Una cameretta vista Eurovision: siamo stati al concerto di Blanco | Rolling Stone Italia
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Una cameretta vista Eurovision: siamo stati al concerto di Blanco

Nei primi live del cantante ci sono l’ingenuità e le emozioni di chi viene dalla provincia e ce l’ha fatta nel giro di pochi mesi. Dal momento oratorio a quello reggiseno, ecco com’è andata. Perché «fare un concerto è meglio che scopare»

Una cameretta vista Eurovision: siamo stati al concerto di Blanco

Blanco live al Fabrique di Milano. Foto: Fabio Izzo

Il clima è un po’ quello delle grandi occasioni: c’è il primo vero concerto di Blanco a Milano, terza data del suo tour, quello a cui tutti i miei amici vorrebbero andare ma i biglietti sono finiti. «Sai come posso fare a trovarne uno?», mi chiedono tutti da settimane, manco lavorassi a TicketOne.

L’appuntamento è al Fabrique, e Blanco lo incontriamo qualche ora prima del live per fare due chiacchiere, giusto qualche minuto perché la gente fuori è già tanta, e alle 18:30 si sgombera perché aprono i cancelli. Blanco si presenta in tuta, sembra tranquillo, ci sediamo su delle sedie messe lì, in cerchio, davanti al palco pronto per il live. Sopra ci sono un letto gigante, un orso gigante, i visual che ritraggono dei muri con dei poster: «È la mia cameretta», ci dice appena arriviamo. «Ho iniziato a far musica lì. Blu celeste l’ho scritta a casa mia, tra la camera e la cantina. Volevo riportare in giro le stesse vibrazioni».

Il palco, così come il dress code consigliato ai fan, è bianco e nero: «Volevamo lasciare un ricordo visivo a tutti quelli che vengono a vedere lo show, devo dire che il pubblico si sta davvero vestendo così. Mi piace pensare alla tv senza colori, a quel mondo lì». Che il pubblico segua il dress code è piuttosto vero. Già dalle 18, al paninaro lì fuori, a morsicare salamelle erano tutti in black and white. Qualche audace li ha mischiati, la maggior parte son tinta unita. Qualche sgarro c’è, principalmente di persone che non ne sapevano nulla, ma son pochi. Una sorta di pellicola vintage perché «tutto lo show è basato sui miei ricordi. Il presente e il futuro li facciamo sul palco».

 

Blanco live al Fabrique di Milano. Foto: Fabio Izzo

 

Facendo un rapido recap della sua storia, siamo abbastanza d’accordo. In un anno Riccardo Fabbriconi, questo il suo nome, è passato da essere il nome cool che conoscevano gli appassionati di musica al volto che conoscono gli appassionati di Sanremo: tutti. È bastata una settimana in Liguria per cambiare tutto: i dischi di platino, i sold out, tra poco pure l’Eurovision insieme a Mahmood. Anche se tra tutte le cose, il concerto sembra quello in cui si diverte di più: «Quando c’è la gente davanti ho tutta un’altra carica. Salire e vedere le persone che cantano mi mette in circolo un’adrenalina unica, mi emoziona, mi viene spontaneo urlare, anche se il giorno dopo sono senza voce. Essere lì in quel momento è il massimo, è meglio che scopare».

Lo lasciamo ai preparativi e torniamo dentro alle 20:50. Ad accoglierci, sparato dalle casse, c’è il can can. Qualcuno dice che di solito sono gli artisti a scegliere le musiche da mettere prima degli show. Ci immaginiamo Blanco al Moulin Rouge. Dura poco: sono le 21 spaccate quando entra sul palco e inizia lo show con Mezz’ora di sole. Pochi minuti dopo siamo già al terzo pezzo, e Blanco è già senza maglietta. «Sto sudando come un matto, siete tantissimi. Non sono bravo a parlare, vaffanculo. Questa è la mia cameretta».

