che sfornava perle a ritmo continuo, la Mescal con gli Afterhours, i C.S.I. primi in classifica per una settimana: sembrava davvero che il rock italiano ce la potesse fare in questo Paese di musichette (dove fuori c’è la morte, per citare Boris). Beh, la storia ha preso i nostri sogni a calci in faccia, ma nessuno ha avvertito i bergamaschi, che ce l’han fatta comunque, improbabili sopravvissuti di un desiderio infranto.

La mente vola indietro nel tempo e – assieme alla mia – anche quella di buona parte dei presenti: non mancano i più giovani ma l’età media è decisamente alta. È il sintomo di un rapporto quasi simbiotico fra la band e il proprio pubblico: i Verdena si ripresentano meravigliosamente uguali a loro stessi, in culo alle mode e agli idoli usa-e-getta dei talent show. Fanno il loro viaggio da sempre ed è una bellissima notizia per tutti coloro, tanti (lo spettacolo è sold out da settimane, così come il resto delle date del tour, dove spicca il caso clamoroso della quadrupla data bolognese) che hanno deciso di farne parte. Sono come dei vecchi amici che non ti deludono mai, con i fan che – con orgoglio – ostentano il numero di volte a cui hanno già presenziato. Qualcuno sette, un’altra dieci, qualcun altro ancora ha perso il conto.

Luna scatena il momento karaoke, che si ripete su Angie, ma è la doppietta Muori Delay / Valvonauta, proposta nei bis, a suscitare una vera e propria ovazione da parte di tutto il pollaio fiorentino, che troverà nella conclusiva Volevo magia l’ultima occasione per rompersi le ossa.

Gli orobici Harry, Ron e Hermione, i maghetti del rock’n’roll del circondario, rappresentano una meravigliosa anomalia all’interno del panorama musicale italiano, dove hanno saputo costruirsi – disco dopo disco, live dopo live – una fanbase solidissima e fedele, armati solo di coerenza e di chitarre caparbiamente storte, oltre a una buffa e sgangherata umanità che da sempre li contraddistingue nel loro essere così naturalmente anti-divi.

Volevamo magia e l’abbiamo avuta, con buona pace di tu-sai-chi.
Aprite la gabbia, coccodè.

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