Blanco live al Fabrique di Milano. Foto: Fabio Izzo

Il senso del concerto è tutto in questa frase. C’è Riccardo, un ragazzo della provincia di Brescia, che sta vivendo un sogno grandissimo. E che dopo questi mesi è come se non riuscisse a smettere di ringraziare chi questo sogno l’ha reso reale. «Milano è la mia seconda casa. Due anni fa venivo qua a registrare le canzoni, dormivo su un divanetto, in studio, che era così corto che mi uscivano i piedi. C’era una stanza piena di dischi di platino e pensavo: “Chissà se un giorno ne avrò mai uno”. Tutto questo è grazie a voi». Il concerto va avanti dritto come una cannonata, son le 21:16 e ha già suonato sei canzoni. La cosa più vicina al sogno che io conosca, soprattutto se (tu) 18 anni non li hai da un pezzo, e il giorno dopo devi lavorare.

Il suo pubblico lo segue in massa. Tutte le canzoni del suo primo e unico disco, Blu celeste, sono cantate all’unisono dall’inizio alla fine. A guardarlo un po’ dall’alto, dalla mia postazione mixer, il sold out di Milano è compatto e composto. In scaletta ci sono pure un paio di tracce unreleased che canta solo ai concerti: la gente sa pure quelle (non chiedetemi come).

 

 
 
 
 
 
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«Tra poco io mi butto, ve lo dico», avverte i fan delle prime file. Manco cinque minuti dopo, è stage diving. Sono le 21:22 e arriva anche lui, il grande protagonista dei video della prima data: il reggiseno. Qualcuno lo lancia sul palco, Blanco lo mette addosso qualche secondo e poi sparisce chissà dove. Qualcuno lo avrà messo su eBay alla voce: “Reggiseno sudato da Blanco a Milano”, facciamo un breve check e torniamo da voi.

Il concerto, biancheria intima a parte, è proprio il live di qualcuno che forse non ha ancora realizzato a pieno quello che sta succedendo, e che sente di dover restituire un po’ di tutto quello che ha ricevuto in questi mesi. A partire dalle emozioni, di cui Blanco parla in modo semplice ma probabilmente efficace, lì dentro: «Voglio trasmettere amore, è importante soprattutto in questo periodo: non fate gli stronzi. Né con voi stessi né con gli altri», dice tra una canzone e l’altra. Parte Blu celeste, ed è forse il momento più emozionante, il suo l’inno, con Michelangelo al piano.

Arriva anche un momento che apprezzavo molto nei DVD dei tour delle popstar che guardavo quando ero ragazzino: quello dei fan sul palco. Sono cinque, li fa sedere sul lettone, canta un pezzo e poi gli chiede i nomi: «È un po’ un momento oratorio», dice Blanco ridendo. Forse sì, ma d’altronde noi di paese dall’oratorio ci siamo passati tutti.
Su Mi fai impazzire arriva velocemente anche Sfera, incappucciato (deduco sia lui, la certezza non c’è). Stappa una bottiglia, abbraccia Blanco e scende. Così si fa.

Nei primi concerti della carriera di Blanco, che forse tra qualche anno ci sembreranno lontani, ci sono la genuinità e l’ingenuità di un ragazzo cresciuto in provincia che ce l’ha fatta. Tra la folla dovrebbero esserci anche i suoi genitori, sicuramente presenti pure alla prima data di Padova: «Ho un legame fortissimo con loro, non mi interessa fare il maschio alfa». L’avevamo visto dall’abbraccio dopo la vittoria del Festival. Intanto sono le 22 in punto e il concerto è quasi al termine. Mancano gli encore, manca Brividi. Questa volta la canta da solo, con la voce di Mahmood registrata, ma per sentirla in coppia ci sarà tempo.

Blanco live al Fabrique di Milano. Foto: Fabio Izzo

«Milano è magica», dice prima di lasciare il palco in quello che, per chi scrive, è a tutti gli effetti il primo concerto “vero” dopo tanto tempo. Dopo due anni na basta uno per dimenticarsi tutto? Quasi, sì. Soprattutto se alle 22:15 te ne vai a casa pensando che dormirai otto ore.

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